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Lo sport olimpico basa il suo fondamento sullo spirito “coubertiniano” sull’importanza del partecipare più ancora che del vincere (anche se poi scopriamo che quella citazione non è nemmeno di Pierre de Coubertin, fondatore delle moderne Olimpiadi).

E nulla rappresenta meglio questo sentimento dell’impresa compiuta dalla squadra di Bob giamaicano alle Olimpiadi di Calgary e in quelle successive.

Non perché siano stati grandi campioni, ma perché, appunto, sono riusciti a partecipare là dove sembrava qualcosa di assurdo e impossibile, tanto da farli diventare una vera e propria leggenda iconica dello sport mondiale.

La neve nei caraibi

No, come potete ben immaginare, sull’isola caraibica per eccellenza non c’è mai stata e (salvo cambiamenti climatici) mai ci sarà. Nè del resto ci sono temperature che consentono di vedere del ghiaccio da qualche parte, visto che la media si attesta intorno ai 27 gradi per tutto l’anno. Ma allora come diamine è venuto in mente di creare una squadra di Bob da portare alle Olimpiadi?

La “colpa” questa volta è di due americani, George Fitch e William Maloney, assidui frequentatori dell’isola e colpiti in particolare da un’attività degli abitanti. La gara dei “carretti.

Già, perché in Giamaica non ci sarà la neve, il ghiaccio o il freddo, ma ci sono tante ripide discese. E proprio su queste strade si potevano in certe occasioni vedere delle gare in cui venivano lanciate a folli velocità delle improbabili vetture che con tanta fantasia, potevano in effetti somigliare a dei Bob su quattro ruote.

Da lì la pazza idea dei due americani. Se questi giamaicani sono così forti e così veloci (e così folli) da spingere a queste velocità dei carretti malandati, cosa potrebbero fare sul ghiaccio con un Bob?

Sulle prime a dire il vero, non trovarono grande entusiasmo da parte degli addetti ai lavori. I velocisti giamaicani in primis, erano tutti più interessati alle gare su pista che non a quelle su ghiaccio (ghiaccio?). La svolta quindi fu cambiare interlocutore, proponendo l’idea all’esercito e in particolare al Colonnello Ken Barnes, che proprio tra le sue fila reclutò quella che poi la storia avrebbe conosciuto come la prima squadra di Bob giamaicano della storia.

I quattro protagonisti dell’impresa

L’incontro tra i miliardari americani e il Colonello fu la chiave di volta di questa impresa, perchè proprio nelle file dell’esercito vennero fuori gli atleti che prenderanno parte alla prima spedizione olimpica.

La selezione tra i militari infatti, portò alla luce il talento sportivo di Dudley Stoker (capitano dell’aeronautica giamaicana), Micheal White (un soldato della Riserva Nazionale), Devon Harris (tenente dell’esercito) e Samuel Clayton (un ingegnere ferroviario). Intendiamoci, parliamo ovviamente di talento atletico, perchè nessuno dei quattro aveva la minima idea di come si portasse un Bob. Probabilmente non ne avevano nemmeno mai visto uno fino a quel momento e di certo non avevano mai corso sul ghiaccio.

A dare loro tutte le nozioni utili fu Sepp Haidacher, coach austriaco che contribuì a formare i quattro atleti proprio su quelle strade della Giamaica a bordo dei loro “carretti”. Ci sono cose però che non si possono insegnare se non mettendoli alla prova con un vero Bob e su una vera pista ghiacciata, e così dopo quel primo step, il gruppo si spostò prima a Lake Placid (negli States) e poi in Europa sulle piste di Igls in Austria.

Inutile dire che prima di vedere un qualche risultato anche solo accettabile, furono innumerevoli gli ostacoli da superare. Eppure, nonostante tutto e contro tutto, la squadra di Bob giamaicana riuscì a qualificarsi per le Olimpiadi di Calgary del 1988.

La prima Olimpiade

Le Olimpiadi invernali di Calgary del 1988 tutti noi le ricordiamo soprattutto per i due splendidi ori conquistati da Alberto Tomba, ma in effetti passò alla storia proprio per la presenza di quella che era la prima nazionale caraibica presente iscritta alle gare del Bob a quattro.

