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Forse è il caso di dirlo. E di dirselo. Tra le linee di fascino del calcio di un’altra epoca, c’era anche la possibilità concreta che i miracoli capitassero, che arrivassero dall’alto (certo) di un’organizzazione importante e con nulla lasciata al caso, ma anche per tutto quel talento sparso per il nostro Paese. Talento di provincia. Che nella provincia, a vivere e decidere lì, non ci trovava poi così nulla di male, così sbagliato. C’era una volta, ed è il caso di ribadirlo, un calcio che non pensava al possesso e che dava in pasto a tutti storie uniche per le quali vivere, con le quali sognare.

Il Vicenza del 1977-1978 è una di quelle squadre che ha fatto innamorare. Bambini e grandi, uniti nel biancorosso di una maglia simpatica e di una città unica nel suo genere. La Lanerossi – nome che resta – di Giovan Battista Fabbri era una flebile promessa diventata ben presto una solida realtà. Fatta di uomini, ancor prima di campioni. Pur avendone di importantissimi, a partire dal fuoriclasse e Pallone d’Oro Pablito Rossi.

La storia dietro quel Vicenza

Ecco, ma partiamo proprio da Fabbri.

Fu una delle intuizioni di Giuseppe Farina, patron del club: Gibì veniva da stagioni complicate, dalla beffa di un Piacenza formidabile eppure mai promosso in B. Fabbri era però un profondo conoscitore di calcio: era partito dalle giovanili del Torino, aveva lavorato in quel settore anche alla Spal e al Cesena, prima di iniziare il suo girovagare tra le panchine italiane.

A lui si deve un guizzo che cambierà per sempre la storia del pallone in Italia: da ala, quel giovane e funambolico esterno chiamato Rossi, diventa un attaccante spietato, roba da star fissi sotto porta e portare il pallone verso di sé. Mai il contrario.

Nell’arco di due anni, arriva una promozione in Serie A quasi miracolosa. E arriva poi il 1977-1978, l’anno delle meraviglie. E delle sorprese, soprattutto. Nella prima stagione nella massima serie dopo due anni di purgatorio, il Vicenza non era infatti cambiato di una virgola, eccetto per quel guizzo di Fabbri. L’attaccante titolare, Alessandro Vitali, aveva ceduto il posto all’ala destra Paolo Rossi. Che all’inizio fatica, così come la squadra: dopo cinque giornate aveva incassato solo tre punti, frutto di soli pareggi e due sconfitte. Come in ogni grande storia, la rivelazione è però dietro l’angolo.

Anzi, è oltre il match contro l’Atalanta: si rivede intanto Franco Cerilli, ala di livello assoluto; c’è in particolare l’esordio di Mario Guidetti, mediano. Ai bergamaschi ne mette immediatamente due, rilanciando la squadra.

La stagione dei record

Un rilancio che vale però una stagione.

Perché da lì in poi cresce la consapevolezza di poter fare qualcosa di inspiegabile, di cavalcare il campionato a pelo, senza aver paura delle conseguenze e di rischiare giocate e punti.

Il Vicenza inizia a togliersi una serie clamorosa di soddisfazioni: vince in casa contro la Roma (4-3, con rigore parato da Galli all’ultimo minuto ai danni di Di Bartolomei) e vince sempre, vince ovunque. Alla dodicesima giornata, il bottino parla chiaro: è a un solo punto dalla vetta. Potrebbe bastare anche questo a Fabbri. Ma non lascia: vuol raddoppiare.

Nel girone di ritorno, il Lanerossi prosegue spedita, ha una serie positiva e sta lì con Milan e Torino, lotta per il secondo posto.

C’è una vittoria chiave che riscrive le gerarchie di quella Serie A: è a Napoli, ed è 1-4 superlativo. Vicenza ribolle e si prende definitivamente la seconda piazza, arrivando a un record destinato a fare la storia: pochi anni prima, la Lazio aveva registrato il miglior campionato di sempre per una neopromossa.

Il ‘Lane‘ riscrive quel record, lo fa con 39 punti all’attivo – ai tempi ogni vittoria regalava due punti, differentemente dai tre di oggi -, frutto di quattordici vittorie e undici pareggi, appena cinque sconfitte. Soprattutto, in trenta partite giocate di campionato, il Vicenza fu una macchina da gol: 50 reti fatte contro le 34 subite.

Naturalmente, chi poteva essere il capocannoniere? Paolo Rossi arrivò a raccogliere 24 reti in 30 gettoni.

Per capirci: il secondo miglior cannoniere fu Faloppa, con 4 reti; Callioni e Prestanti rimasero invece a quota 3. Per Rossi, parte fondamentale del miglior attacco della stagione, arrivò la prima convocazione in nazionale e la partecipazione al Mondiale del 1978. Fabbri fu però il grande volto di quella squadra, mai tornata così brillante.

A fine stagione, nonostante la vittoria dello scudetto da parte della Juventus, Gibì portò a casa il riconoscimento del Seminatore d’Oro. Era il miglior allenatore italiano dell’anno. E aveva appena regalato al Paese un sogno chiamato Paolo, poi Pablito, Rossi.