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“Pacco, doppio pacco e contropaccotto” è un film del 1993 di Nanny Loy (1925-1995) nel quale si racconta come a volte chi cerca di ingannare diventa vittima di un inganno più grande o comunque meglio architettato.

Ingannare e imbrogliare diventano, in questo senso, forme d’arte. Esattamente quello che è il bluff nel poker, perché mettere a segno un grande bluff richiede qualità particolari.

Innanzitutto serve avere un’ottima capacità di lettura dell’avversario, sia dal punto di vista del range di mani che può avere, sia del suo momento psicologico. E’ in difficoltà, ha paura di perdere altre chips e, più in generale, tende a foldare di fronte a un rilancio consistente? Tutto questo è arte della lettura.

Poi c’è l’arte del raccontare una bugia, perché bluffare equivale a dire “sei battuto” a chi sta di fronte, quando invece è non vero. Le puntate e il linguaggio del corpo devono dare all’avversario l’impressione (sbagliata) che la mano è forte, compatibilmente con il board.

Infine è importante scegliere il bluff in base al ritorno economico. In altre parole, non ha senso investire tante chips in un bluff quando il piatto è molto inferiore al rischio preso. Arte del valutare.

Sono queste le qualità che possiedono i maestri del poker come Phil Ivey.

Phil “No Home Jerome” Ivey (credits WSOP/PokerNews)

Facciamo un salto nel passato. Precisamente al 2005 quando nel Principato di Monaco va in scena per la seconda e ultima volta il Monte Carlo Millions.

L’evento è di fatto un antesignano dei futuri high-roller nonché il primo torneo ad essere organizzato nella piccola città-stato della Costa Azzurra.

Nel 2004 il Monte Carlo Millions è limitato a 80 giocatori che pagano 14mila dollari per partecipare al torneo oppure si qualificano attraverso satelliti online e live. Il torneo dura 5 giorni (8-12/11) e viene vinto dal finlandese Jani Suintula che incassa 400mila dollari dopo essersi lasciato alla spalle il veterano WSOP Annand Ramdin (8°), Chris Ferguson (7°) e anche Phil Ivey (3°), nonostante quest’ultimo avesse dominato il tavolo fino alla fase 3-handed.

Lo “scippo” subìto è probabilmente uno dei motivi che inducono No Home Jerome a ripresentarsi nel 2005 (20-23/11). Questa volta ci sono 111 avversari da battere, ma il numero poco importa a Phil Ivey che dopo 4 giorni li mette in fila tutti compresi i vari John Juanda (6°), Chris Ferguson (11°) e Tony G (8°), fino all’heads-up conclusivo.

Paul Jackson (credits PokerNews)

L’ultimo atto vede la sfida tra Ivey e il britannico Paul Jackson, con l’americano che parte avanti 4:1 in chips. Ad un certo punto arriva la mazzata – ma assolutamente artistica – con la quale Phil Ivey mette il proprio sigillo sulla partita.

Jackson limpa con 6♠5♦. Ivey fa check da big blind con Q♥8♥. Il flop è 7♣J♣J♥.

I bui sono alti e il divario di chips spinge Ivey a cercare subito il “furto”. il 10-volte-braccialettato WSOP punta ma Jackson sente puzza di bruciato e rilancia. A sua volta, Ivey intuisce che il rilancio dell’inglese è altrettanto sospetto: con un J in mano Jackson avrebbe quasi sicuramente cercato la trappola limitandosi al call.

Ivey piazza allora un controrilancio. Entrambi i giocatori non hanno nulla ma puntano come matti. Jackson gli va sopra per la seconda volta. Ivey chiede il conteggio delle chips e capisce che Jackson si è lasciato un margine di chips per foldare. A questo punto Ivey va all-in e ottiene il fold del suo avversario.

Il torneo finirà di lì a poco con la vittoria di Phil Ivey che incassa 1 milione di dollari, mentre Paul Jackson ne riceve 600mila. E con uno show al tavolo che ha regalato agli spettatori altissimi livelli di pensiero pokeristico!

Immagine di testa: Phil Ivey (credits WSOP/PokerNews)