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Si fa un gran parlare di “moneyball” nelle ultime settimane specialmente dopo la cacciata di Paolo Maldini dalla dirigenza del Milan. Al suo posto, per ora, il club rossonero ha preso… nessuno, di fatto, mantenendo nello staff i collaboratori precedenti, meno l’altro direttore sportivo, Frederic Massara.

Nessuno, o meglio ci si affiderà ancora di più all’analisi delle statistiche avanzate per trovare giocatori buoni ma soprattutto sottovalutati. Perché questo in fondo è il segreto del “moneyball”, un concetto diventato intanto un libro, uscito giusto vent’anni fa (il 17 giugno 2003) e in seguito un film di grande successo con Brad Pitt come protagonista.

“Moneyball”, un libro sul baseball

La figura-chiave per capire il concetto di “moneyball” è Billy Beane, uno dei collaboratori più stretti di Gerry Cardinale, proprietario del fondo Redbird che a sua volta gestisce il Milan nonché investitore in altre squadre europee come l’Az Alkmaar e il Barnsley. 

Beane è il protagonista assoluto del libro di Michael Lewis, giornalista finanziario, che come sottotitolo ha “L’arte di vincere un gioco scorretto”. Già, ma scorretto perché? Di cosa si parla.

L’ambiente di cui si parla è il baseball professionistico della Major League, un campionato molto peculiare con norme ferree. Ci sono 30 squadre divise in due leghe da 15, la National League e l’American League, che hanno in alcuni casi addirittura delle regole d’ingaggio diverse.

A sua volta sia la National che l’American League sono divise in 3 sotto-campionati da 5 squadre, chiamati Division. È un po’ il concetto che c’è nella Nba o negli altri sport americani, tutto viene apparecchiato in vista dei playoff, a cui nella Mlb è molto difficile accedere: occorre infatti vincere una delle tre Division o al massimo entrare tra le prime sei, sia nella National che nell’American, in quanto a numero di vittorie.

La stagione regolare peraltro è massacrante visto che si disputano 162 partite, poi ci sono i playoff e i vincitori della National e dell’American League giocano la finalissima, ovvero le World Series, al meglio delle sette gare. Il fattore-campo delle World Serie poi viene deciso, caso unico, dall’All Star Game: chi lo vince, nella sfida tra NL e AL, ottiene questo vantaggio, che andrà naturalmente a chi vince la National o l’American, a prescindere dal numero di vittorie in stagione regolare.

Insomma, il baseball è uno sport complesso, che si gioca veramente sui dettagli, e abbastanza chiuso come meccanismo. Non si può applicare il gegen-pressing o il fuorigioco sistematico, per dire: c’è un lanciatore, un battitore, gli strike, i ball, i fuoricampo. Gergo per appassionati, ma che non cambia da quando questo sport è nato e si è diffuso soprattutto in America.

Anche per questa sua ripetitività, seppur complessa, le statistiche diventano fondamentali. Meglio ancora, la lettura avanzata delle statistiche. Ed è un gioco scorretto perché, sulla carta, l’unica cosa che fa la differenza, oltre alla bravura dei giocatori (ovvio) è il budget a disposizione delle varie squadre: non essendoci un tetto agli ingaggi per le franchigie più ricche è molto semplice prendere sempre i migliori su piazza, guardando i numeri, lasciando le briciole alle altre che invece devono arrangiarsi alla bell’e meglio.

A quel punto passerebbe anche la voglia di seguire il campionato, ma in realtà non è così. Qui infatti interviene il “moneyball”, questo concetto spinto all’estremo da Billy Beane che tra il 1997 e il 2015 è stato al vertice degli Oakland Athletics, squadra dal grande blasone ma dai fondi decisamente limitati: 41 milioni di dollari per 25 giocatori, il budget più basso della Mlb, 3 o 4 volte più piccolo di big tipo i New York Yankees.

“Moneyball”, una ripicca contro il mercato?

Billy Beane nel baseball è passato alla storia come manager illuminato anche se non ha mai vinto nulla. Questo perché ha sempre dovuto arrangiarsi con un budget, come abbiamo visto, bassissimo, con l’obiettivo di arrivare quantomeno ai playoff.

Nel libro si ricalca molto la figura di Beane, quest’uomo che avrebbe dovuto essere un giocatore di alto livello, scelto al primo giro del draft del 1980 della Mlb sulla scia di una lunga serie di referenze positive, ma che poi nella lega avrebbe prodotto decisamente poco in proporzione alle attese, passando da una squadra all’altra senza mai lasciare il segno.

