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Predestinato. C’è qualcosa di mistico nel pensare che il destino di ognuno di noi è in qualche modo già scritto in partenza. Che tutte le azioni, anche le più insignificanti, che abbiamo compiuto siano un passaggio per giungere a un punto preciso della nostra vita, in cui dovremo fare qualcosa di speciale.

Ecco allora che un giocatore buono, ma non certo eccelso, vive la sua carriera sportiva macinando chilometri a centrocampo nel Barcellona, per poi godersi il finale di attività tra l’Italia e il Qatar. Sembra una vita più che dignitosa, con qualche eccellenza e tanta sostanza. Ma un predestinato sa che quello è solo il passaggio per giungere al punto focale. E nel caso di Josep Guardiola, il suo momento speciale arriva proprio al suo esordio da allenatore, nelle file del suo amato Barcellona.

Il ritorno al Barcellona

Nel 2006 Josep “Pep” Guardiola appende definitivamente le scarpe al chiodo. Guardandosi alle spalle la sua personalissima bacheca dei trofei è bella piena: per sei volte campione della Liga in blaugrana, più svariate coppe nazionali e internazionali (tra cui la Coppa dei Campioni nel 92). Ci metti dentro anche l’oro olimpico con la nazionale e abbiamo fatto un palmares da campioni.

C’è quindi di che essere soddisfatti, anche se fino a quel momento in pochi avrebbero scommesso su una sua gigantografia nell’almanacco della storia del calcio. Così come in pochi si sarebbero aspettati quello che sarebbe successo di lì a breve, quando nel 2007 si sedette sulla panchina del Barcellona B, giusto per farsi le ossa.

Ancor meno quando già l’anno dopo prende il posto di Frank Rijkaard in prima squadra, ereditando una squadra alla fine di un ciclo, con una serie di cessioni del calibro di Thuram (ritirato), Ronaldinho, Deco, Zambrotta ed Edmilson. Ma come si dice, finito un ciclo, ne inizia un altro e Guardiola sembra l’uomo adatto per far crescere molti dei giovani di quella rosa, come Piquè (appena arrivato dallo United), Dani Alves (dal Siviglia) o Busquets salito proprio dalle giovanili.

Ci vorrà tempo, ma i risultati arriveranno, si pensava. E invece, i risultati arrivarono subito.

Il primo anno del Barcellona di Guardiola

Squadra rivoluzionata quindi, soprattutto nella mentalità che Guardiola riesce subito a imporre ai suoi. Il già altissimo tasso di talento quindi, si sposa così con una propensione all’attacco e al controllo quasi morboso del gioco.

Il dominio del Barca in Liga nel suo primo anno è devastante: miglior attacco (105 reti), miglior difesa (35 gol) e lo sfizio di andare a vincere il “Clasico” a Madrid con un roboante 2-6 con doppietta di Messi e gol all’esordio per il giovane Piquè.

E’ una squadra davvero pazzesca quella, con un centrocampo spaziale guidato dal metronomo Xavi e dal genio di Iniesta, ma anche con un trio d’attacco Henry, Eto’o e Messi difficilmente eguagliabile.

Il successo nella Coppa del Re porta già una dimensione storica per l’anno dell’esordio di Guardiola, ma non basta. Perchè la consacrazione arriverà all’Olimpico di Roma, sede della finalissima di Champions League. Il Barca ha fatto fatica in semifinale ad eliminare il Chelsea, ma nell’ultimo atto non c’è storia e con i gol di Eto’o e Messi si prende facilmente la vittoria contro lo United di Rooney e Ronaldo.

E’ triplete. Alla sua prima stagione in maglia blaugrana. Ma è soprattutto la consacrazione di una nuova filosofia tattica portata da Guardiola sul tetto del mondo, il “Tiki-Taka”.

Il “tiki-taka” di Guardiola

«Ricevo la palla, passo, ho la palla, passo, ho la palla, passo, ho la palla, passo.»

Xavi sintetizzava così, in maniera molto semplice e chiara, il “tiki-taka” che Guardiola aveva imposto come credo in quel Barcellona.

Una rete di continui passaggi corti che avevano il doppio scopo di sfinire gli avversari in un pressing costante, oltre naturalmente a tenere sempre in mano il pallino del gioco per poter sfruttare qualunque spazio si aprisse davanti a loro.

Un gioco ideale per le caratteristiche dei giocatori di quel Barcellona, che più che forza fisica aveva tra le linee tanti piedi buoni e gambe veloci. Xavi e Iniesta erano perfetti in quel centrocampo per dare ordine nella fase difensiva tanto quanto per proporre gioco in quella offensiva. Soprattutto quando poi davanti potevi contare con uno come Messi, talento allo stato puro ed esaltato come non mai proprio dalla strategia di gioco di Guardiola.

Le conseguenze tattiche di questa strategia, si può dire che abbiano letteralmente rivoluzionato il calcio moderno, non solo per una direzione sempre più tecnica delle caratteristiche di molti giocatori a centrocampo e in difesa, ma anche in avanti aprendo alla possibilità di quello che poi sarebbe diventato il “falso nueve”, ma che in definitiva significa non avere una punta fissa di riferimento, potendo invece contare su ancora più imprevedibilità (e di nuovo su caratteristiche del giocatore più mirate a velocità e tecnica che non la pura forza fisica di molti attaccanti).

Le vittorie a raffica

La bacheca di Guardiola nel cinque anni di Barcellona si riempie a una velocità pazzesca e in breve diventa l’allenatore più vincente della storia portandosi a casa ben 14 titoli alla fine, tra cui tre volte la Liga, 2 Coppa di Spagna, 2 Champions League e le 2 relative Coppa del Mondo per Club. Oltre a una sfilza di Supercoppe nazionali e internazionali.

L’impatto di Guardiola è stato quindi devastante, diventando in breve uno degli allenatori più vincenti e ricercati al mondo. La sua parentesi con il Barcellona infatti, si chiude non certo per un momento di flessione quanto piuttosto per l’esatto contrario. L’aver vinto tutto quello che c’era da vincere, aveva secondo lui fatto perdere quegli stimoli alla squadra che ora voleva cercare altrove.

Gloria che troverà poi, anche se ridimensionata, anche al Bayern e al City, ma è indubbio che gli anni del Barcellona rappresentano al momento l’apice della sua carriera e hanno mostrato al mondo una delle squadre migliori di sempre e con un gioco incredibile.