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Nell’ottobre del 2018 si gioca Amburgo contro Sankt Pauli, il primo derby della città in seconda divisione.

Il clima è strano, più del solito. Qualcosa di insolito sta infatti accadendo: è come se il mondo esterno, dinnanzi all’eterna lotta tra Hamburger Sport-Verein e Fußball-Club St. Pauli von 1910, cessasse di esistere la mattina dei preparativi. Forse già, a dire il vero, dal 12 maggio del 2018, quando l’Amburgo retrocede in Zweite Liga: non era mai successo in più di un secolo di storia. Insieme al Bayern Monaco e al Werder Brema, è infatti l’Amburgo l’ultima nobile del calcio tedesco. Nobile, evidentemente, decaduta.

Amburgo a metà

Amburgo è una città semplicemente sensazionale. È insieme strapaesana e internazionale, stratedesca e straeuropea. È una città che sa offrire grandi architetture, molte opportunità lavorative, una vita sempre nuova e rinnovata, che in questo continuo divenire, teso sempre verso il meglio, non dimentica le proprie origini. È una città che importa e che esporta, verde fino al midollo, metallica nelle vene, culturale, musicale, calcistica, una città a luci rosse, una città con più fiumi (quasi) che persone. È una città che sa essere pacifica e insieme violenta, di ampie vedute ma anche estremamente ancorata a tradizioni locali, a sottoculture più o meno esplicite. Come classificare il derby di Amburgo? A metà.

Il derby di Amburgo è come l’unione di due opposti, e qui non parliamo solo delle due squadre (e delle due tifoserie, come vedremo tra poco), ma anche e soprattutto delle molteplicità che, riunite nel territorio di Amburgo, forniscono in questa «partita di pallone» come la metafora più lampante della straordinarietà di questa città.

Questa, soprattutto, è una città che rispecchia in pieno il carattere e la multiculturalità dei propri cittadini. Città portuale, come detto, sempre aperta a nuovi influssi, a nuova gente. Se Amburgo vuole ribellarsi, si ribella. Non svegliate il can che dorme. Il «giorno dei giorni», come esclama una tifosa del Sankt Pauli il giorno prima della partita tanto attesa, rischia di essere semplicemente incendiario. Utilizzeremo questo derby come esempio della rivalità tra queste due squadre, Amburgo v Sankt Pauli: o, come nomina una rivista italiana, alto contro basso.

La parte nobile

Sei volte campione di Germania, tre volte vincitore della DFB Pokal, una volta campione della Coppa delle Coppe, vincitore, soprattutto, della Coppa dei Campioni 1982/83, il diamante, simbolo col quale l’Amburgo è riconosciuto in tutto il mondo, rappresenta molto più di un club di calcio: l’Amburgo, fondato nel 1887, è senza ombra di dubbio una delle squadre più celebri e forti di ogni tempo, non solo di Germania.

La supremazia cittadina, in questo senso, è semplicemente imbarazzante. Felix Magath e Kevin Keegan sono le due leggende del club, ma sarebbe ingeneroso fermarsi a questi due. Da ricordare anche lo sponsor “Hitachi”, il primo vero sponsor (remunerativo) messo su magliette ad una squadra di pallone. L’Amburgo, all’epoca, è la più forte di Germania. Ma anche d’Europa, forse del mondo. “Der Dino” – Il Dinosauro – come viene soprannominato per l’antichità della sua fondazione, è noto anche e soprattutto per la sua “fanbase”, una delle più antiche e imponenti al mondo.

Il Volkparkstadion, Stadio del Popolo (Volk), è sempre pieno nelle sue 57.000 unità. Anche e soprattutto in Zweite, dove la ferita e il dolore non hanno sciolto nel vapore di un attimo una storia e un amore antichi più di un secolo. 54 anni (fondazione della Bundesliga nel 1963), 261 giorni, 36 minuti e 11 secondi dopo l’ingresso in prima divisione, l’Amburgo retrocede in Zweite. Come possiamo dire con esattezza addirittura i secondi da quell’evento primigenio? Perché all’interno del Volkparkstadion è ubicato un banner, divenuto celebre proprio il 12 maggio del 2018, dove venivano contati, e con orgoglio, gli anni, i giorni, le ore, i minuti e i secondi dal primo “clock”.

Senza entrare nel dettaglio di una crisi che meriterebbe ben altre analisi, l’Amburgo, dopo aver addirittura raggiunto una semifinale di Europa League nel 2008 (quando si chiamava ancora Coppa UEFA) e un’altra l’anno dopo, nel 2009, vive un decennio semplicemente terribile, condito di qualche buon risultato ma caratterizzato per lo più da un declino inesorabile, fino alla retrocessione in Zweite, come ricordato.

