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Il concetto stesso di analisi per un derby è quanto mai inopportuno. Per motivi noti e arcinoti. Ma quello che abbiamo visto nelle prime cinque giornate di campionato, poiché si è ripetuto con cadenza quasi clinica, merita una riflessione sul modo di giocare di Roma e Lazio. Così diverse, così vicine.

Allenatori contro

Non potrebbero essere più agli antipodi in effetti José Mourinho e Maurizio Sarri.

Il primo, impareggiabile leader carismatico, ottavo (forse nono, o decimo chi lo sa?) Re di una Roma orfana del suo simbolo più rappresentativo, del suo gladiatore pronto a difenderla dai leoni dell’arena: Francesco Totti. Ecco, come ha scritto Giancarlo Dotto nel suo ultimo libro, Mourinho è già questo, oltre ad essere molto altro: il nuovo simbolo di Roma. In quale altro luogo denso (unicamente) di storico significato poteva essere presentato lo Special One, se non al Campidoglio, casa dei Cesari di Roma?

Prendete Mourinho, ribaltatene la figura e avrete Sarri. Arrivato quasi più per rivalsa, per allergico prudore a sua maestà José dall’altra parte del Tevere che per reale progetto tecnico, l’ex allenatore della Juventus è stato accolto come il profeta dell’apocalisse dai tifosi della Lazio.

Dopo cinque anni di Simone Inzaghi, una storia d’amore finita nel modo sbagliato, Claudio Lotito ha riportato entusiasmo in una piazza che ne aveva bisogno come l’aria. Specie in virtù dell’indimenticabile tradimento di Simoncino, sorta di Bruto, quoque tu – e le immagini di Lotito sotto casa di Inzaghi all’indomani del sì a Marotta rievocano in effetti le stesse, antiche e aurorali vicende imperiali.

In fondo Roma è la città dell’Impero e quindi via con la retorica: José caput Moundi, Sarri il Comandante, ma anche il Filosofo, e José il Papa – come ha cantato e scritto un tifoso giallorosso al suo arrivo a Fiumicino.

Una Lazio ancora da registrare

La vera domanda è se oltre la retorica ci sia spazio per una seria analisi tattica. La si può azzardare, senz’altro, ma attenzione alle trappole: entrambe, tanto la Roma quanto la Lazio, sono cantieri aperti. La Roma lo è almeno dai tempi di Fonseca, e il lavoro di Mourinho, per quanto straordinario in termini di risultati, non può dirsi già ultimato dopo cinque giornate di campionato e tre di Conference League. Per la Lazio di Sarri, chiaramente, il discorso si fa ancora più complicato, estremizzando quello appena svolto su Mourinho.

Partiamo dal modulo. La Lazio di Inzaghi giocava con un 3-5-2 a dir poco dogmatico. Un modulo, soprattutto, che diceva implicitamente: veniteci a prendere, che noi balliamo volentieri nel vostro campo aperto. Il gioco di Sarri, al di là del modulo (4-3-3), è in questo senso un’autentica rivoluzione copernicana. Ribaltate il detto inzaghiano, e avrete: veniteci pure a prendere, cambia poco; siamo noi a dominarvi. Nelle intenzioni, fino ad ora, ça va sans dire.

Per quanto parlando del calcio di Sarri si pensi subito alla fase offensiva, ai fraseggi stretti ed illuminanti tra metà campo e trequarti, la verità è che la prima vera grande rivoluzione apportata dal tecnico toscano alle sue squadre è quella che riguarda il reparto difensivo. Mettetevi nei panni di una difesa a 3 a cui viene chiesto di mettersi a 4 dopo cinque anni, soprattutto alla luce del radicale cambio di mentalità implicito nella scelta numerica: dall’attesa all’offesa. In realtà non avete bisogno di immaginarla, perché è già tutto accaduto: alla Juventus, appunto, un paio di anni fa.

La Lazio in queste prime partite è apparsa estremamente fragile, e d’altra parte i risultati almeno statistici della porta (in)violata lo testimoniano. È vero, si è visto anche qualche rapido e subitaneo lampo di sarrismo, ma anche all’occhio meno attento non sarà sfuggita la grandissima fatica del reparto difensivo biancoceleste in fase di non possesso.

