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Ci sono giocatori di poker che vivono la loro passione a 360°, a volte nel bene, a volte nel male. Uno di questi è Russell Aaron Boyd, professionista californiano meglio noto come Dutch Boyd.

Dutch Boyd è stato, ed è tuttora, un ottimo giocatore di Texas Hold’em. Nel suo palmares svettano tre braccialetti ($2.500 Short Handed No Limit Hold’em nel 2006, $2.500 Limit Hold’em/Six Handed nel 2010 e $1.000 No-Limit Hold’em nel 2014) e 42 in the money conquistati solo alle World Series Of Poker. A questi ne vanno aggiunti altri 77, per un totale di 119 ITM (di cui solo 2 conseguiti fuori dagli States, alle WSOPE 2018 di Rozvadov) e $2.769.504 vinti nei tornei live. E questa è la parte positiva della sua professione.

Quella negativa riguarda invece due operazioni avviate nel mondo del poker e concluse davanti al giudice. La prima è quella della pokeroom PokerSpot, aperta nel 2000 attraverso un’inesistente licenza di Antigua. Quando nel 2001 il sito ha chiuso i battenti, i giocatori che avevano effettuato il deposito sul conto della pokeroom non sono riusciti a recuperare i propri fondi (ca. 400.000 dollari). Nel 2012 PokerSpot ha dichiarato bancarotta e ad oggi i giocatori non hanno ancora ricevuto alcun risarcimento.

Russell Aaron “Dutch” Boyd (credits PokerNews)

La seconda, invece, ha a che fare con il noto sito di informazione sul poker – nonché forum molto frequentato dai giocatori di tutto il mondo – Two Plus Two, al quale Boyd avrebbe copiato il nome con l’aggiunta della parola “poker” per una propria piattaforma di gaming. In questo caso, l’azione legale si è conclusa con Boyd condannato a risarcire $25.000 a Two Plus Two e a pagare $34.000 di spese legali.

Un personaggio controverso, quindi, con una grande passione per il poker (nata dopo aver visto il film Rounders nel 1998), ma non sempre equilibrata. Si dice infatti che nel 2013 Dutch Boyd si sia ritirato ad Antigua per guarire da un crollo nervoso successivo al crack di PokerSpot. In ogni caso, non è nostra intenzione giudicare il personaggio Dutch Boyd, quanto piuttosto parlare di una mano che lo ha visto protagonista e il cui esito ha in qualche modo influenzato la storia del poker moderno.

Dutch Boyd con in mano un suo libro sul gioco (credist Thehendonmob.com)

La mano indimenticabile di Dutch Boyd è datata 2003, un anno che già di per sé dovrebbe suonare familiare agli appassionati di questo gioco. Se poi aggiungiamo il nome dell’evento in cui è stata giocata, il Main Event WSOP, la memoria vola subito in direzione del cosiddetto Moneymaker Effect.

Dutch Boyd è nei last 14 su 839 entry del più importante torneo live di poker al mondo. “Ero al mio primo Main Event e al secondo torneo WSOP in assoluto” ha raccontato Boyd a PokerNews nel 2018. “Mi ero qualificato al ME con un satellite vinto la domenica precedente. In pratica, tutto il mio bankroll era investito lì“.

Boyd è chipleader al tavolo e sente che potrebbe essere la volta buona: “Al Day4 ho cominciato ad avere la sensazione che avrei potuto vincere. Siamo a 14 left, due tavoli, e io con 1,2 milioni di chip sono davanti a tutti. A quel punto ricevo K♦Q♣, tutti prima di me foldano e io rilancio. Mi chiama solo un giocatore sconosciuto, un contabile del Tennessee che si trova in posizione di bottone, subito alla mia sinistra…“. Un contabile del Tennessee: molti avranno già capito a chi si riferisce Dutch Boyd. Il suo racconto si sposta al flop.

Scendono 9♥2♣5♦. Scelgo di fare check e il mio avversario ne approfitta per piazzare una puntata. A questo punto lo metto su una coppia media, forse di 6 o di 4. Lui ha ancora 750K, uno stack che lo colloca a metà del chipcount. Mi sono detto: è impensabile che voglia giocarsi il torneo con una mano mediocre“.

Boyd decide così di andare in check-raise all-in, un’azione che manda il suo avversario in the tank. Passano quasi 5 minuti prima che il contabile del Tennessee decida di fare call mostrando 3♦3♣.

In quel momento ho avuto la sensazione che il destino avesse un piano diverso per me. Ho pensato intensamente a un [Kx] o una [Qx] ma niente. Di fatto, il mio avversario ha chiuso scala al river trovando prima un Asso e poi un 4“.

Russell Aaron “Dutch” Boyd con la mano del secondo braccialetto WSOP (credits PokerNews)

Naturalmente quell’avversario era Chris Moneymaker, il dilettante che ha trasformato un satellite da poche decine di dollari in una vittoria nel ME WSOP da 2,5 milioni di dollari, e che di fatto ha dato il via alla trasformazione del poker in quel fenomeno di massa che ancora oggi è.

Come lo stesso Boyd ha in seguito ammesso, l’azione di gioco è un po’ “off-standard” per il poker di oggi. Il call di Moneymaker è estremo, ma forse è anche un grande call. Non altrettanto la giocata di Boyd, che avrebbe potuto scegliere una normale c-bet: “in caso di call, avrei potuto provare a bluffarlo nelle street successive. Oppure avrei potuto fare un check-raise più contenuto, ma in quel momento non immaginavo avrebbe rischiato il proprio torneo con una mano mediocre… Chris è stato molto coraggioso a fare quel call e io lo rispetto per questo“.

Oltre alla mancata vittoria nel Main Event, nella testa di Dutch Boyd ancora oggi si annidano pensieri da scenari alternativi. “Mi chiedo cosa sarebbe successo a Chris, a me e al poker in generale se avessi vinto io l’action. Quella mano ha davvero segnato la mia carriere di giocatore. E’ qualcosa che non riesco a dimenticare. Anche non fossi stato in bluff, anche se avessi avuto una monster, un top set, lui alla fine avrebbe vinto con la scala runner-runner. E’ come se quel giorno un angelo si fosse seduto a fianco di Chris per sussurrargli: questa è la tua volta Chris“.

Un angelo che ha fatto la fortuna del poker nel mondo.

Foto di testa: Russell Aaron “Dutch” Boyd (credits Donavon Lockett/Las Vegas Review-Journal).