Forse anche per questo senso di rivalsa, in quegli Oakland Athletics dove aveva chiuso la carriera nell’anonimato, da dirigente avrebbe seguito tutt’altro approccio. Se lui si era rivelato un fiasco era perché (come gli viene spiegato anche in una celebre scena del film “Moneyball”) in realtà non era tutto quel fenomeno: le statistiche avanzate di quando era un giocatore pre-Mlb in tal senso non sarebbero state meritevoli di una chiamata così alta al draft né di uno stipendio così alto.

Ma nel 1980 la “sabermetrica”, questa scienza che si fonda sull’analisi dettagliata delle statistiche avanzate per trovare il valore di un giocatore (e quindi lo stipendio da accordargli), ancora non esisteva.

Nel 2002, invece, anno in cui è ambientato il libro “Moneyball”, questa c’è ed è utilizzata al meglio. Anche qua, in seguito a uno “choc”, l’addio “a parametro zero”, a contratto scaduto, di tre delle stelle degli Athletics: Jason Giambi, Johnny Damon e Jason Isringhausen. Tutti finiti nelle famose squadre straricche che potevano offrire loro molti più soldi rispetto ai “barboni” di Oakland: rispettivamente New York Yankees, Boston Red Sox e Saint Louis Cardinals.

Gli A’s erano arrivati ai playoff a sorpresa, pescando Giambi (un prima base fenomenale bombardiere tra i migliori realizzatori di fuoricampo), Damon (intelligentissimo esterno bravo pure in difesa) e Isringhausen (un lanciatore superbo) e dovevano ripartire da capo, trovando sul mercato gente in grado di far dimenticare i tre partenti.

“Moneyball”, i protagonisti

Nel libro, inizialmente un po’ noioso e non immediato per chi non mastica il gergo e il mondo del baseball, si analizzano tutte queste metriche puramente statistiche che servono per capire chi, tra i giocatori liberi da contratto, viene sottovalutato o addirittura non considerato: i ragionamenti di Beane e del suo staff di giovani che non hanno mai visto una mazza e una palla in vita sua ma sono fortissimi coi numeri e al contrario i tentennamenti degli allenatori davanti ad acquisti apparentemente senza senso.

In tal senso è spettacolare il capitolo dedicato a Scott Hatteberg, che a Oakland viene trasformato da ricevitore (il giocatore che di solito sta di fronte al lanciatore, in ginocchio) a prima base, per le sue caratteristiche offensive e le sue capacità di produrre punti e battute valide, nonostante alcuni problemi al gomito. “Hatty” si rivelerà una sorpresa degli Athletics, degno successore di Giambi e costato infinitamente meno.

Altro giocatore pescato dal sottobosco è il lanciatore di riserva Chad Bradford, scartato da tutte le squadre della Mlb per il suo stile poco ortodosso, con la pallina tirata dal basso verso l’alto e non viceversa. Molto credente, Bradford arriva già un po’ stagionato a Oakland, tuttavia troverà il suo spazio mentre pochi mesi prima pensava addirittura di ritirarsi.

Tutte queste storie, unite alla spiegazione dell’analisi avanzata delle statistiche buona per trovare l’affare (è questo il moneyball, più dell’analisi statistica in sé), fanno da filo conduttore a una stagione, quella 2002, in cui gli Athletics fanno meglio dell’anno precedente, sbaragliando la concorrenza in regular season e completando una striscia record per la Mlb di 20 vittorie consecutive. Peccato che al primo turno dei playoff si schiantino contro gli sfavoriti Minnesota Twins, uscendo subito.

Del resto gli A’s non vincono il campionato dal 1989 e non vanno alle World Series dal 1990, quando, e viene spiegato nel libro, erano loro dall’altra parte della barricata e cioè una delle franchigie più ricche.

La domanda che si fanno i tifosi del Milan, ma non solo è se questo tipo di strategia sul mercato, quasi cocciutamente in controtendenza, sia fuori contesto per uno sport dove le componenti esterne e la casualità contano moltissimo, come il calcio.

Az Alkmaar e Barnsley il moneyball è andato benino, specie con l’Az, che però non è mai chiamato a vincere lo scudetto in Olanda. A differenza del Milan, per dire, che un anno fa si laureava campione d’Italia. Beane comunque è ormai un collaboratore stretto di Cardinale e il Milan non deve rimpiazzare tre stelle per rifare la squadra, come dovette fare Oakland nel 2002. Il mercato estivo sarà il primo banco di prova della sabermetrica applicata a un club di alto livello come quello rossonero.