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Dino Meneghin è uno dei mostri sacri della pallacanestro italiano… per tanti IL MOSTRO SACRO!

Classe 1950, nato ad Alano di Piave in Provincia di Belluno, è stato il primo italiano della storia ad essere scelto dalla NBA – dove non giocò mai – nonché il primo ad entrare nel Naismith Memorial Basketball Hall of Fame, il maggior riconoscimento alla carriera che un giocatore di basket possa ricevere.

Poche squadre, tanti titoli

La carriera di Dino Meneghin inizia intorno ai 14 anni a Varese, dove viene seguito e guardato con attenzione dall’allora responsabile del settore giovanile, Nico Messina. Dopo un anno di “prova” alla Robur et Fides, altra storica società varesina, inizia con la prima squadra della Pall. Varese nel 1966, a 16 anni. Qui resterà per ben 15 stagioni, vincendo 7 scudetti, 4 Coppe Italia, 5 Coppe dei Campioni, 2 Coppe delle Coppe 2 Coppe Intercontinentali, dimostrandosi ampiamente il miglior giocatore italiano in circolazione in quegli anni (e per tanti a venire), tanto dall’essere selezionato per la NBA.

Un momento, quello accaduto nel 1970, che Dino in età recente dice di aver un po’ rimpianto e che, se dovesse rinascere, vorrebbe cambiare. Al draft del ’70 infatti Meneghin fu chiamato all’11° giro (182° assoluto) dagli Atlanta Hawks, ma per via di una serie di motivi, in NBA non giocò mai. In primis per un enorme errore di comunicazione: il giocatore infatti non venne mai a sapere che sarebbe dovuto andare in America, perché sia il team americano sia i vertici della NBA non comunicarono mai al giocatore la decisione. Altro ostacolo fu il rischio di giocare molto poco al di là dell’Oceano, per via di una scelta molto alta e il timore di non avere il ruolo e la considerazione che aveva in Europa. L’anno dopo ci fu un’altra occasione, con i New York Knicks che lo contattarono per la Summer League, ma stavolta fu Meneghin a rifiutare: era reduce da un infortunio da cui stava recuperando e per via del fatto che i giocatori di basket in Italia erano catalogati come dilettanti e non professionisti, al contrario degli americani; accettando Meneghin sarebbe diventato professionista e non avrebbe più potuto giocare con la Nazionale. Così perse l’ultimo treno per l’NBA, scegliendo però di continuare a scrivere la storia in Europa. Decisione che gli diede ragione.

Nel 1981 infatti avviene il passaggio agli acerrimi rivali dell’Olimpia Milano, dove resta per ben 9 stagioni, anche qui conquistando ogni trofeo possibile: 5 scudetti, 2 Coppe Italia,2 Coppe dei Campioni, 1 Coppa Korac e 1 Coppa Intercontinentale, diventando definitivamente leggenda le basket internazionale.

Gli ultimi anni di carriera lo portano a Trieste, dove resta tre stagioni senza particolari apici, chiudendo col ritorno all’Olimpia Milano nel 1993-94, ultima stagione da giocatore.

La Nazionale e le 4 medaglie

Con la maglia azzurra Dino ha partecipato a ben 4 edizioni dei Giochi Olimpici, vincendo uno storico argento a Mosca 1980, in una squadra clamorosa con Sacchetti, Brunamonti, Solfrini, Della Fiori, Bonamico, Villalta, Marzorati, sotto la guida di Sandro Gamba. Quello uno dei momento più alti della sua vita in Azzurro, ma non l’unico. Nel mezzo della sua carriera ci sono anche una medaglia d’oro (Francia 1983) e due di bronzo ai campionati europei (Germania Ovest 1971 e Jugoslavia 1975).

Oltre ai successi di squadra, con la maglia azzurra, Dino Meneghin ha portato a casa anche tanti importanti riconoscimenti individuali: secondo di sempre per numero di presenze (272, dietro alle 277 di Pierluigi Marzorati) e secondo per punti realizzati (2845 dietro ai 3775 di Antonello Riva), numeri che ancora oggi vediamo difficili da superare.

Il post carriera: la parte più difficile

Non sempre un grande giocatore riesce ad avere altrettanto successo, restando nel proprio sport, anche a fine carriera, soprattutto nel momento in cui deve cambiare ruolo. E’ quanto accaduto a Meneghin, che prima ha fatto il team manager all’Olimpia Milano, poi ha collaborato con Sky Sport nella redazione basket (con un ruolo marginale), poi ancora, nel 2008, è stato nominato dal CONI commissario straordinario della FIP in seguito alle dimissioni di Fausto Maifredi e successivamente è diventato Presidente, nel febbraio 2009. Incarico ricoperto fino al 2013, per poi assumere il ruolo di presidente onorario una volta avvenuto il passaggio con Gianni Petrucci, tutt’oggi in carica.

Ognuna di queste fasi ha visto Dino impegnarsi non poco per essere la miglior versione di sé stesso, in ruoli che evidentemente non gli calzavano bene addosso, almeno mai quanto canotta e calzoncini. Un epilogo che spesso accade a chi è stato grandissimo in campo.

Oggi Dino – che nel post carriera ha ricevuto altre onorificenze come le chiavi della città di Alano di Piave (suo luogo natio), la cittadinanza onoraria di Varese, l’ingresso della Walk of Fame dello sport italiano e, per ultima, il ritiro della sua maglia numero 11 per conto dell’Olimpia Milano – non ha particolari ruoli istituzionali, eccezion fatta appunto per quello di presidente onorario della FIP, e si limita a presenziare agli eventi più importanti in qualità di leggenda del nostro basket. All’età di 73 anni può dedicarsi alla famiglia, alle nipoti (quelle avute dal figlio Andrea), portando a spasso un nome e un prestigio che in pochi possono vantare.