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Ricordate tutti, vero? L’Inter, quella leggendaria, quella allenata da José Mourinho, finì per vincere la Champions League nella stagione 2009-2010.

Ma perché la memoria è più spesso rivolta alle semifinali, piuttosto che alle immagini di Madrid, i due gol di Milito, il Bayern Monaco schiacciato da una netta supremazia? Semplice: il Barcellona avrà sempre quel doppio incontro in testa, per sempre aizzata dall’impermeabilità di quella squadra così forte e dura, di quel gruppo così unito.

Era la stagione in cui le due parti avevano scambiato Samuel Eto’o e Zlatan Ibrahimovic. E la rivalità tra le squadre non era niente di speciale prima di quel pareggio. Infatti, la storia tra Barça e Inter non era poi chissà quanto lunga e Inter e Barça si erano già incontrate nella fase a gironi della stessa Champions League.

I risultati: 0-0 al Giuseppe Meazza e 2-0 al Camp Nou, senza troppe polemiche, scivolati facilmente via. Prima di quella stagione, i catalani e gli italiani si erano incontrati solo in Champions League durante la stagione 2002-2003, anche allora nella fase a gironi, e un paio di volte in Europa negli anni ’60 e ’70.

Allo “spareggio” del 2010, tuttavia, non mancava nulla. Sia la prima tappa che la seconda sono state avvolte da polemiche, dentro e fuori dal campo.

L’andata e il vulcano Eyjafjallajokul

Il primo imprevisto per il Barça fu l’eruzione del vulcano islandese Eyjafjallajokul. Calmi: spieghiamo subito.

L’eruzione, molto forte, costrinse alla chiusura di tutto lo spazio aereo europeo. I giocatori del Barcellona avevano dunque optato per l’unico viaggio possibile: 981 km verso l’Italia in autobus, dalle 14:30 del 25 aprile, arrivando a Milano il giorno prima della partita. Gli uomini di Guardiola avevano dormito a Cannes (Francia) nella notte tra i due giorni di viaggio.

A Milano, il Barça aveva affrontato un’Inter stretta in difesa e pronta a contrattaccare rapidamente. Pedro siglò il primo gol della partita per i blaugrana, ma più tardi i gol di Sneijder, Maicon e Milito per i nerazurri trasformarono il punteggio nel trionfo interista. I catalani erano stanchi e affranti.

Le lamentele? Infinite. In particolare con l’arbitro portoghese Olegário Benquerença, sempre accerchiato per i falli – considerati eccessivi – da parte dell’Inter. In particolare, i blaugrana lamentavano un intervento falloso che avrebbe viziato il primo gol nerazzurro, e un fuorigioco sul secondo. Inoltre, non uno, non due, ma tre possibili rigori vennero reclamati anche su Pique, Alves e Pedro nei minuti finali della partita.

In particolare, ha fatto scuola l’atteggiamento di Pique: nella difficoltà, il centrale volle mettersi la squadra sulle spalle, giocando sostanzialmente da centravanti. Tutte le occasioni pur create dal centrale, furono salvate dalla difesa dei nerazzurri, in una serata di enorme grazia.

Giusto per capire la portata della vittoria dell’Inter: il 3-1 di Milano è stato il punteggio è stato più largo subito nell’era Guardiola, il Barça non aveva ancora perso con due gol di scarto da quando il catalano aveva preso le redini.

La notte magica, al ritorno

Nella seconda tappa, il Barça aveva bisogno di una vittoria per 2-0 per andare avanti, un risultato per tanti non così impossibile. Anzi: proprio fattibile.

Del resto, in quella stessa stagione, nella fase a gironi, la prima partita tra i due club finì con quel punteggio. L’ambiente era carico. La squadra era carica. Guardiola era carico. Mourinho? Più carico di tutti.

La dinamica del match fu molto simile all’andata, ma stavolta senza tanti gol. Momento iconico: Thiago Motta viene espulso al trentesimo minuto per un fallo su Sergio Busquets (pure qui: come dimenticare l’immagine del centrocampista che si contorce e nel mentre spia l’arbitro, divenuta meme), e davanti a un’ora di gioco contro il Barcellona più forte di sempre, Mourinho riuscì a inventarsi la mossa delle mosse: Eto’o schiacciato, a fare da terzino. Lo stesso bomber che poco prima aveva reso immortale quel Camp Nou, era appena diventato un gregario di lusso vestito di nerazzurro.

In una partita determinata dagli episodi – Julio Cesar fuoriclasse, raccomandiamo la visione della parata sul mancino di Messi -, i blaugrana passano al minuto 83: decide ancora Piqué, in una posizione sospetta.

I Culés sognano forte, hanno tra le mani la chance di ribaltare un destino che sembrava già scritto dal difensivismo interista. Mentre tutti guardano Yaya Touré, Bojan Krkic segna il 2-0: per fortuna interista, il belga De Bleeckere, l’arbitro della gara, aveva già fermato il gioco. Qualche minuto più tardi, arriveranno altri tre fischi, dolcissimi per gli italiani, qualcuno in più dagli spalti e non esattamente amichevole.

L’indirizzo? José Mourinho, tornato a Barcellona dopo il suo periodo da vice ai tempi di Van Gaal, fu protagonista di una controversa celebrazione in campo dopo la partita. In particolare, la prassi d’esultanza lo vide gettarsi in ginocchio sul campo, correre forte e, più tardi, rivolgersi agli spalti con il dito indice che mostra il numero uno.

Inutile aggiungerlo: quell’immagine fece il giro del mondo. Così come quella di Víctor Valdés, arrabbiato per il risultato e per l’atteggiamento dell’allenatore portoghese, che affrontò di petto Mourinho, rimproverandolo per il suo atteggiamento.

L’aneddoto post partita

L’aneddoto post partita è uno di quelli da ricordare: il personale del Camp Nou ebbe l’idea di accendere gli irrigatori in campo mentre i giocatori dell’Inter stavano ancora festeggiando il loro posto in finale. Risultato: si infilarono tutti negli spogliatoi, bagnati fradici e felici di un traguardo storico.

Quella semifinale è stata ovviamente speciale per i nerazzurri, ma anche per i blaugrana: nel 2010, la finale di Champions League è stata giocata al Santiago Bernabeu, la casa degli eterni rivali. Gli uomini di Guardiola avrebbero potuto provare a difendere il titolo a Madrid, ma Mourinho e i suoi uomini lo hanno impedito.

Toccò all’Inter disputare quella partita, e a Madrid diventare la città del cuore di Mou. Almeno per qualche tempo…