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Per chi vuole rimanere competitivo nel poker, oggi più che mai è necessario specializzarsi. Le ragioni sono due.

Prima di tutto, il livello medio dei giocatori si è alzato moltissimo negli ultimi 10 anni, grazie a internet e alla massa enorme di contenuti tecnici disponibili. Oltre ai libri, oggi ci sono le poker school, il coaching con i professionisti, l’analisi delle partite in diretta su Twitch. Insomma, con un po’ di impegno, migliorare il proprio gioco nel 2021 è davvero alla portata di tutti. Ma questo ha reso il poker molto più competitivo, per cui vincere non è più semplice come in passato: i “fish”, cioè i giocatori che “abboccano”, hanno lasciato il posto a prede molto più ostiche da catturare anche per uno “shark”.

In secondo luogo, il field stesso è cresciuto a dismisura. Di per sé questo dovrebbe essere un vantaggio per i professionisti che però, quando si tratta di tornei, si trovano ora a competere con un numero di avversari molto più alto rispetto a prima. Il dato più clamoroso ed esemplificativo è quello del Main Event WSOP. Nei suoi primi 33 anni di vita e 34 edizioni, il torneo ha registrato un media di 200 partecipanti, con una crescita costante dai 7 del 1970 agli 839 del 2003, anno della vittoria di Chris Moneymaker. Nelle 19 stagioni successive (fino al 2019, perché nel 2020 il ME WSOP è stato disputato prevalentemente online), la media è stata di 5.647 giocatori.

Da questi due elementi si può capire la ragione per la quale molti professionisti hanno scelto di migliorarsi in determinate specialità del gioco. Parliamo di poker live vs online, di modalità da torneo rispetto al cash game, di varianti o Texas Hold’em. Nell’ambito specifico di coloro che hanno scelto i tornei live, inoltre, ci sono giocatori che hanno fatto pesare nella loro scelta la comodità della location, per evitare lunghe trasferte oltreoceano.

E’ questo il caso di Tom Koral, giocatore statunitense specialista di tornei live, quasi tutti disputati negli States/Canada. Dei 98 in the money accumulati dal 2005 al 2019 (per complessivi $2.625.324), solo 6 li ha ottenuti all’estero: precisamente 3 alle Bahamas, 2 in Sudafrica e uno in Australia, più un settimo a bordo di una nave da crociera. Chiara anche la scelta della location: Las Vegas che, nonostante i 2.812 km di distanza da Chicago dove Koral risiede, rimane la “Mecca del poker” per tutti i nordamericani. Alle World Series Of Poker di Las Vegas il professionista è andato a segno ben 67 volte, circa il 70% del totale dei suoi ITM.

Tra questi risultati ci sono anche due braccialetti WSOP. Il primo Koral lo ha vinto nel 2017, quando si è aggiudicato il $1.500 Seven Card Stud per $96.907 di premio. Il secondo titolo è arrivato due anni dopo e per una cifra molto più consistente: $530.164, grazie alla vittoria nel $1.500 No-Limit Hold’em Double Stack. E soprattutto per merito di una giocata non facile in un momento chiave della partita.

L’azione si svolge al final table, ridotto ormai agli ultimi 4 giocatori. I bui sono ovviamente già molto alti (600K/1.200K bb ante 1.200K) e Tom Koral, che al momento è secondo in chips, decide di limpare da SB. Ad agire dopo di lui c’è Freek Scholten: il chipleader decide di non investire altri gettoni e si limita al check. Scende il flop: Q♥9♦8♦. Il board è molto connesso e consiglia prudenza allo statunitense: check. L’olandese ne approfitta subito con una bet da 1,8 milioni di chips. Il call di Koral sposta l’azione al turn.

La quarta carta del board è un 7♥, sulla quale l’azione vista al flop si ripete: questa volta, però, sono 4,7 i milioni che Koral accetta di chiamare.

Il river è un 2♣. Ultimo check per il giocatore a stelle e strisce e terza “pallottola” che Scholten spara: 12 milioni, circa il 60% di quello che resta al suo avversario. Koral chiede il count, ma alla fine trova la forza per l’ultimo, estremo call. E’ la scelta giusta: l’olandese è costretto a mostrare il semibluff con [Tx][3x], scala mancata, mentre Koral incassa il monster pot con Q♣8♣, doppia coppia floppata.

Nonostante una buona mano con le prime tre carte del board, Koral ha optato per una linea attendista fino al river. La ragione è lui stesso a spiegarla nell’intervista rilasciata a PokerNews: “Non avevo motivo per ingrossare il piatto, perché ero contro una mano random”, cioè senza rilancio preflop e perché, con gli altri due giocatori in condizione di shortstack, “sarebbe stato un errore mettere a rischio la differenza di payout tra le prime due posizioni e le restanti”. Una ragionamento improntato all’ICM, quindi. Come anticipato, il torneo si concluderà con la vittoria di Koral ai danni proprio di Scholten.

In conclusione, va detto che Tom Koral non solo è uno specialista dei tornei di poker in terra americana, ma è anche un giocatore che negli ultimi anni si è orientato ai mixed games. La ragione è legata sia alla “maggiore possibilità di vincere soldi” offerta dalle varianti, sia ad una certa saturazione nei confronti del Texas Hold’em: “Mi ero un po’ stancato, nonostante mi reputi ancora un buon giocatore di TH, e volevo che il mio cervello apprendesse nuove forme di poker e nuove strategie di gioco”. Oggi la sua preferenza è per l’omaha eight-or-better o omaha High/Low.

Foto di testa: Tom Koral (credits PokerNews)

 

 

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