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La storia tra la Juventus e la Coppa dei Campioni (ora Champions League) è sempre stata qualcosa di stregato. Le sette finali perse su nove disputate, la dicono lunga sullo scarso feeling con la gloria europea in questa competizione.

Ma paradossalmente, la pagina più buia di questo evento e per un certo qual mondo anche nella storia dei bianco neri, coincide con una delle due finali vinte. Era il 29 Maggio del 1985, e quello che accadde quella sera non ha veramente niente a che fare con lo sport.

La finale tanto attesa

Fu un anno molto particolare quello del 1985 per il calcio italiano. Vuoi per lo scudetto vinto dal Verona (unica provinciale da sessant’anni a riuscire nell’impresa), vuoi per l’arrivo in Serie A di un certo Diego Armando Maradona, e vuoi perché i campioni uscenti della Juventus non riuscirono ad arrivare oltre il sesto posto finale (fuori dalle competizioni europee).

Per risollevare la stagione dei bianconeri, tutto era allora puntato sulla finalissima di Coppa dei Campioni, unica coppa a mancare ancora all’appello in bacheca, sfumata per ben due volte nelle precedenti occasioni (sempre per 1-0 contro Ajax e Amburgo).

C’erano del resto tutte le premesse per provare a farlo, gli stimoli giusti e una squadra altamente competitiva farcita di campioni come Platini (capocannoniere in Serie A per il terzo anno di fila), Boniek, Scirea, Rossi, Cabrini, Tardelli e un tecnico di valore assoluto come Trapattoni.

Certo il Liverpool era squadra tosta da battere, come aveva imparato a sue spese la Roma nell’anno precedente, che aveva ceduto solo ai calci di rigore nella storica finale giocata proprio all’Olimpico.

La tragedia dell’Heysel

Si arriva quindi alla fatidica serata del 29 Maggio per l’attesa finale di Coppa dei Campioni, con gli animi carici di entusiasmo e uno stadio, quello dell’Heysel, completamente gremito in ogni ordine di posto (e una predominanza italiana).

C’è subito da dire che quello stadio oggi non sarebbe minimamente all’altezza degli standard richiesti sulla sicurezza, sia per le strutture ormai fatiscenti, sia per quelle reti divisorie tra settori diversi (una semplice rete metallica) che non si è rivelata poi sufficiente proproi in quell’occasione.

Il dramma nasce infatti da una totale mancanza di gestione di una situazione fortemente esplosiva. In una delle due curve, insieme al tifo organizzato del Liverpool (che poi impareremo tristemente a conoscere sotto il nome generico di “Hooligans“) c’è anche un settore “Z” di tifosi italiani, arrivati in maniera autonoma allo stadio con tutti i mezzi possibili.

Contro di loro si scagliano ripetute cariche dei tifosi inglesi, trovando come opposizione appena 8 agenti di sicurezza e una rete che venne presto abbattuta lasciando campo aperto agli Holligans. Che fosse per un reale attacco diretto o per semplice intimidazione, la reazione dei disorganizzati ed impauriti tifosi juventini fu davvero drammatica.

Nel tentativo di trovare una via di fuga che non c’era (chi aveva cercato di scavalcare le transenne per entrare in campo fu addirittura preso a manganellate), tentarono di indietreggiare il più possibile andando però a schicciarsi tutti contro il muricciolo che delimitava quel settore di curva. Un peso insostenibile per quella struttura già provata dal tempo che, infatti, crollo su sè stessa portandosi dietro buona parte di quei tifosi.

Chi non si trovò sotto le parti di muro crollate, venne però travolto dalla folla che aperto l’argine, si riversò come un fiume in piena verso quella nuova apertura. E la tragedia fu davvero completa.

Il caos, i morti, la partita

Fu il caos più totale, dentro e fuori lo stadio. In quel momento era appena cominciata anche la diretta televisiva con un Bruno Pizzul palesemente spaesato alla ricerca di dare un senso alle notizie che arrivavano frammentate e sempre più tragiche.

Un’atmosfera surreale con da una parte i tifosi del resto dello stadio quasi ignari della gravità della situazione, dall’altra i primi cadaveri che venivano estratti dalla calca e dalle macerie ammassati sulle strade esterne.

