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Per la realizzazione di un sogno servono sempre diverse componenti fondamentali: un’idea da concretizzare, la passione dei partecipanti, tanta applicazione e costanza, un pizzico di follia. Tutti questi elementi erano ben presenti quando a un certo George Fitch, venne in mente un pensiero piuttosto stravagante per quel periodo: mettere quattro giamaicani sul bob e portarli a disputare le Olimpiadi invernali.

L’idea folle che diventa realtà

Chiunque abbia vissuto negli anni novanta conosce piuttosto bene questa storia, diventata poi anche un lungometraggio cinematografico con “Cool Runnings” (“Quattro sotto zero” in Italia) che ne descrive tutti i dettagli.

Per tutti gli altri, forse può sembrare strano che a qualcuno possa mai venire in mente di portare quattro atleti di un’isola tropicale in cui non esistono nè montagne nè tanto meno discese ghiacciate, a disputare niente meno che le Olimpiadi invernali.

Eppure l’idea che venne in mente a George Fitch a metà degli anni ottanta, non era poi così campata in aria. Se c’è una cosa che i giamaicani sanno fare bene del resto, è correre. Già ben prima di Bolt da queste parti erano presenti molti atleti di prim’ordine in quanto a velocità e atletica.

Fitch e William Maloney (che contribuì a far partire l’idea) erano in effetti due uomini di affari che vivevano proprio sull’isola e che furono illuminati guardando una delle gare di “tiro al carretto” che facevano parte del folclore locale. In pratica, qualcosa di molto simile se non altro alla prima parte proprio della discesa del Bob, quando gli atleti devono spingere quanto più veloce possibile il bob per lanciarlo in pista.

Perchè non sfruttare questo dinamismo atletico e provare a realizzare quest’impresa impossibile, allora?

Dall’idea alla pratica: l’arruolamento

Il passo più difficile non fu però quello di immaginare l’impossibile e forse, almeno in principio, nemmeno quello di recuperare i fondi (visto che fu lo stesso Fitch a tirare fuori di soldi, insieme all’ente del turismo giamaicano), ma di trovare concretamente qualche valido atleta disposto a credere a questo sogno.

Per farlo, Fitch fece ricorso agli atleti della forza armata giamaicana (la Jamaica Defence Force), trovando finalmente gli elementi che cercava: Dudley Stokes, Micheal White, Devon Harris (più altri che fecero parte della squadre iniziale durante gli allenamenti come Cawell Allen, Freddie Powell, Clayton Solomon).

La prima parte degli allenamenti fu svolta nella stesa isola, dedicata prevalentemente alla parte atletica ovviamente. Poi il team venne affidato a Sepp Haidacher (poi a Howard Siler, campione di Bob americano che seguì la squadra durante le Olimpiadi), che portò i ragazzi in Canada e in Austria per provare realmente le loro capacità su veri Bob e vere piste ghiacciate.

Solo allora, grazie a un accordo con la Federazione Internazionale per gli sport da scorrimento, la Giamaica iscrisse ufficialmente la squadra per ben due gare di Bob alle Olimpiadi di Calgary del 1988 (bob a due e bob a quattro).

La gara del Bob a due

Ad aprire le danze delle emozioni e della curiosità, fu la gara del “Bob a due”, dove per i giamaicani erano schierati Dudley Stokes e Micheal White, di fatto i primi del loro paese a prendere parte a una Olimpiade invernale.

41 le nazionali a prendere il via a quell’evento, con i giamaicani ovviamente considerati quasi una “macchietta” a confronto con le nazionali più titolate. Lo scopo però, non era certamente competere per una medaglia, quanto non sfigurare davanti a chi in quello sport aveva certamente più esperienza e considerazione.

E da questo punto di vista, l’impresa fu perfettamente riuscita. Dopo una prima manche di ambientamento (chiusa al 34° posto), nella seconda il duo fece registrare il proprio miglior tempo, il 22° in generale, riuscendo a finire davanti anche a equipaggi decisamente più blasonati.

Non altrettanto bene le ultime due manche, che portarono comunque a un onorevole 30° posto generale, a dieci secondi dalla Russia vincitrice della medaglia d’oro, ma soli tre dall’Italia per esempio, e comunque davanti ai neozelandesi (al secondo team almeno), Bulgaria, Portogallo e Messico.

La gara del bob a quattro

Dopo aver rotto il ghiaccio (più o meno letteralmente) con la gara d’esordio, tutta l’attenzione si spostò nella gara gara principe del “Bob a quattro”, dove i giamaicani ebbero subito qualche problema dopo l’arrivo in Canada.

L’infortunio in allenamento di Allen, costrinse a inserire in squadre il fratello di Dudley, Chris, per la verità arrivato lì solo per seguire le gare e fare il tifo, ma costretto a prendere parte alle gare per consentire alla squadra di partecipare alla disciplina.

La sua esperienza sul bob era però limitata a qualche sporadica prova in allenamento, per cui fu comunque una defezione importante rattoppata solo per la gran voglia di partecipare in ogni caso all’evento.

Le cose in effetti, furono realmente più complicate. Non solo per il cambio di equipaggio, ma perchè le altre 25 partecipanti alla gara erano di fatto tutte decisamente più competitive.

Nelle prime due manche i giamaicani (con la squadra composta quindi da Dudley e Chris Stokes, Michael White e Devon Harris) finirono rispettivamente 24° e 25° non senza qualche inconveniente: nella prima Dudley si è ritrovato con la barra di spinta rotta al momento del lancio, nella seconda fu White a trovare qualche difficoltà nel mettersi in posizione, affrontando la prima curva ancora quasi in piedi nel bob.

Ma fu nella terza, che avvenne il patatrack decisivo.

Dopo un avvio promettente, tanto da registrare la settima partenza più veloce in assoluto, alla curva “Kreisel”, una delle ultime della pista, il pilota Dudley sbagliò traiettoria perdendo il controllo del Bob che si rovesciò. L’immagine dei quattro atleti che tagliano il traguardo con gli addetti alla pista che spingono il loro malridotto bob, è forse la fotografia più iconica di questa avventura.

Nella quarta manche, i giamaicani non presero parte al via, chiudendo quindi la gara come 26° e ultimo team.

Che cosa resta di quell’avventura

La presenza stessa della nazionale giamaicana in una gara di bob, ha rappresentato e probabilmente rappresenta tutt’ora il significato stesso dello sport olimpico.

Dove, alla Coubertiniana maniera, l’importante non è tanto vincere, quanto partecipare. Specie se tutto e tutti non credono minimamente nell’impresa e se questa, spinge tutto un popolo oltre i proprio limiti di immaginazione e impegno.

Partecipare a quelle gare (e a quelle successive visto che la nazionale di Bob si è poi presentata anche ad Albertville nel 1992 e fino a Nagano nel 1998), ha rappresentato un grande stimolo per gli atleti giamaicani, che forse non a caso dagli anni novanta in poi, sono poi diventati assoluti protagonisti nelle gare di velocità di atletica fino a scrivere pagine di storia e di record mondiali (con Usain Bolt come astro globale).