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“Affontavamo una squadra di fenomeni. Io dovevo marcare Savicevic, un fuoriclasse. Non gli feci toccare palla. E poi c’erano Mihajlovic, Jugovic, Pancev, Belodedici, Stojkovic e tanti altri ancora. Era quella la finale e, seppure in un girone, non potevamo permetterci il pareggio”.

Pietro Vierchowod

Le parole sono di Pietro Vierchowod, il riferimento è al match del 1° aprile 1992, a Sofia, contro la Stella Rossa.

Per tanti, è stata “la partita delle partite”. Per quella Sampdoria, la consacrazione che aspettava da una vita: perché in Europa arrivano le serate più belle, e quella fu un mega sospiro di sollievo.

Ma dove arrivava tutta quella tensione? Perché si respirava un’aria così pesante? Dopo aver vinto la Coppa dei Campioni con una squadra fortissima, la Stella Rossa capitò nel girone della Sampdoria, fresca di scudetto.

Nel primo match, arrivato dopo la sconfitta in Supercoppa contro il Manchester United, si presentano a Genova per la prima partita dei gironi di quarti di finale nella prima edizione della Champions simile a come la conosciamo oggi.

Tutto lascerebbe pensare a una brutta gatta da pelare, per i doriani come per chiunque. Tranne per un dettaglio: la Jugoslavia non c’è più. C’è invece la guerra, e tutto il resto ha perso interesse.

Un’altra Stella Rossa

La Stella Rossa deve giocare all’esterno anche le partite in casa, ormai non è più la corazzata che aveva vinto la Champions contro il Marsiglia: se ne sono andati Sabanadzovic, Stojanovic, Binic, Prosinecki. A fine anno, Pancev e Savicevic saranno in Italia, li raggiungerà anche Sinisa Mihajlovic. A Belgrado, nessuno voleva e poteva stare. Nonostante un contratto in essere.

Comunque, il campo, sempre il calcio. Nel primo match del girone, Vialli e Mancini vanno in vantaggio dopo appena 7 minuti: Pancev è praticamente stretto nella morsa di Vierchowod, Ivic è inesistente. Nella ripresa, Mancini continua a districare calcio e pennella, al 73′, un lancio perfetto per Vialli. Il controllo è micidiale: supera Naydoski e chiude i conti.

Ci sarebbe ora il match di ritorno, il famoso incontro di Sofia. È la primavera del 1992, è appena iniziato aprile e la Stella Rossa, nonostante abbia provato a tornare a casa per le gare interne, non riesce nel suo intento.

Il conflitto avanza e arriva nei Balcani: l’intera area è messa sotto pressione al referendum sull’indipendenza, la Serbia di Milosevic è con le ossa rotte e non si vede la luce in fondo al tunnel. Se non nel calcio: unica valvola di sfogo.

Una partita diversa dalle altre

Oltre ventimila tifosi partono in auto e in pullman per Sofia, presso lo stadio del CSKA: il clima è quello di paura. I serbi vedevano negli italiani la Nato, l’Occidente, odiavano i doriani per questi motivi. Alcuni tifosi erano arrivati con tutte le peggiori intenzioni, per i tifosi doriani l’atmosfera era pesante a dir poco.

Sulle pagine di “Repubblica” qualche tempo dopo, Vierchowod ha parlato così di quegli attimi spaventosi: “Rammento tutto. Ricordo la paura di mia moglie Carmen, di alcuni miei amici, di tanta gente che conoscevo. Proibito fare i sottopassi, erano luoghi per agguati. La gente si rifugiava nelle chiese, nei negozi. Un clima di terrore incredibile, molti furono i feriti. Pensare che si era evitato di giocare a Belgrado, per evitare guai, data la guerra civile in Jugoslavia. Ma Sofia era a 80 chilometri, ci arrivarono sessantamila tifosi e naturalmente tutti i più feroci“.

Alcuni tifosi furono aggrediti, ed erano semplicemente ospiti dello stesso albergo della Stella Rossa. Ezio Marchi, il massaggiatore, viene aggredito poco dopo mentre la squadra era fuori per una passeggiata; Pagliuca, in posa per una foto ricordo, schiva un colpo e scappò via. Mantovani, il presidente, chiama immediatamente l’ambasciatore italiano a Sofia, Agostino Matis: la sorveglianza viene rinforzata, ma il clima è di assoluta paura.

Solo Vierchowod fa un gesto che è rimasto nella storia: andò a fare il riscaldamento sotto la curva della Stella Rossa, da solo, a torso nudo. “Guardandoli, mentre mi insultavano. Dissi ai compagni: io vado, chi vuole venirmi dietro…”.

Come una finale

stella rossa samp 1992
Il tabellino di quella storica partita

Con un’atmosfera così pesante anche la partita ne risente in qualche maniera.

Dal punto di vista meramente tecnico si incontravano probabilmente le due formazioni più forti del torneo.

La Samp trasferisce quel timore iniziale in voglia di rivalsa: Boskov, che aveva perso Cerezo dopo 10′ e l’aveva sostituito con Invernizzi, aveva già indovinato poi tutte le mosse.

Vierchowod era su Savicevic, Lanna – oggi presidente del club – fisso su Pancev. Lombardo su Mihajlovic, che però riesce a sbloccare il match su punizione: allora come sempre Sinisa era infallibile da fermo.

Katanec, ex Partizan e sloveno, nel pieno della situazione balcanica, cambia radicalmente la partita con il suo atteggiamento. E quindi: cross di Lanna, sponda di petto di Mancini e inserimento dello sloveno, che di forza si prende il pari.

Immediatamente dopo, Mancini prende palla su Radinovic e Vialli va in rete: è 1-2 e gli slavi stanno per capitolare. Quando lo fanno? Quando Vialli va per Mancini e Mancini chiude il match sull’1-3. Rimane una delle vittorie più belle endimenticabili non solo per la Samp, ma per tutto il calcio italiano.

Vuoi per la forza dell’avversario, vuoi per la straordinarietà della situazione. Gli uomini di Boskov, altro uomo dei Balcani che tanto soffriva quella situazione, riuscirono a scrivere una pagina indimenticabile.

La strada per Wembley era tracciata, stavolta senza paura.