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San Siro, Milano, 23 marzo 2004. Mancano tre minuti alle 21:00 e il Deportivo la Coruña è già passato in vantaggio. Un colpo di testa di Pandiani ha beffato Dida a 11’ dall’inizio dell’andata dei quarti di finale di Champions League.

Il dominio di San Siro

Ancelotti si alza dalla panchina, come il vento che annuncia tempesta. Il sopracciglio sinistro si fa più ampio, quello destro più serio. Sir Carlo ha fiutato il pericolo. Ma il Milan reagisce con una rimonta da sogno. Kakà stappa con un gol alla tedesca – controllo di coscia e destro al volo imprendibile – un Milan arruffone e nervoso. Dal 46’ al 53’ i rossoneri si pappano gli spagnoli, segnando altri tre gol (ancora Kakà, Shevchenko e Pirlo con un calcio di punizione straordinario). Il volto di Ancelotti è come sciolto, e il sopracciglio aggrottato ha ora lasciato spazio ad un’espressione gioconda, quasi pacioccosa. L’esultanza al gol di Pirlo rimane iconica: Ancelotti rotea la mano destra più volte, spingendo in basso gli angoli della bocca e in basso le pupille degli occhi. La sua espressione dice: ‘mamma che gol’.

Proprio Pirlo nella sua autobiografia Penso quindi gioco racconterà le sensazioni dei rossoneri a fine partita: “Le probabilità che non riuscissimo a passare il turno erano pari a quelle di vedere, prima o poi, Gattuso laureato in lettere. Già pensavamo alla semifinale, come se ce l’avessero cucita addosso prima di salire sull’aereo per la Galizia. Una passeggiata confezionata su misura per noi”.

L’imponderabile

Ma al Riazor di La Coruna, accade l’incredibile. La squadra allenata da Javier Irureta giocava un calcio in là coi tempi, fatto di fraseggi corti e dinamismo asfissiante. Se il Milan era riuscito a vincere 4-1 all’andata, era perché all’epoca i rossoneri erano la squadra più forte del pianeta. L’anno prima, ricordiamolo, Ancelotti e i suoi avevano vinto la finalissima di Old Trafford contro la Juventus – la squadra che proprio il Depor aveva eliminato agli ottavi della Champions 2003/04 prima di affrontare il Milan ai quarti. Un anno e mezzo prima, poi, proprio i rossoneri avevano vinto al Riazor 4-0, con tripletta di Pippo Inzaghi.

Insomma, al Depor serviva qualcosa in più di una semplice ‘impresa’. Serviva un intervento divino, un vero e proprio miracolo per rimontare tre gol ai rossoneri – all’epoca c’era infatti ancora la regola del gol fuori casa.

Non a caso qualcuno, sempre Pirlo, ricordando quella maledetta partita di ritorno, avanzerà qualche ombra sul Deportivo: “I calciatori del Deportivo erano assatanati, galoppavano verso un traguardo che solo loro intuivano (ciechi noi, che infatti siamo stati brutalizzati). In semifinale hanno incontrato il Porto e sono stati eliminati, nel giro di qualche tempo sono spariti da tutte le competizioni che contano”. L’accusa è sottaciuta ma implicita. Irureta, allenatore del Depor all’epoca, risponderà al fuoriclasse italiano con grande franchezza: “E’ vero che correvamo di più, ma i nostri goal non sono arrivati da azioni veloci. Ad essere realmente decisiva fu la spinta del pubblico. Le parole di Pirlo non hanno importanza, forse sono il frutto dei suoi incubi”.

La gara di ritorno e il Super-Depor

Come pensarla altrimenti? Ancelotti, comunque, leggendo le formazioni ufficiali, la sfida non l’aveva sottovalutata anzi. Non mancava nessuno tra i titolari, ad eccezione forse di Inzaghi – spazio a Tomasson. E l’avvio dei rossoneri era stato convincente: Sheva aveva infatti sfiorato l’1-0 al termine di una gran discesa del Pendolino Cafù. Lo stesso Tomasson, pochi secondi dopo, aveva colpito al volo di destro da posizione angolata, impegnando senza però spaventare il portiere avversario Molina. Il Depor, insomma, sembrava dalle prime battute più quello degli ultimi 45’ che quello dei primi 10’ di San Siro. Fino al gol del solito Pandiani. Controllo, finta e mancino – avendo davanti Maldini – a fil di palo, imprendibile per Dida. E 1-0 Depor dopo 5’. Sesto gol di Pandiani in dieci partite, mica male.

Il Depor sembra indemoniato. Passano due minuti e Victor colpisce l’incrocio complice una deviazione di Pancaro con un tiraccio da fuori area. Il pubblico ci crede. E il Milan sembra impaurito. Ma regge l’urto. Non solo, ma crea due grosse chance con Sheva e Kakà. Ma entrambi, davanti a Molina, appaiono indecisi sul da farsi e sprecano le occasioni.

Il Depor allora riprende a spingere, e crea due ottime occasioni con Valeron e il solito Pandiani, ma Dida c’è. Fino al 35’, l’inizio della fine. Un bel cross di Luque dalla sinistra viene male interpretato da Dida, che si vede sorpassato dal pallone e immerso, un attimo dopo, dal boato del Riazor. Ha infatti segnato Valeron, e ora al Depor serve un solo gol per completare la rimonta.

Ci siamo fatti male da soli, e questa è la premessa necessaria, però ripensandoci a qualche anno di distanza c’è qualcosa che non mi torna. I nostri avversari andavano a mille all’ora, compresi giocatori un po’ in là con l’età, che non avevano mai fatto della velocità abbinata alla resistenza fisica il loro punto di forza. La scena che più mi ha colpito è stata vederli correre, tutti, nessuno escluso, anche nell’intervallo. Quando l’arbitro Meier ha fischiato la fine del primo tempo, sono schizzati nello spogliatoio, l’andatura era quella di Usain Bolt. Non riuscivano a fermarsi nemmeno in quel quarto d’ora di riposo teorico, inventato apposta per tirare il fiato, quantomeno per camminare. Fulmini imprendibili, schegge impazzite”.

Andrea Pirlo

Il resto è storia. Al 44’ arriverà il 3-0 di Luque, che dopo aver bruciato Cafù e Maldini in velocità calcerà perfettamente col sinistro sotto il sede, con un’inerme Dida ad osservare stanco.

Nella ripresa il Milan, complice qualche cambio (dentro Rui Costa, ad esempio), crescerà nella qualità del palleggio ma non sarà mai davvero pericolosa. Il Depor penserà a difendersi, come naturale che sia, fino al gol del clamoroso 4-0 a 14’ dalla fine. Scivolone di Gattuso, Fran gli ruba il tempo e calcia violentemente di sinistro, trovando una deviazione decisiva di Cafù. Il classico gollonzo-disfatta.

Ma anche un gol storico. Una rimonta così, nella storia della Champions League, forse non era mai accaduta.