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L’attimo più maradoniano di tutti, in quel Bayern-Napoli 2-2, non è nel riscaldamento, quando Live is Life impazza e lui gioca con sogni, pallone, ambizioni di una squadra che ancora imparava a sostenersi di quello.

No, l’attimo più maradoniano di tutti è quando, al termine del match, tutti urlano il suo nome e lui sta in piedi nella morsa. Giornalisti e fotografi lo travolgono, ci sono anche un po’ di tifosi e Diego comunque, nonostante tutto, sta lì a parlare, a urlare il suo orgoglio per aver battuto quei colossi tedeschi con il suo piccolo, grande Napoli, che colosso lo è stato senza mai sentirsi tale.

Ora andiamo in finale, siamo andati in finale!“, urla Maradona, un po’ straziato dalla stanchezza di una partita dura, da freddo e botte, un po’ inorgoglito da quella che per tutti è un’impresa e per lui è invece solo un passaggio.

Il Napoli più forte di sempre l’ha vissuto sulla sua pelle, è stato lui a trasformarlo da metallo grezzo a diamante; dopo anni, stava finalmente forgiando un’altra squadra fortissima, cresciuta ai lati del Milan di Sacchi e di una Juve che provava a far sentire il peso della sua storia. Tanto passava anche da una consacrazione europea: bene, era arrivata.

Quel Bayern-Napoli della coppa Uefa 89

Ma perché quel Bayern-Napoli era così importante?

Dopo la vittoria all’andata per 2-0, gli azzurri erano chiamati a non mollare, a dare una prova di maturità importante, ché non sempre in stagione si era vista.

Maradona guidava un gruppo importante, ma anche molto giovane: non era più la squadra del primo scudetto, Bianchi aveva creato una formazione in grado di brillare come una supernova. Allo stesso tempo però quel Napoli tendeva a rabbuiarsi, a scurirsi, ad appigliarsi alle domeniche buone di Maradona, straordinario nel suo meraviglioso ordinario, e continuo come mai prima d’ora.

Comunque, in quel 19 aprile del 1989, all’Olympiastadion di Monaco, Bianchi era già a conoscenza di un segreto fondamentale della sua squadra: girava a meraviglia sotto pressione, e se Maradona era l’impulso, l’elettricità arrivava anche dagli altri. Careca su tutti. Ecco, a proposito, qualcuno ricorda quella formazione diventata storica? Se non riuscite, breve ripasso: Giuliani, Ferrara, Renica, Corradini e Francini. Poi De Napoli, Alemao e Fusi. Infine Crippa, el Diego e quindi Careca.

Oh, in quel Bayern, sapete chi giocava? Flick. Quel Flick. Attuale tecnico della Germania e vincitore di tutto con i bavaresi. Era il centrale di riferimento, di fianco al capitano, Augenthaler: la difesa era a 4 e comprendeva i terzini Nachtweih e Pfluger, davanti al portiere Aumann. In mezzo, Eck e Dorner, lo “juventino” Reuter e poi Kogl. Quindi Wegmann a supporto di Wohlfarth.

bayern napoli 1989
Il tabellino della gara

La partita

Alla vigilia, tutti a chiederselo: come si affronta un colosso che ha un solo risultato e fisicamente è due spanne superiore? Non c’entrano Davide e Golia, c’entra però il coraggio. E il Napoli, in quella stagione, ne ha sempre avuto tantissimo. Anche quando i bavaresi sono partiti fortissimo: pressing, lanci alti, profondità attaccata con costanza.

Il primo passo per gli azzurri è quello di trincerarsi, di snaturarsi sull’altare del risultato. Storie vecchie e nuove, storie di calcio, e quindi di uomini. Due elementi che disegnano la tattica di Bianchi: Ferrara fisso su Wegmann, Corradini a uomo su Vohllart. Così, il Bayern da Giuliani non c’arriva proprio.

Tanti duelli e poi Maradona, e allora Careca. Tocca correre in ripartenza, all’italiana pur con sangue argentino. Dopo due parate fondamentali di Giuliani, al 36′ gli azzurri vanno vicini alla rete con Maradona su punizione. È questione di centimetri, e quelli giusti si fanno attendere, almeno fino all’ora di gioco: Nachtweih perde palla su attacco del Diez, che pesca Careca e Careca pesca il gol, il primo.

Il Bayern deve recuperare tre reti: ora è davvero impresa. Tre minuti più tardi, chi segna? Flick. Da calcio d’angolo: bolide imparabile per Giuliani e Napoli a terra. Anzi no: già in ripresa, perché 5 minuti più tardi Careca sfiora il vantaggio e nei dieci minuti successivi arriva davvero a costruirselo: ancora Maradona, ancora Careca e tiro secco che batte Aumann. È 2-1, poi 2-2 con Reuter nel finale. È Napoli in finale, e l’immagine di tripudio.

Il momento iconico

“Siamo in finale!”, sono in finale! E l’immagine sarà per sempre quella che anticipa il calcio d’inizio.

Le note di Live is Life degli Opus, Maradona che danza col pallone allo stesso ritmo di uno dei grandi classici della musica mondiale, giocando con la tensione e ingoiandosi i fischi del pubblico per prendere più energia, e sempre più energia.

In pochi conoscono il testo della canzone, oltre al ritornello, ma l’epifania è contenuta all’interno delle parole suonate: “Quando tutti abbiamo il potere, quando tutti diamo il nostro meglio, ogni minuto di ogni ora, senza pensare al riposo, allora sì che avrai il potere, allora sì che avrai tutto il meglio“.

Quel Napoli era proprio così: tutti attorno a una stella, ma una stella che senza tutti avrebbe faticato a essere tale. Anche se si chiamava Diego Armando Maradona. Anche se, uno come lui, forse non l’abbiamo visto più.