Vai al contenuto

Poco meno di 14 anni fa, i tifosi interisti festeggiavano l’episodio 3 di 3 di una serie televisiva che raramente i fan di qualsivoglia squadra, possono vantare di aver visto nell’arco dell’infinito girovagare da uno stadio all’altro del mondo.

Quella puntata ebbe come set il Santiago Bernabeu e vi parteciparono alcuni attori principali, tra i quali un Principe, altri di secondo e terzo piano, un regista portoghese, una vittima predestinata giunta dalla Germania e gli eroi di fine episodio.

Il delitto perfetto

La sceneggiatura di quel delitto perfetto, magistralmente architettata nella capitale spagnola, rimase scolpita nelle menti e nel cuore dei tifosi nerazzurri, tanto che chiunque abbia partecipato emotivamente a quel trionfo, ricorda perfettamente il posto nel quale si trovava durante quei 96 minuti di partita.

Lo ricordano di certo i circa 30.000 che affollarono i settori riservati loro al Bernabeu, lo ricordano gli oltre 100.000 che si riversarono in Piazza Duomo la notte del 22 maggio, ma lo ricorda anche chi guardò la partita in TV, o la ascoltò alla radio.

Quasi tre lustri dopo, a qualche kilometro dal Bernabeu, in quella stessa Madrid, si è consumata nella notte del 13 marzo 2024, una battaglia al termine della quale, l’Inter non è riuscita a regalare una nuova gioia ai suoi supporters.

La squadra di Simone Inzaghi esce agli ottavi di finale della Champions League da vice-campione d’Europa, dopo un’andata contro l’Atletico Madrid che aveva palesato un dominio riconosciuto da tutti, ma certificato dalla miseria di un solo gol realizzato, peraltro arrivato nella parte finale della partita del Meazza, grazie ad Arnautovic, assente nel match di ritorno al Wanda Metropolitano.

Fine della corsa

Chi vi scrive proverà ad evitare la retorica di una frase come: “una sconfitta non pregiudica il lavoro svolto e i risultati raggiunti“, una sorta di marchio da apporre nell’imballaggio di un virtuale corriere di Amazon ( Prime ), che ha ieri recapitato nelle case dei tifosi nerazzurri, diciamolo chiaro e tondo, una delusione cocente che si doveva a tutti i costi evitare.

Che poi il calcio sia fatto di episodi, siamo d’accordo tutti, così come lo siamo se vogliamo rifarci alla cantilena che per arrivare a vincere una Champions ci vuole fortuna.

Vi è però da analizzare un altro paio di dinamiche, scevre da qualsivoglia patina di sentimentalismo e opacizzazione, che non aiutano a levare quel fastidioso fumo degli occhi del quale si avvalgono i non vincenti.

La necessaria presenza di Barella

Gli episodi, si diceva. Lasciando da parte per un attimo i dati della partita, le occasioni avute da una parte e dall’altra e il mero schieramento deciso da Inzaghi, che peraltro è cambiato poco e niente rispetto a tutte le altre partite che hanno messo in condizione l’Inter di dominare il campionato in corso, vi sono delle meccaniche che non per forza devono avere un responsabile.

Non è un mistero, lo abbiamo scritto tante volte, che uno dei segreti dell’equilibrio tattico dell’Inter, è dovuto alla straordinaria dinamicità del duo di mezz’ali che questa stagione hanno tirato la carretta praticamente sempre, Barella da una parte e Mkhitaryan dall’altra.

Dopo qualcosa come 13 vittorie consecutive, l’Inter non è apparsa spumeggiante e piena di vitalità, nella giornata in cui l’armeno è sembrato stanco, e diamogli pure torto a 35 anni, e il cagliaritano è parso poco lucido in un paio di occasioni.

La verità è che si dovrebbero analizzare le partite senza cadere nella sindrome del voto da fantacalcio, dove si è spesso abituati a valutare le prestazioni di Caio, rispetto alle occasioni da rete trasformate in gol da quelle di Sempronio, piuttosto che il salvataggio difensivo in extremis, o il lancio illuminante.

Per quanto riguarda Barella, rimaniamo sul giocatore della nazionale, occorre uscire dal Bar dello Sport e analizzare l’ennesima prestazione di una sorta di miracoloso esponente del moto perpetuo, che pure ieri non si è fermato nemmeno un frangente, se non subito dopo il tiro calciato tra le braccia di Oblak, che, ovviamente, rimarrà la lettera scarlatta di una partita persa, al pari del tiro alle stelle di Thuram.

Meno lucidi?

Tutto questo per dire che fino a quando Barella è rimasto in campo, Inzaghi ha potuto contare sull’unico elemento che faceva da raccordo tra la difesa e l’impostazione di Calhanoglu, ancora una volta ordinatissimo dal basso e, proprio per questo motivo, i nerazzurri non hanno disdegnato di avvicinarsi alla porta avversaria.

Uscito Barella, tale compito è passato al solo Mkhitaryan, che, al minuto 84, tutto può assicurare, tranne che una maratona con e senza palla per impegnare la trequarti avversaria.

Si aggiunga che in precedenza Inzaghi aveva rinunciato a Bastoni, molto più manovratore di Acerbi, Frattesi non può fare il lavoro di Barella e, soprattutto, Bisseck non ha le stesse caratteristiche di Dumfries, ieri peraltro deludente, per una mossa che ha costretto Pavard a giocare in una posizione non sua e a Darmian a cambiare fascia, mettendo in evidenza una squadra che non ha più avuto più i punti di riferimento in un momento in cui l’Atletico avrebbe dovuto mettere in campo lo sforzo massimo per trovare i supplementari.

Nessuna colpa

Ecco perché è difficile puntare il dito sugli attori dell’episodio finale della stagione 2024, alle volte succede che un giocatore così importante come Barella, possa non farcela più e chiedere di essere sostituito, ammesso e non concesso che sia andata in questo modo.

Una sorta di domino che, nonostante tutto, si è rimesso in ordine durante i supplementari, quando l’Inter è tornata ad essere padrona del campo ed è in quel momento, che si sarebbe dovuto osare di più, anche perché l’Atletico Madrid era palesemente sulle corde, molto di più di quanto non lo fossero i nerazzurri.

I rigori non vanno commentati, tutti i lettori sanno che vi è poco da filosofare su un tiro dove si è uno contro uno e tutte le tattiche lasciano il tempo che trovano, freddezza e mira, a parte.

Sparare sul pianista è sempre la cosa più comoda e semplice da fare, ed è sport prettamente italico.

Il calcio è magico perché regala gioie come il triplete e dolori come una rimonta al Wanda con una squadra inferiore tecnicamente, l’importante è che quella palla non smetta di rotolare.

Mai.