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Sarà che il 3-3 di Werner, nel frattempo impegnato con il suo Chelsea a San Pietroburgo, aveva chiuso tutte le speranze e rimandato i pensieri al capitombolo di Stamford Bridge.

Sarà che anche il secondo tempo contro il Malmö, l’ultima del girone e squadra praticamente in vacanza, non aveva certamente illuminato volti e pensieri. Ma la Juve si è ritrovata un regalo per l’Immacolata niente male: è prima nel girone. E’ decisivo l’1-0 contro gli svedesi, targato Kean.

Ed è stato ancor più importante il pari dei Blues sul campo dello Zenit, fino alla fine (ed è il caso di dirlo) in grado di onorare la propria missione, nonostante la qualificazione praticamente certa alla prossima fase di Europa League.

Dunque, i bianconeri entrano in prima fascia per i sorteggi degli ottavi di finale. Dunque, proprio mentre si apriva la porta, dalla Russia si spalancava un portone. E allora è già partito il toto-sorteggio, con i tifosi preoccupati per Psg e Atletico, mentre vorrebbero Sporting e Benfica, o magari il Salzsburg. Tant’è, il commento di Bonucci in conferenza stampa è stato chiaro: “Alle volte è andata bene ai sorteggi e poi non siamo stati in grado di fare la partita”. I riferimenti ad Ajax e Porto non sono assolutamente casuali. Forse anche per questo Allegri ha aggiunto che “primo o secondi non fa differenza”.

Ma alla Juve manca una soluzione in attacco

In realtà si potrebbe dissentire: la Juve, con la vittoria sul Malmö, ha evitato City, Liverpool, Ajax, Real Madrid, Bayern Monaco e Cristiano Ronaldo con il suo Manchester United. Proprio sicuri che non sarebbe cambiato nulla? Anche perché la Juve vista in Champions resta la solita squadra spuntata che pure sta trovando continuità in campionato. Continuità di risultati, sì. Non certamente di gol. E lo dimostra ulteriormente l’1-0 con cui ha chiuso i conti contro i campioni di Svezia, con l’immagine di Kean che esulta una volta e si dispera in almeno 4 occasioni.

Alla Juve manca un risolutore e un uomo risoluto. Con l’ingresso di Morata al posto di Dybala a inizio ripresa, la mole di gioco è aumentata ma non c’è stato modo di chiuderla anzitempo. Considerando anche il parziale che stava maturando a San Pietroburgo, la squadra di Allegri avrebbe dovuto avere tutte le ambizioni e tutta la ferocia per azzannare la vittoria. E invece, risultato in bilico fino all’ultimo, con tanto di arrabbiatura del tecnico, adesso “preoccupato per Venezia”, per la particolarità del campo e per la rabbia che avrà la squadra di Paolo Zanetti dopo la rimonta clamorosa subita contro l’Hellas Verona.

Vedremo se il mercato porterà in dote la ciliegina su una torta che ha ritrovato una base, sta farcendo risultati, ha in preparazione la glassa. Serve chi la butta dentro. Altrimenti si può lavorare quanto si vuole, ma il castello resta sempre di sabbia.

Il modulo e i giovani

Ecco, è certamente interessante il cambio (più o meno) netto operato proprio da Allegri: anche con una formazione preparata e apparecchiata per il 4-4-2, la Juve ha saputo cambiare in corsa e sperimentare nuove situazioni. Sembra ad esempio in cantiere l’opzione Rabiot nei due di centrocampo, con Bentancur più largo e il francese a fare da scudo al regista di turno, con il Malmö Arthur ma certamente Locatelli in futuro: può essere l’ultima carta da giocare per l’ex Psg, allo stesso tempo può tagliare definitivamente fuori lo stesso Arthur. Mezzala di possesso schiacciata nel mezzo, senza un reale supporto dai compagni. Difficile vederlo al top delle gerarchie allegriane.

Comunque, nella gara apparentemente di poco valore e trasformatasi in una bella e funzionale serata di stagione, la vera sorpresa è arrivata dai giovani. Allegri ha schierato De Winter dal primo minuto: prima largo, poi più schiacciato. “Kony gioca con personalità, anche a Londra aveva fatto molto bene”, ha raccontato Bonucci a fine partita. E proprio dalla personalità di De Winter è ripartita la Juventus, finalmente in grado di dare riposo e alternative.

Nel finale sono entrati anche Da Graca e Miretti: gamba e ambizione. E preoccupazione per i più grandi? Troppo presto per dirlo. Ma l’esempio di Luca Pellegrini e le gerarchie rovesciate con Alex Sandro indicano che niente e nessuno ha un posto fisso in questo gruppo. Motivazioni e vittorie sono l’unico modo per risalire. Magari con un piccolo aiuto della sorte, vedi San Pietroburgo.