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Che poi la bellezza del calcio è anche questa: scavare un po’ più a fondo nel suo ieri e ritrovarsi al passo con la storia. Prendete questa stagione, ad esempio. O meglio: prendete l’inizio, quando tutto era più tranquillo e ogni cosa aveva i tratti di un’annata come un’altra. Per i milanisti, nonostante una lotta serrata per il quarto posto fino all’ultima giornata, tra le mille beffe ne hanno tollerata una a cuor leggero: il posto in Europa League, comunque sudatissimo, è scomparso sul tavolo degli accordi tra club e Uefa. Il Milan, semplicemente, non sarebbe riuscito a tenere il ritmo (anche economico) della competizione.

Sono lontani i fasti delle Champions, dell’era Berlusconi. Questi sono i tempi della ricostruzione, con lo sguardo comunque fiero a tutto ciò che è stato.

E a proposito di ‘rinunce’ (più o meno forzate) all’Europa, in mente a tanti è tornato il Milan del 1991. La squadra più forte di tutte, espulsa dalle massime competizioni. Il motivo? Risiede in una storia assurda.

La partita del 1991

Sì, una storia proprio assurda. Quasi irreale. Difficilmente giustificabile per qualcuno con un po’ di buonsenso. Accadde il 20 marzo del 1991, nel vecchio Stadio Velodrome di Marsiglia. Due squadre e un turno di Champions, un quadro privo di singola pennellata ma con una cornice che vale già una fortuna.

Da una parte il Milan, una macchina di creatività e potenza, in grado di dominare il periodo d’oro del calcio italiano. Campioni d’Europa nel 1989 e nel 1990 con una superiorità imbarazzante sugli avversari, i rossoneri sono al massimo della propria espressione grazie alla crescita degli olandesi Van Basten, Gullit e Rijkaard, perfettamente inseriti in una rosa lunga e fortissima. Un miracolo che porta ancora oggi il nome di Arrigo Sacchi: il romagnolo prese una squadra ferita e la incoronò come una delle migliori di tutta la storia. Erano i favoriti, obbligati a essere nuovamente campioni. Allo stesso tempo consapevoli che nel calcio nulla, proprio nulla, può esser deciso in partenza

Dall’altra parte, anche idealmente e non solo sul terreno di gioco, l’Olympique di Marsiglia. Un gruppo ugualmente spaziale, più volte campioni in Francia e certamente il volto migliore in quell’epoca di pura crescita del calcio transalpino. Un vero e proprio sogno per un popolo di mare e passionale, portato via da uno dei più grandi scandali francesi (persero anche i titoli conquistati). In campo, comunque, per loro vigeva la regola di Papin. E spesso bastava.

Insomma, nel marzo del 1991 si giocavano gli ottavi di finale di quella che ancora veniva definita Coppa Campioni: contro ogni pronostico, all’andata il Milan pareggiò a San Siro per 1-1. Un risultato negativo, i mugugni di Milano sembravano interminabili. Ruud Gullit aveva regalato il vantaggio ai rossoneri, poi Papin si era fiondato sul pallone e siglato il pari negli ultimi istanti. La squadra di Sacchi, per quanto fortissima, doveva conquistarsi tutto nella bolgia del Velodrome. Il vecchio stadio, con una bolla di tifosi, pressione, urla e paura. Un impianto non può far gol, è vero. Ma può condizionare gli animi, gli umori. Scatenare il terrore.

Lo stratagemma di Galliani

Com’era facilmente prevedibile, l’ansia del campione andò a chiedere riscatto. Non che il Marsiglia stesse giocando la partita del secolo, ma con una buona difesa e provando a colpire in contropiede, fece scorrere i minuti. Al minuto 75, Abedi Pelé crossa il pallone in area. C’è Papin, che colpisce di testa, favorendo Chris Waddle. Dall’esterno inglese, un tiro secco di prima. Gran gol, nulla da fare per Sebastiano Rossi. A un gol dai supplementari, per il Milan il nemico pubblico era diventato il cronometro. Scorreva. Scorreva. E ancora, inesorabilmente, il tempo passava.

Il muro marsigliese non cedeva. D’improvviso, non solo metaforicamente, tutto si rabbuiò. Due delle quattro torri del Velodrome avvolte nelle tenebre, dai fari non sgorgava più la luce artificiale. E lo stadio era illuminato solo parzialmente.

In quell’istante monta la grande agitazione, e l’ingegnosa idea, di Adriano Galliani, amministratore delegato del Milan e braccio destro di Silvio Berlusconi. Qualche istante d’incertezza e Galliani spedisce i suoi giocatori negli spogliatoi. Non è la decisione di Bo Karlsson, l’arbitro della gara, ma i giocatori eseguono. “Ci rifiutiamo di scendere in campo, la nostra sicurezza resta al primo posto”, le parole dell’AD. Almeno nelle battute iniziali, nulla di particolarmente strano. A poco a poco, vien fuori lo stratagemma: Galliani cerca di ottenere una sorta di punizione per il Marsiglia, ovviamente da parte dell’Uefa. Vuole, in sostanza, che i francesi vengano eliminati oppure che la partita si ripeta. Non ce la farà.

Karlsson, dopo aver avvertito i milanisti in ben quattro occasioni, agguanta la sfera e si dirige nell’area del Marsiglia per ricominciare la gara. Quando vede il Milan ritirarsi dal terreno di gioco, non ha neanche un dubbio, né un istante di incertezza: fischia la fine della partita.

I commenti

Apriti cielo: dal campo si passò agli uffici. Il giorno dopo, il presidente Berlusconi provò ad attenuare la prevedibile sanzione, accettando la sconfitta e ritirando il ricorso contro quanto accaduto. Il club si lamentava solo della terribile organizzazione dell’evento. Poi, un po’ di date importanti. Il 28 marzo, l’Uefa sanzionò il Milan con un anno di sospensione dalle competizioni europee. Il 24 aprile a Ginevra, i rossoneri provarono a trasformare la sentenza in una semplice multa, senza inibizione. L’organismo, presieduto dallo svizzero Leon Straessle, composto dall’irlandese David Bowen, il tedesco Hennes, lo scozzese Gardiner e l’islandese Petursson, confermò la sanzione, accusando gli italiani di ‘grave spirito antisportivo’. Lo stesso Galliani, artefice dell’idea, fu sospeso per due anni, fino al luglio del 1993. Berlusconi non accettò le sue dimissioni.

Una doccia fredda. Dalla quale il Milan si riprese però in maniera incredibile. In quell’anno di sanzione, vinse lo scudetto da imbattuto: era appena arrivato Fabio Capello, che approfittò dell’assenza dalla Coppa per rinnovare la rosa. Prese Papin, acquistò il genio Savicevic. Poi Boban, Lentini. I rossoneri tornarono a giocare in Europa il 12 settembre del 1992, e arrivarono subito in finale. Scherzo del destino: davanti a loro, il Marsiglia.

“Mi sono comportato come un tifoso invece di svolgere il ruolo di delegato della squadra. Non ho avuto mente fredda, come il mio incarico m’imponeva”, fu la giustificazione di Galliani. Berlusconi parlò di sfortuna e di errori, segnando la strada per rialzarsi. Nulla fu lasciato al caso: questa storia servì anche per la sua discesa in politica.