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I paradossi dello sport, a volte, possono essere crudeli. Nei prossimi giorni, ai play-in di NBA, potrebbero affrontarsi in uno scontro da dentro-o-fuori due leggende viventi, che hanno scritto e riscritto più volte la storia del basket: Lebron James e Steph Curry.

Lebron e Steph, “fratelli di Akron”

Prima di loro due, Akron era conosciuta per aver dato i natali a Nate Thurmond, sette volte all-star e 5 volte all defensive team. Accade però che, fra il 30 dicembre 1984 e il 15 marzo 1988, nello stesso ospedale di Akron nascono due bimbi destinati non semplicemente a lasciare un segno, ma a fare e cambiare la storia del basket.

Tra poco più di una settimana, il 14 aprile 2024, sapremo con certezza se si concretizzerà uno scontro che per adesso è “solo” molto probabile: quello tra LeBron Raymone James Senior e Wardell Stephen Curry II, nel match-up più importante nell’ancor giovane storia della formula play-in.

Come funziona il play-in NBA e perché lo scontro è molto probabile

Come sapranno già quelli tra voi che seguono il basket USA, il play-in è una formula implementata nella stagione del Covid e poi adottata in pianta stabile, perché mantiene più viva la competizione anche per le squadre che altrimenti sarebbero stati tagliati fuori nella lotta per guadagnare un posto ai playoff.

In sintesi, per ogni conference, alla fine degli 82 match di regular season vengono assegnati 6 degli 8 posti disponibili per i playoff direttamente dalla classifica, ovvero dal record vittorie-sconfitte per ciascuna squadra. I rimanenti due posti si assegnano invece tramite questo mini-torneo detto play-in, a cui partecipano settima, ottava, nona e decima squadra classificata nella conference di riferimento.

Ovviamente chiudere settimo o decimo non è la stessa cosa. La formula vuole che si affrontino settima contro ottava e nona contro decima. La vincitrice del primo scontro va direttamente ai playoff come settima classificata e si prepara a incontrare la seconda testa di serie al primo turno playoff. La perdente avrà a sua volta un’altra chance, perché si giocherà l’ottavo e ultimo posto playoff contro la vincente dello scontro fra nona e decima.

Fatta questa breve premessa regolamentare, appare chiaro che l’unico match autenticamente senza appello, da dentro o fuori, è quello tra nona e decima. Ecco, quest’anno ci sono forti possibilità che questo match sia tra i Los Angeles Lakers e i Golden State Warriors.

Playoff e play-in Western Conference: classifica al 5 aprile

POSIZIONESQUADRAVINTE-PERSE% DI VITTORIASTRISCIA ATTUALE
5DALLAS MAVERICKS46-3060,5%VINTA 1
6PHOENIX SUNS45-3159,2%VINTE 2
7NEW ORLEANS PELICANS45-3159,2%PERSE 3
8SACRAMENTO KINGS44-3257,9%PERSA 1
9LOS ANGELES LAKERS44-3357,1%VINTE 3
10GOLDEN STATE WARRIORS42-3455,3%VINTE 6
11HOUSTON ROCKETS38-3850%PERSE 3

Oggi, il play-in tra nona e decima sarebbe dunque tra Lakers e Warriors. Houston sembra ormai tagliata fuori, mentre dall’altra parte Dallas non dovrebbe mancare i playoff diretti, a 6 partite dalla conclusione della regular season. I Suns hanno superato New Orleans, non in caduta libera ma 5-5 nelle ultime 10 non è un ruolino di marcia rassicurante. Lakers e Warriors stanno invece salendo di rendimento, in particolare la squadra di Curry.

Il borsino per i play-in

I Lakers hanno una partita in meno da giocare rispetto a tutti gli altri, a cui ne mancano 6. Oggi, lo scontro LAL-GSW rimane ancora il più probabile, ma non è affatto scontato.

I Suns hanno un pessimo calendario (Timberwolves e Clippers 2 volte, Pelicans e Kings), ma classifica, qualità e salute sembrano al momento dalla loro parte.

I Kings hanno Celtics e Thunder da affrontare, oltre a due squadre immischiate nella lotta come Pelicans e Suns. Soprattutto, hanno due infortunati importanti come Monk e Huerter che sovraccaricano di pressione i due leader Fox e Sabonis.