La parte impegnata

Qui l’Amburgo incontra il Sankt Pauli, l’altra faccia di Amburgo. Ed è proprio il caso di dirlo.

Brutti, sporchi, cattivi, ma con un attaccamento viscerale ai propri colori, meglio al proprio credo, i tifosi del Sankt Pauli, i pirati, sono senza dubbio una delle tifoserie più incredibili al mondo. Se la fanbase dell’Hamburg è da rispettare, quella del St. Pauli è forse addirittura da venerare. Il popolo dei pirati non è semplicemente l’insieme di una “tifoseria” di calcio, ma è qualcosa di più. Rappresenta un ideale se vogliamo anche politico, meglio soprattutto politico. I tifosi sono schierati a sinistra, sono per l’integrazione culturale, per le battaglie LGBT, per i diritti dei più poveri e più emarginati dalla società, sono antifascisti fino al midollo e scatenati da far paura. Su 100 tifosi del Sankt Pauli, 99 saranno tatuati con tatuaggi relativi alla propria squadra del cuore. Su 100, per 80 il Sankt Pauli non è una squadra di calcio, ma la propria vita.

Per capire il club, bisogna guardare all’esterno. Il Sankt Pauli è una comunità: «it’s not only just the sport; it’s the vibe, the culture, everything combined». Punk, anticapitalismo, musica di qualsiasi natura e provenienza, cultura del tatuaggio, cultura letteraria, cultura erotica, cultura al luppolo, cultura del led, culto dell’estatico: il Sankt Pauli è insieme tutto questo, e molto altro.

È accoglienza dei rifugiati, dei malati mentali, degli oppressi. Davvero il Sankt Pauli è tutto meno che solo calcio. Diciamolo meglio: qui il calcio non c’entra affatto, ma è solo il veicolo per un messaggio più profondo e serio. Inutile dire che, comunque la si voglia mettere, il mix di questo derby è semplicemente esplosivo. Come quando mischi insieme due sostanze chimiche opposte, il risultato non può che essere devastante.

Sono frequenti gli scontri fuori dallo Stadio, prima dei derby, soprattutto lungo la via Reeperbahn, divisa (almeno idealmente) in una parte blu e in una parte amaranto. È in questa zona della città che accadono più frequentemente battibecchi e scazzottate di un certo livello: la polizia domina come dall’alto questa zona di Amburgo, sempre a rischio esplosione da un momento all’altro.

Troppo diversi fuori dal campo

Il vero problema è la politica. Ben inteso, non che i tifosi dell’Amburgo siano di destra – come quelli del Sankt Pauli, antifa, si proclamano invece di sinistra – ma è così che i Pirati vedono i propri avversari cittadini. Quello dell’Amburgo a loro volta accusano i tifosi del Sankt Pauli di aver confuso calcio e politica: peggio, di aver trasformato Amburgo in una città politicamente connotata, ergo chiusa.

Non che nel tempo i tifosi dell’Amburgo non abbiano dato modo quantomeno di dubitare della propria purezza a quelli del Sankt Pauli. Tra bandiere confederados, addirittura fasciste, o comunque nazionaliste, i tifosi dell’Amburgo hanno dato modo ai propri nemici di casa di passare sotto accusa. Ma è difficile, se non erroneo, definire i tifosi dell’Amburgo tifosi di destra.

Verrebbe comunque da chiedersi: «perché dovrei essere del Sankt Pauli se sono antifascista?», e quelli del Sankt Pauli ti risponderebbero che solo da loro, solo al St. Pauli, si vive realmente l’antifascismo, come missione. Ma è interessante notare il contraltare di questo fenomeno, l’ipocrisia che si cela dietro certi atteggiamenti. Anti capitalisti per professione di fede, i tifosi del Sankt Pauli hanno installato un negozio ogni 1000 metri nei pressi dello Stadio Millerntor. Con quei soldi, il Sankt Pauli tende a finanziare le proprie attività benefiche. Ma dov’è la linea di confine tra solidarietà e imprenditoria?

Dove corre la linea tra fascino della rivalità e brutalità della stessa? La notte che precede l’evento è costellata di macchine e camioncini della polizia. Le luci blu che vanno a intermittenza e la scritta “Polizei” domina la scena. Non è chiaro fino a che punto la rivalità possa spingersi, ma l’atmosfera è semplicemente elettrica, forse anche troppo.

Amburgo e i suoi colori, le sue intramontabili piccole differenze interne, evaporano all’alba dello scontro; la città si ferma, si mette in ascolto e impaurita si ritira nel proprio fascino, per lasciare spazio solo alla forza bruta del derby più caldo dell’anno. Che finirà 0-0. Come a lasciar riposare le due metà di Amburgo, come se il destino, misurandosi nel lampo di un istante, di un’occasione da rete magari casuale, avesse voluto dire, alla città di Hamburg: per ora, va bene così.