Il conto andava a crescere di minuto in minuto e alla fine sappiamo saranno poi 39 i deceduti in quella strage (32 italiani, 4 belgi, 2 francesi e 1 irlandese). Oltre a qualcosa come 600 feriti di varia entità. Difficile pensare che almeno in parte non ci si fosse resi conto di quanto stava succedendo, eppure malgrado tutto, con un’ora e mezza di ritardo, si decise di giocare lo stesso quella partita.

Perchè si giocò lo stesso la partita?

A pensarci ora sembra davvero irreale, che mentre le ambulanze ancora caricavano i cadaveri della tragedia, in campo 22 giocatori lottassero per vincere una Coppa. Anche concedendo a quegli stessi protagonisti di non aver pienamente compreso gli eventi, risulta strano non aver rimandato il tutto.

Eppure una sorta di spiegazione, la possiamo trovare in quella sovrimpressione che la televisione austriaca mandò in onda al momento della telecronaca:

“questa che andiamo a trasmettere non è una manifestazione sportiva, ma una trasmissione volta ad evitare massacri”

Perchè se è vero che la tragedia ormai era compiuta, gli animi fortemente turbati e accesi del momento avrebbero forse rischiato di crearne una ancora più devastante con tutti i tifosi di Liverpool e Juventus fuori dallo stadio, unita alla palese difficoltà di gestione evidenziata fino a quel momento dalle forze dell’ordine.

Il pericolo dentro lo stadio sembrava più o meno risolto, ma nessuno avrebbe potuto immaginare cosa sarebbe successo se avessero sospeso la partita e lasciato uscire i tifosi in quel momento così particolare.

La Coppa e i festeggiamenti

Sul campo sappiamo come andarono poi le cose. Un sostanziale equilibrio figlio anche probabilmente di qualche turbamento nello spostare l’ago della bilancia, un rigore concesso alla Juve dopo che Boniek è stato atterrato al confine dell’area di rigore (più fuori che dentro a dire il vero), Paltinì che lo segna e i bianconeri che portano a casa la loro prima Coppa dei Campioni.

E qua forse, c’è la ciliegina di una serata terribile, con quel giro di campo e la Coppa alzata al cielo che probabilmente poteva essere ampiamente evitato vista l’atmosfera decisamente più cupa che si respirava pochi metri fuori dallo stadio.

Un peccato che porterà poi alle scuse ufficiali di alcuni dei giocatori protagonisti, a cominciare dallo stesso Platinì che il giorno dopo fece sapere come non si era per primo reso bene conto della gravità degli eventi. Cabrini lo smentì sottolineando come invece tutti sapessero già benissimo delle morti (salvo poi aggiungere che più che di festeggiamenti in campo si è trattato di uno sfogo di tensione emotiva), ma tutto questo come si suol dire, è altra storia.

Le conseguenze

La tragedia dell’Heysel però non porterà soltanto alle discussioni morali sui vari festeggiamenti. C’è soprattutto una giustizia sportiva da portare a compimento e che si tradurrà in una mega squalifica da parte di tutte le squadre inglesi a partecipare a qualsivoglia competizione europea negli anni a venire.

Un “bando” pesante visto che coinvolgeva la nazione con il migliore coefficiente UEFA (il Liverpool guidava la classifica a squadre) e che ha coinvolto molte dei migliori team europei dell’epoca: dall’Everton al Liverpool (che non poterono così partecipare alla Coppa dei Campioni nei 5 anni successivi), fino al Manchester United, il Tottenham, e tutte le altre che si sarebbero qualificate per i posti in Coppa UEFA e in Coppa delle Coppe.

Soltanto nel 1990 il bando sarà poi revocato, facendo però partire l’Inghilterra da un coefficiente pari a zero non avendo partecipato ad alcuna gara. Soltanto nel 1994 (con la cancellazione della classifica per coefficiente) tornarono ai numeri originali.

L’unica cosa positiva che quella tragedia fece partire, è invece un totale aggiornamento delle misure di sicurezza negli stadi, sia dal punto di vista di impianti e strutture (con norme molto più stringenti e telecamere interne per monitorare i presenti), sia per il controllo diretto sui tifosi.

Eppure questa serata lascia una cicatrice indelebile nella storia del calcio.