I Pelicans, privi di Ingram e con Zion non al meglio, si giocano tutto con 4 scontri diretti nelle ultime 6 gare (Suns, Warriors e Kings fuori casa, Lakers in casa).

Golden State ha un calendario discreto, con Utah da affrontare due volte, ma molto – se non tutto – dirà il confronto proprio con i Lakers del 10 aprile.

Lebron vs Steph, il crepuscolo degli dei

Lebron contro Steph, ancora una volta, per quella che potrebbe essere l’ultima recita di una rivalità lunga più di un decennio.

Una rivalità strana, perché Lebron James e Stephen Curry impersonano due profili di campioni diversissimi tra loro. In comune paiono avere davvero solo quel benedetto ospedale che li ha fatti nascere.

Lebron era un predestinato, attributo che in USA si tende ad assegnare spesso anche a sproposito, ma nel suo caso nessuno si è mai sognato di metterlo in dubbio. Un po’ come Wembanyama quest’anno e altri casi come Shaquille O’Neal e Allen Iverson, per LBJ la domanda non era se sarebbe stato chiamato per primo, ma quale di quale franchigia avrebbe cambiato la storia.

Sei anni dopo, l’arrivo di Steph Curry in NBA non somigliava nemmeno un po’ alla pompa magna che aveva accompagnato Lebron fin dall’High School. Anzi, le titubanze dei Golden State Warriors sullo sceglierlo o meno con la pick numero 7 erano notevoli. C’era il dubbio se scambiare la scelta per arrivare a un veterano o a un giocatore comunque già pronto, ma il GM Larry Riley mantenne la barra dritta e insistette per prendere lui, il figlio di Dell Curry.

I due hanno poi fatto il resto, compreso scontrarsi in ben 4 finali NBA consecutive, una vinta da Lebron con i Cleveland Cavs e tre dai Golden State Warriors di Steph.

Ma fare diverse finali uno contro l’altro non è qualcosa di inedito nella NBA, è qualcosa di già visto: Larry contro Magic, Hakeem contro Ewing, Jordan contro “Stockton to Malone”, solo per dirne alcuni.

No, Lebron e Steph sono andati un pelino oltre.

Due leggende inimitabili

Mentre scriviamo, Lebron James è riuscito a superare il record che pareva più insuperabile di tutti: i 38.387 punti di Kareem Abdul Jabbar in regular season. Ad oggi, James ha superato i 40mila, compresi i playoff sono oltre 48mila. A ciò si aggiungono le 1763 partite consecutive in cui ha segnato almeno un punto, le 19 selezioni nei vari team All-NBA, i 4 premi MVP di regular season, i 4 MVP delle finals, una vittoria nella classifica punti segnati e una negli assist serviti.

Prima di lui, l’idea che uno stesso giocatore possa essere il miglior realizzatore, miglior rimbalzista e miglior passatore di una squadra, era un caso estremo e quasi sempre riservato a giocatori di team mediocri o modesti. Con lui è divenuta la normalità, e quasi sempre in contesti competitivi fino alla fine.

Stephen Curry ha invece, semplicemente, reinventato le regole del gioco. La sua meccanica di tiro abbinata a una velocità di esecuzione mai vista prima, hanno alzato l’asticella della perfezione e riscritto i canoni NBA. Per dirne una, il cosiddetto “tiro dal logo” era qualcosa che prima si faceva solo in situazioni disperate a pochi secondi dalla sirena, mentre con lui è diventata una posizione di tiro quasi come le altre.

Da diversi anni è ormai primo per dispersione nella storia della NBA per tiri da tre realizzati e per una serie infinita di statistiche legate al tiro dalla lunga distanza. Sono tantissime, ma ne prendiamo una particolarmente impressionante: primo all time per numero di partite chiuse con almeno 10 tiri da tre realizzati in una singola stagione, ben sette.

Lebron James ha portato l’idea di “giocatore totale” su un altro pianeta, Steph ha fatto altrettanto con il tiro, anche se definirlo “miglior tiratore di sempre” è riduttivo per la carriera dell’unico giocatore, nella storia della NBA, ad essere stato nominato MVP all’unanimità.

Vederli scontrarsi per un match senza ritorno, solo per guadagnarsi una post-season da giocare come estremi outsider, provocherà certo un velo di tristezza in chiunque ami o abbia amato questo gioco. Ma lo sport è così, crudele e a volte paradossale, sempre senza avvisarci.