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Se non fosse arrivata quella chiamata da parte di Claudio Lotito, Stefan Radu oggi potrebbe parlare delle sue gesta calcistiche al passato. Aveva pensato di smettere. L’aveva anche detto al suo procuratore.

Se non ci fosse stata la Lazio nel suo presente, a quel punto avrebbe avuto poco senso ricominciare, ripartire da zero, conoscere un nuovo spogliatoio e sentirsi di nuovo in competizione per un posto, dare una mano a ragazzi, essere senza dubbio di troppo.

Stefan Radu sembra un mastino in campo e invece fuori è un uomo che ragiona su ogni cosa. Soprattutto su azioni e conseguenze. E’ arrivato a Roma da ragazzino, un po’ spaventato, tra le mura di Formello ha preso in mano la propria carriera e ha riportato i biancocelesti in mille fasi diverse. Dalle difficoltà e poi il primo exploit con Reja a tutta l’era Inzaghi. Con Sarri non sembra funzioni al massimo, ma con l’esempio Radu è rimasto lì, a lottare, a ritagliarsi un posticino anche in una filosofia che non sente particolarmente sua.

Un mondo di speranze

Radu resta Stefan, per tutti. Anche in questo periodo in cui il campo è un po’ più lontano, è sempre il primo a incitare i compagni e ad attenderli nei momenti clou, dopo o prima dei match, quotidianamente tra le mura del centro sportivo.

Del resto, lui ha vissuto tutto e dunque può parlare con la massima cognizione di causa. Anche se non si è mai sentito davvero il capitano di quel gruppo e poi di questo. Quando i compagni volevano affidargli la fascia, decise di lasciarla a Lulic. “Nel momento in cui il mister aveva deciso di darmi la fascia ho deciso di lasciarla a Lulic. La meritava. Ho sempre detto che non mi sentivo di farlo“, ha raccontato in più interviste.

Ma com’è nata questa lunghissima storia d’amore? Stefan è partito dalla Dinamo Bucarest: un terzino tutta corsa e ambizione, che la Lazio opziona ma senza crederci fino in fondo. Il primo approccio è per un prestito, un test per capire quali potessero essere le sue potenzialità e soprattutto l’approccio con il calcio italiano.

I primi momenti sono stati complicati: “Ero un ragazzino spaventato. Ero arrivato in un Paese diverso, praticamente ero da solo però ho avuto la fortuna di trovare dei compagni che mi hanno accolto molto bene e piano piano sono diventato uno della famiglia“, ha raccontato qualche anno fa al Messaggero. Nella sua prima Lazio c’erano soprattutto Pandev e Kolarov, maestri di vita. L’inserimento è stato più veloce.

Nel 2008, la grande occasione e l’esordio a gennaio a Firenze, contro la Fiorentina. Con Delio Rossi ottiene un riscatto non semplice, ma anche il primo trofeo: è la sua prima in assoluto ed è la Coppa Italia forse più esaltante. Arriva Ballardini e il suo percorso sembra più netto. Vince la Supercoppa contro l’Inter e a metà stagione c’è la svolta chiamata Edi Reja. Finalmente la Lazio trova vera continuità. Così come Stefan.

Tante Lazio diverse

Tante Lazio diverse si univano nel segno di Reja, che porta la Lazio dodicesima ma inizia a cambiare drasticamente la formazione, un colpo dietro l’altro. Radu è un punto fisso di una rivoluzione, soprattutto difensiva. Con Andre Dias e Biava in mezzo, con Lichtsteiner sull’esterno destro, i biancocelesti sono solidi, brillanti, vivono di fiammate ma hanno una buona base a cui appoggiarsi. Da lì si scatena il mercato, con le big italiane pronte a chiamare. E’ forse l’Inter, la squadra a cui si avvicina di più. Ma ci pensano anche Juventus e Milan.

Radu decide di restare, anche perché Lotito tiene fede a una promessa importante: il 17 giugno 2011, per mettere a tacere tutte le voci, arriva un contratto da 5 anni e una scadenza fissata 2016. E allora prosegue il treno laziale, e prosegue con gol, presenze, giocate. Sconfitte, dolorosissime, come la Supercoppa 2013 contro la Juventus. Vittorie, come la meravigliosa Coppa Italia di qualche mese prima, contro l’avversaria di sempre e cioè la Roma.

Ma sono anni in cui la Lazio è una squadra grande e quasi grandissima. Sfiora così tante volte un posto in Champions che a contarle si fa fatica. Soprattutto nelle coppe, la mentalità che inculca un giovanissimo Inzaghi cambia drasticamente la storia del club biancoceleste: in 5 anni arrivano tre finali tra Coppa Italia e Supercoppa, tutte perse.

E poi il successo forse più bello, perché meno atteso: la Supercoppa Italiana all’Olimpico, per 3-2 all’ultimo istante grazie al gol di Murgia. Un colpo dopo l’altro e ancora una Coppa Italia, la terza, nel maggio 2019; contro il suo attuale allenatore, Maurizio Sarri, vincerà poi il sesto titolo. La Supercoppa del 22 dicembre 2019.

L’ultimo Radu

Tutto questo però ha avuto un prezzo: il rapporto con la nazionale rumena. Stefan, già nel 2013, decide di lasciarla dopo 7 anni di militanza. Il motivo è semplice: non riesce a mantenere l’integrità fisica, essere al 100% per la Lazio e per la Romania. “Purtroppo per dei motivi di salute ho deciso di puntare tutto sulla Lazio e non sulla nazionale, non mi pento di questa scelta. Penso che anche in questo momento è stata la decisione giusta”, ha raccontato anni più tardi.

Anni in cui a Roma si è sentito coccolato, amato, parte di una grande famiglia. Il turning point? Ce ne sono almeno due. Quando ha perso suo padre, più di dieci anni fa, e subito dopo giocò a Catania: “Un momento delicato, bruttissimo. Pensavo di smettere”, e invece tutto il mondo Lazio gli si è stretto attorno, dandogli la forza per affrontare il momento. Poi, la vittoria della Coppa Italia con la Roma: “Con Lulic ne parlo sempre, siamo entrati nella storia della squadra e l’abbiamo fatto per tutta la vita”.

Radu ha raggiunto Aldo Puccinelli il 6 gennaio 2021, diventando il giocatore più presenze nella storia della Lazio in Serie A; il 21 marzo ha raggiunto e poi superato Beppe Favalli al primo posto per presenze in assoluto in maglia biancoceleste.

Nessuno come lui.