Qui, quando la palla viaggia tra la difesa e il centrocampo e la Lazio tende a salire su ordine di Sarri con la linea quasi fino a metà campo, la Roma di Mourinho potrebbe infilarsi come affilato ago nel pagliaio – anche perché la difesa della Lazio tende ancora inconsciamente ad arretrare, vedasi i gol di Leao e Keita, quando attaccata. La fase difensiva della Lazio, al momento, davvero è fragile come la paglia. E il gioco della Roma, veloce e tecnico, di ripartenza e fiammate, può essere letale.

Un piccolo grande aiuto potrebbe arrivare dall’assenza di Pellegrini, vero motore della formazione giallorossa nelle prime uscite della stagione.

Mourinho per provare a sfruttare gli spazi aperti

Difficile immaginarsi un Sarri attendista contro Mou. Non solo per motivi chiamiamoli storici, per un duello a distanza che ha già portato fuoco e fiamme in Premier League, ma prima di tutto metodologici.

Almeno nel caso di Sarri, un allenatore determinato (testardo) a sufficienza da imporre il proprio gioco sempre, no matter the enemy, e umile abbastanza da fregarsene beatamente del gioco dell’avversario, l’attesa non esiste perché non esiste la considerazione dell’avversario. Il proprio lavoro viene prima del resto.

Vale a dire: se Mourinho gioca sull’avversario, sulle sue debolezze e sulle sue insicurezze, Sarri se ne frega. Questo non significa che non lo studi, attenzione.

La Roma di Mourinho, formidabile negli spazi aperti grazie alle folate dei due esterni – soprattutto dei due terzini, con Karsdorp e Vina molto meglio di Mkhitaryan e Zaniolo finora – e agli inserimenti dei centrocampisti, Cristante Pellegrini Veretout (tutti già andati in gol), tende ad essere ancora troppo ballerina dietro, dove nella sola Serie A ha già subìto cinque gol, ballando paurosamente contro Fiorentina e Sassuolo.

Sia Roma che Lazio, detto altrimenti, sono squadre forti potenzialmente ma attualmente fragili, di sicuro non impenetrabili. Se la Roma ne ha presi cinque, la Lazio ha fatto anche peggio beccandone sette.

Il duello del centrocampo

La chiave tattica della sfida? Citando un pilastro dell’Allegri pensiero, chi sta più attento in difesa vincerà la partita.

È però interessante, in conclusione, provare a figurarsi un duello decisivo. Immaginando una partita tesa, inizialmente bloccata, ma in cui al primo episodio una delle due aprirà il campo alle scorribande avversarie, non era improbabile indicare la chiave di volta del match nel testa a testa tra Pellegrini e Luis Alberto.

La squalifica del capitano giallorosso ci priva però di quello che sarebbe stato senza dubbio lo scontro tecnico più frizzante dell’intera partita.

Nonostante questo non cambiano i principi di base. Il lavoro svolto da Pellegrini può essere tranquillamente affidato anche a Veretout che ha dimostrato una buona propensione alla rete avversaria in queste prime uscite, anche al netto dei calci di rigore in cui si dimostra infallibile. Certo, la forma di Pellegrini in questo inizio di stagione priva Mourinho della sua lancia preferita per ferire le difese avversarie, ma il tecnico portoghese dovrà fare buon viso a cattivo gioco.

Le scorribande del regista francese, alle spalle della coppia di interni laziale sarà una delle armi tattiche che un volpone come Mourinho proverà ad attuare contro la difesa di Sarri che come abbiamo detto tende a salire molto per mantenere una squadra corta come vuole il tecnico toscano.

Attenzione però anche all’effetto contrario.

Nonostante cambi il modulo, è comunque lo spagnolo ad avere il compito di inventare sulla trequarti campo. È dai loro piedi e dalle loro giocate che passa molto, se non tutto, del risultato finale.

Chiaramente non è l’unico duello degno di nota, si pensi a Cristante-Milinkovic Savic o Vina-Lazzari, o ancora Abraham-Acerbi, Immobile-Mancini (curiosa coincidenza).

In fondo il derby è il derby. La partita più importante e chiacchierata dell’anno, ma anche la meno pronosticabile.