È nato e cresciuto a neanche mezz’ora di distanza dal fu San Paolo, oggi Diego Armando Maradona, quel Raffaele Palladino che sabato 22 novembre, a partire dalle ore 20:45, sfiderà proprio il suo passato – perlomeno quello familiarmente determinante – nell’esordio come nuovo allenatore dell’Atalanta Bergamasca Calcio, che ha salutato Ivan Juric a pochi mesi dall’inizio della stagione.
Certo che la vita è strana. Palladino poteva già essere l’allenatore della Dea in estate quando, dopo essere partito da Firenze al termine di una stagione sì difficile ma anche estremamente positiva viste le vittorie contro le grandi in campionato e l’ottenimento del posto in Conference League nell’ultima giornata utile, si era ritrovato triste, solitario y final, per citare un grande della letteratura.
Atalanta: storia di un errore (e di un rimedio?)
Dalle parti di Zingonia era circolato il nome di Thiago Motta, poi quello di Maurizio Sarri – anche lui finito in orbita Fiorentina, invero – ma quando sui giornali cittadini e sui quotidiani nazionali era uscita la trattativa Juric, in molti dovettero tornare sui propri passi. L’Atalanta stava sbagliando, per la prima volta dopo chissà quanti anni, nella scelta – certo delicatissima, visto il peso di Gian Piero Gasperini nell’ultimo decennio atalantino, semplicemente rivoluzionario e irripetibile – del nuovo allenatore?
Affermarlo oggi, a cose (s)fatte, è un’operazione molto semplice, antipatica e forse ingiusta. Ma non per questo folle. In molti, lo scorso agosto, avevano storto il naso. D’altra parte Juric veniva da due esoneri rovinosi, dopo aver condotto le proprie ciurme in tempesta (Roma e Southampton) non a riva, ma contro le rocce.
Non si può dire lo stesso dell’avventura del croato sulla panchina atalantina, perché la Dea, appostata a metà classifica, è ancora pienamente in corsa per i propri obiettivi stagionali. Certo, le due sconfitte consecutive, di cui l’ultima 0-3 in casa contro il Sassuolo, qualcosa hanno voluto dire. E non basta la grande vittoria di Marsiglia per salvare il lavoro di Juric, l’erede di Gasperini, secondo moltissimi che però dimenticano come in quel Genoa capace di raggiungere traguardi europei grazie alla creatività del Gasp, c’erano almeno altri due volti in grado di accogliere con sapienza le scintille tattiche del proprio maestro allenatore: Thiago Motta, in primis, Raffaele Palladino in secundis.
Conte, dove vai?
Ecco allora che se parliamo di erede, ammesso che abbia senso un titolo di questa natura in un ambito così difficilmente leggibile sotto le categorie del giusnaturalismo, Palladino – come Motta – vi rientra a pieno titolo. Non ha senso, per ora, concentrarsi sul modo di giocare della sua Atalanta, perché intanto sarà l’iniezione di spirito a fare la differenza sabato. Contro il passato familiare di Palladino, infatti, ci sarà una squadra che è in cerca disperata di riscatto e in grande difficoltà.
Non c’è niente di più pericoloso, nel calcio, di una squadra in difficoltà costretta a vincere, arrabbiata, persino umiliata – se pensiamo all’esperienza di Eindhoven, rispetto alla quale il Napoli di Conte ancora non sembra essersi ripreso. Sono state due settimane intense, dalle parti di Posillipo.
Conte è fuggito, si dice per prendere fiato, per schiarirsi le idee sul da farsi, e una serie di notizie più o meno false si sono rincorse sul futuro dell’allenatore barese. Resta, non resta? Perché ogni volta che Conte deve confermarsi fallisce, soprattutto se un passaggio obbligato – ma sempre indigesto – è quello europeo? Conte è ai ferri corti con lo spogliatoio? Com’è la comunicazione a Castel Volturno? Perché sui giornali – autorevolissimi, come la Repubblica – esce una notizia (Anguissa: stop da poco) ma il club comunica altrimenti (stop assai più serio, di almeno due mesi)? C’è confusione, è indubbio.
E mentre il Vesuvio ribolle di passione, il popolo napoletano sta iniziando ad allontanarsi dal proprio allenatore. Certo, i tifosi non sono il contraltare del sensus calcistico, ma rimangono il termometro di una condizione, che a Napoli al momento è febbrile. D’attesa, pure, come detto, ma anche e soprattutto di paura. E se davvero il Napoli fosse questo, e ai sogni di gloria annunciati in estate seguisse uno scoramento collettivo, un fallimento impronosticabile nell’attuale stagione? Se la sfida all’Atalanta non è un bivio, ci assomiglia terribilmente.


