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In Esodo 3:14, Dio rivela il proprio nome a Mosè: «io sono colui che sono». Ma questa rivelazione, in realtà, è un nascondimento. Dio non svela il proprio nome, lo vela: il nome, infatti, definisce l’ente (o la persona), ma Dio non è un ente né una semplicemente una persona. Definirlo equivarrebbe a limitarne la potenza e la trascendenza. Proprio perché «nessun uomo può vedere il mio volto e restare vivo» (Esodo 33:20), Dio salva Mosè preservando dunque la propria (inafferrabile) essenza.

Questione di nome

Il nome definisce. Il nome individua, aiuta ad inquadrare, se vogliamo anche ad intrappolare. Tutto sta nel modo in cui la persona chiamata risponde al nome – che quella non si è comunque mai data in prima istanza. È il dramma degli orfani, ma è anche quello di chi come Dele Alli ha rifiutato il proprio (cog)nome.

Ha lasciato Dele, sulla maglia, ma ha espunto Alli per il difficile rapporto avuto col padre in tenera età. Il nome definisce, individua, e inquadra. Alli ha sempre provato a ribellarsi a tutto ciò. All’inizio della propria carriera – dopo l’esplosione del 2017 – con enorme successo; il rifiuto del nome sembrava essere non il colpo di coda di un desiderio inappagabile ma l’arma segreta di un calciatore indefinibile e per questo così forte.

Dal top al flop

Intendiamoci, qui stiamo lavorando certo d’immaginazione. Ma c’è qualcosa di più profondo nelle nostre parole. Dele Alli ha rifiutato il proprio nome nel momento più scintillante della propria carriera – stagione 18/19, quello che è coinciso con la finale di Champions League contro il Liverpool sotto la gestione Pochettino – e ha continuato a farlo anche dopo, anche oggi che è diventato il ricordo un po’ nostalgico e amaro dello straordinario calciatore apprezzato in maglia Spurs (nonostante debba ancora compiere 27 anni).

Il nome, e il rifiuto del nome, in questo senso c’entrano fino a un certo punto. Il discorso è un altro: quella che era la sua forza è diventata oggi la sua debolezza. La ribellione del calciatore Alli, da risorsa sorgiva del proprio talento, è diventata col tempo malattia incurabile al proprio sviluppo calcistico. Regressione persino.

Un crollo lombrosianamente rappresentato dal taglio di capelli: cortissimo nel momento più alto della propria carriera – quel gol all’Arsenal del 19.12.2018, di esterno destro in pallonetto, sotto lo spicchio dei suoi tifosi, nel North London Derby, all’Emirates Stadium –, addirittura rasta dopo l’addio di Mourinho e l’arrivo di Nuno Espirito Santo, infine afro al Besiktas – dove è stato ufficialmente escluso dalla rosa dal proprio allenatore Senol Gunes.

«Dele è un calciatore che corre molto, si impegna per la squadra, ma in questo momento non riesce a essere incisivo come potrebbe, sia in fase di rifinitura che di finalizzazione. Che giochi bene o giochi male, è uno dei candidati a lasciare il Besiktas a fine anno».

Senol Gunes

Una crisi profonda

Dele Alli è passato in poco tempo – appena qualche mese – dal segnare 45 gol (quasi tutti di pregevole fattura: alcuni persino geniali) e servire 41 assist nelle sue prime tre stagioni al Tottenham (finalista di Champions e sempre nelle zone alte del calcio inglese) ad ammuffire sulla panchina di una squadra che – con tutto il rispetto – si sta giocando il quarto posto nella Superliga turca.

È passato, soprattutto, dall’essere quasi un simbolo della rinascita del calcio inglese – quando ai quarti del Mondiale 2018 segna un gol pesantissimo alla Svezia – al rappresentarne l’antica indisciplinatezza, l’estro tanto splendente quanto fastidioso di chi è talmente forte da sentirsi padrone del tempo e dello spazio (à la Gascoigne, ma con meno genialità chiaramente).

Dalla migliore stagione di Dele Alli – 18 gol e 7 assist in Premier League – sono passati sei anni.

Ma il ricordo e le vibrazioni che abbiamo del calciatore, potenzialmente unico al mondo per doti fisiche e tecniche, nonché per visione di gioco e tempi di inserimento, sono talmente annebbiati da far apparire la distanza temporale assai più dilatata.

Lo stesso Dele, a livello estetico, non sembra più lo stesso. È cresciuto, certo. Ma c’è qualcosa di diverso nei suoi occhi. Non sorride mai, è spento.

Sembra in ultima analisi aver risposto con il silenzio che da sempre lo contraddistingue alle profetiche e fragorose parole di José Mourinho negli spogliatoi del Tottenham Hotspur Stadium: «il tempo vola. Devi volere di più da te stesso».