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Sono passati quasi venticinque anni da quando, nel 1999, arrivavano in Europa le prime due versioni di Pokémon, sviluppate da Games Freak per Nintendo Game Boy.

La fine del secolo è stata un periodo estremamente florido per l’industria videoludica. Solo per citare qualche titolo, fra il ’99 e l’anno successivo uscirono Metal Gear Solid, Silent Hill, Diablo 2 e Legacy of Kain – Soul Reaver. Nonostante questa apparente concorrenza, tecnicamente molto superiore, la prima generazione di Pokémon è riuscita ad avere un successo e un impatto culturale a dir poco sbalorditivo.

Quel Pokémon oggi sarebbe definito un J-RPG isometrico. Con una particolarità. A guadagnare esperienza e a crescere man mano che si procede nel gioco non è il protagonista. Sono invece le creature portatili che lo accompagnano, cioè i suoi Pokémon.

La trama è semplice eppure accattivante. Il personaggio principale, che poteva prendere il nome di Rosso oppure essere un avatar del giocatore, ottiene il suo primo Pokémon e dà inizio all’avventura.

Il viaggio propone più obiettivi. Diventare un Allenatore di Pokémon. Esplorare la regione immaginaria di Kanto. Guadagnare le otto medaglie necessarie per affrontare i Superquattro della Lega, la più alta autorità in materia di combattimenti fra Pokémon. Ma tra l’intenzione e i traguardi si frappongono alcuni ostacoli.

Tra questi c’è il Team Rocket, un’organizzazione criminale dedita al traffico e allo sfruttamento dei Pokémon. I piani malvagi del Team Rocket vanno sventati per puntare allo scopo finale dell’avventura: completare il Pokédex, una sorta di enciclopedia sui Pokémon, e catturare ognuna delle 151 creature indicate.

Un’impresa ardua da realizzare in solitario, soprattutto in un mondo che ancora non era iperconnesso a Internet. Ed è qui che si rivela la trovata geniale del publisher.

Pubblicare due versioni del medesimo gioco, con l’unica differenza di avere alcuni Pokémon esclusivi in ognuna delle due versioni, non è stata solo un’ottima idea di marketing, ma seguiva la filosofia Nintendo di creare interazione tra i giocatori.

Se escludiamo Mew, Pokémon ottenibile solo tramite un glitch del gioco, le creature assenti in una versione potevano infatti essere ottenuti solamente scambiandole con altri giocatori. Per questo serviva il Game Link, un cavo che collegava due console Game Boy e permetteva gli scambi e gli scontri PVP.

Rosso e Blu erano giochi semplici, sebbene alcune parti della trama e alcuni personaggi legati al Team Rocket fossero più oscuri di quello che ci si sarebbe aspettato. Nelle creature non c’erano valori nascosti, non c’era la natura ad influenzare le statistiche, non c’erano le meccaniche di allevamento. C’era solo una modesta variazione randomica sulle statistiche di ogni singolo individuo rispetto alla sua specie e il resto della magia veniva dalla nostra immaginazione.

Di conseguenza anche il gameplay loop di fine gioco, che non si esauriva una volta completata la trama ma continuava tanto in solitaria quanto interagendo con altri giocatori, era molto semplice. In sostanza, offriva una serie di scontri della Lega Pokémon utili per portare a livello massimo le proprie creature.

Questa semplicità e questo loop di gioco decretarono il successo di Pokémon, tanto che ancora oggi sono un punto di riferimento in materia di videogiochi. L’impatto culturale dei primi videogame generò una vera Pokémania. Non solo, ma negli stessi anni diede vita all’altrettanto fortunata serie anime e al Trading Card Game prodotto da Wizard of the Coast.

Pokémon rimane un brand florido e con un vastissimo numero di appassionati fedeli.