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Come spiegarlo, Dino Zoff? Mettiamola così: Zoff non è solo una leggenda del calcio italiano e internazionale, è l’incarnazione di una filosofia operaia che tutto il Paese aveva fatto sua, in particolare nei momenti più duri. “Tutto quello che ho ottenuto – il suo mantra – è stato il frutto del duro lavoro“. Ora trascorre le sue giornate sui campi da golf vicino alla casa romana, lui che da friulano ha vissuto ovunque e soprattutto a Torino.

“Il golf è il modo migliore per rovinare una bella passeggiata”, diceva Churchill. E lui è sempre stato d’accordo. Del resto, Zoff, quando giocava, si serviva spesso di metafore del genere.

E lucidava il suo swing con la stessa applicazione che metteva nel suo allenamento quotidiano. Altrimenti, difficilmente avrebbe vissuto vissuto il momento migliore della sua carriera, quando ha condotto l’Italia alla Coppa del Mondo del 1982 in Spagna. Aveva 40 anni.

Chi è Dino Zoff

Dino è stato il giocatore più importante della nazionale italiana nel 1982. Era quello che rappresentava la Squadra. Era un riferimento per tutto il gruppo, e per me il primo“.

Il ricordo è di un indimenticabile Paolo Rossi: nei suoi occhi c’era tutta la storia di quel portiere da 112 presenze in azzurro, di tre Mondiali, del record di 1.142 minuti di clean sheet assoluto.

In campo, Zoff “era un portiere equilibrato, che sapeva mantenere la calma nei momenti più difficili o in quelli più euforici. Era sempre discreto, sia per modestia che per rispetto dei suoi avversari”. A fine partita, contro il Brasile, forse l’unico momento in cui si è mostrato teneramente umano: il viaggio dalla porta in direzione Bearzot, per ringraziarlo con un bacio sulla guancia. “Per me, quel momento fugace è stato il momento più intenso della Coppa del Mondo”, sorrise l’allora CT.

Un atteggiamento che racconta tutto Zoff, quasi in ogni modo. Figlio di contadini, è sempre stato consapevole del valore delle cose. Questa mentalità è caratteristica della sua regione natale, il Friuli: “La zona dove sono nato, a Mariano del Friuli, è appartenuta a lungo agli austriaci”, ha raccontato tante volte il capitano di mille battaglie. “Quando mia nonna Adelaide andava a Udine, diceva: ‘Vado dagli italiani’.

Le “ricette” di nonna Adelaide hanno avuto un ruolo fondamentale, non solo per i buoni consigli, ma anche per la “cura” di uova che per lei erano fondamentali per la crescita di Dino. All’età di 14 anni, Zoff era stato respinto ai provini per Inter, Milan e Juventus a causa della sua bassa statura, di appena 160 centimetri.

Così fece il suo modesto debutto per la squadra della sua città natale, la Marianese, senza mai sospettare che il calcio sarebbe diventato la sua futura professione.

Ecco, sarà stata la ricetta di sole uova di nonna, ma Dino crebbe di 33 centimetri. Nel 1961, aveva 19 anni quando l’Udinese lo mise sotto contratto. Ed era alto 1,82 m. Altra storia molto conosciuta: dovette lasciare il suo lavoro di meccanico per fare il debutto da professionista. Anche qui, lo zampino del destino: non poteva essere più catastrofico, presi cinque gol a Firenze.

Alla fine della stagione, il club fu retrocesso in Serie B con Zoff che aveva giocato solo quattro partite. L’anno successivo, cambiò tutto: iniziò a farsi un nome e fu notato dal Mantova. Una porta in Serie A arrivò quasi subito, e per le quattro stagioni successive, dal 1963 al 1967, Zoff era il nuovo pronto ad avanzare, nonostante l’esclusione dalla Coppa del Mondo del 1966. Uno shock, per lui. Anche se Dino non restò con le mani in mano: si consolò incontrando Anna Maria, sua moglie e madre di suo figlio, Marco, oggi finanziere.

Il passo successivo

Quello che sembrò un passo indietro fu in realtà un passo in avanti. La carriera di Dino Zoff stava per spiccare il volo. Il Milan era interessato a lui, ma il prezzo richiesto dai suoi rappresentanti spaventò il club milanese.

La destinazione successiva fu allora il Napoli: il prezzo del trasferimento fu di 130 milioni di lire (68.000 euro), più la cessione del portiere Bandoni al Mantova. “Ho ottimi ricordi del mio periodo a Napoli, una città gioiosa”, racconta ancora oggi un friulano come Zoff. E fu proprio davanti al pubblico di casa che Zoff fece la prima partita in Nazionale. 20 aprile 1968, contro la Bulgaria.

L’impatto? Pazzesco. E immediato. Paratona su Asparukov e semifinali dell’Europeo conquistate in un batter d’occhio. A Roma, finale con la Jugoslavia e primissima vittoria alle primissime esperienze. Lì raggiunse i 1.142 minuti senza subire un gol, un record imbattuto celebrato sulla copertina di Newsweek, che lo definì “il migliore del mondo”. Niente di più, niente di meno. Tutto e subito, tutto e infine. Del resto, la sua storia è intimamente legata alla maglia azzurra: contiene le grandi gioie, ma anche la grandissima delusione della “retrocessione” durante la Coppa del Mondo del 1970 a favore di Albertosi.

In tutto questo tempo, Dino Zoff vinse anche sei scudetti con la Juventus, raggiunta solo a 30 anni.

Ma la grande immagine resta quella con il grande titolo, la Coppa del Mondo, ai Mondiali di Spagna del 1982. Aveva 40 anni e un francobollo speciale fu emesso in suo onore. Un titolo che venne accolto come una ricompensa, dopo una carriera eccezionale e un meticoloso lavoro quotidiano.

Per Dino fu anche un modo per dimenticare la Coppa del Mondo del 1978, in cui, per sua stessa ammissione, “non fu sempre all’altezza”.