Insieme a loro le fortissime nazionali europee che da sempre dominavano la specialità, come Svizzera, Germania e Unione Sovietica (che nell’ordine finirono sul podio in quell’occasione). Poi naturalmente gli americani, gli italiani o gli austriaci. Tutte a vario grado pronte a inseguire il sogno della vittoria.

Il sogno invece per quei quattro ragazzi si chiama semplicemente arrivare in fondo, tra gli occhi stupidi della gente e anche qualche sorriso iniziale. Non c’era ovviamente nessuna velleità nella loro prestazione, se non quella sportiva di esserci e offrire una dignitosa prova.

E infatti nella prima manche fu davvero così, tanto che alla loro prima discesa olimpica registrarono un 58,04 lasciandosi alle spalle addirittura altre due nazionali (la squadra 1 del Portogallo e quella dell’Australia). Meno bene nella seconda, dove solo i portoghesi fecero peggio su 26 nazionali, e peggio ancora nella terza dove ormai i giamaicani erano ultimi e con il loro peggior tempo (1 minuti e 03 secondi).

Eppure la loro presenza e le loro prestazioni non certo imbarazzanti, cominciavano a scuotere anche il pubblico presente e da casa, che pian piano non poteva fare altro che provare un’immensa simpatia per questi ragazzi e tifare per loro. Così tra le urla di gioia e di stima scesero a valle per la quarta e ultima manches che doveva siglare il loro tempo per la classifica finale, e proprio sotto lo sguardo di mezzo mondo, le telecamere ripresero impietosamente il Bob giamaicano finire sotto sopra proprio a pochi passi dall’arrivo.

Manches non finita, e agli annali la squadra non completò mai quella prima Olimpiade.

L’inizio del mito

Non una prestazione memorabile quindi. Nessuna vittoria eclatante e persino un’epilogo abbastanza infelice con il traguardo dell’ultima manches attraversato a piedi mestamente con il Bob trascinato a spinte dai commissari di gara dopo il capottamento.

Eppure. Già la loro semplice presenza così inconsueta e imprevista, scatenò le fantasie e l’affetto del pubblico di tutto il mondo. Ma non solo, perchè sportivamente parlando quella non fu la fine di un’impresa, ma l’inizio del mito.

Alle Olimpiadi di Albertville quattro anni dopo, la nazionale di Bob giamaicana fece la sua bella figura. Nel gruppo dei quattro erano ancora presenti Dudley Stokes e Michael White, insieme questa volta a Chris Stokes e Ricky McIntosh. Insieme chiusero tutte e quattro le manches chiudendo al 25° posto e lasciandosi alle spalle sei nazioni (tra cui per la prima volta anche due equipaggi delle Isole Vergini Americane che avevano seguito l’esempio dei cugini giamaicani).

E ancora quattro anni più tardi, a Lillehammer, dove chiusero addirittura al 14° posto lasciandosi alle spalle prestigiosi team come quello della Svezia, dell’Italia, della Russia o degli Stati Uniti.

Tutti pazzi per il Bob

Ma la vera vittoria, fu quella a livello di messaggio sportivo.

Dal punto di vista pratico, la prima presenza del bob giamaicano diede vita a tutto un movimento caraibico che semplicemente prima non esisteva. A Lillehammer nel 1994, appena sei anni dopo quella prima storica impresa, si potevano già vedere sulle piste ghiacciate gli equipaggi non solo della Giamaica, ma anche di Porto Rico e Isole Vergini.

Una vera e propria cascata di interesse per questa disciplina fino ad allora completamente sconosciuta a quelle latitudini (che portò poi negli anni a venire la partecipazione di altre nazioni come il Brasile, il Messico, Trinidad e Tobago). E viceversa, un modo per il pubblico europeo e mondiale di conoscere quelle realtà così lontane dalla neve e dal ghiaccio invernale.

Merito in questo, fu anche della cinematografia che colse al balzo il crescente interesse proponendo una commedia che divenne un vero e proprio “cult” sull’epopea giamaicana nel mondo del Bob.

Quel “Cool Runnings” (in Italia noto come “Quattro sottozero“) che propose in chiave divertente facendo conoscere a tutti la storia di questa squadra che, pur non arrivando nemmeno vicino alla vittoria, ha sicuramente portato a termine una delle imprese sportive più interessanti e coinvolgenti del secolo scorso.