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Sì è chiusa una sessione invernale di calciomercato che ha visto numerosissime operazioni di primissimo piano, in quello che forse mai come altre volte si è meritato l’appellativo di “mercato di riparazione”, dal momento che moltissime squadre hanno rimediato a lacune che si erano già resi evidenti alla fine del mercato estivo.

È interessante vedere anche se e come il flusso di denaro sia cambiato in questi anni pandemici e come vengono utilizzati questi capitali.

Siamo tornati al calciomercato pre-pandemia?

Per quanto riguardo la Serie A, il bilancio dei trasferimenti (sia a titolo definitivo che prestiti) parla di 127,4 milioni incassati (su un totale di 138 cessioni) e 176,35 spesi (per 68 acquisti), per un saldo negativo di 48,95 milioni.

Dopo i primi segnali di ripresa dopo la crisi pandemica avvertiti in estate, in questa sessione invernale si è tornati ad investire come non succedeva da inizio 2020 (quando il saldo fu in negativo di quasi 40 milioni, a fronte però di 190 milioni incassati e 230 spesi).

Allargando il discorso al resto d’Europa, si nota che il volume di soldi investiti nei trasferimenti dai club dei cinque maggiori campionati europei sono rapidamente diminuiti a causa della pandemia, dopo che tra il 2012 e il 2019 erano più che triplicati.

È stato registrato un calo del 58% tra l’ultimo anno solare completo pre-COVID (2019) e il primo anno solare completo post-COVID (2021). A seconda dei paesi, il calo oscilla tra il -10% della Premier League inglese e il -74% della Liga spagnola.

A partire da quest’estate si è ricominciato a spendere: tra i club dei 5 maggiori campionati europei si è registrato un aumento dell’1% in sul totale speso per i trasferimenti rispetto all’estate precedente, con l’aumento maggiore fatto registrare dalla Bundesliga tedesca: +31%.

Dove si spendono i soldi della Serie A

In questa sessione pochi sono stati i giocatori pescati nelle categorie inferiori dalle squadre di Serie A: Demba Seck dalla SPAL al Torino per 3,5 milioni, Valentin Mihaila in prestito dal Parma all’Atalanta (con un riscatto condizionato a 9 milioni circa), Federico Gatti dal Frosinone alla Juventus per 7,5 milioni (ma lasciato in prestito in Ciociaria fino a fine stagione), Luca Moro dal Padova al Sassuolo per 4 milioni (ma lasciato in prestito al Catania), Abdelhamid Sabiri in prestito dall’Ascoli alla Sampdoria (con eventuale riscatto a 2 milioni) e Luis Rojas in prestito dal Crotone al Bologna.

Si parla quindi di soli 15 milioni investiti dalla Serie A tra Serie B e Serie C in questa sessione di mercato, su 176,35 milioni spesi complessivamente in questo gennaio.

Si tratta di un cifra in linea con la tendenza europea emersa dal rapporto dell’osservatorio sul Football del CIES di settembre, secondo cui nell’ultimo decennio le squadre dei 5 maggiori campionati europei hanno diretto solo l’8% dei loro investimenti verso le serie inferiori del proprio paese, tendenza che si è acuita nel periodo post-pandemico con questo dato sceso al 6%.

Viceversa, è aumentato il settore di mercato che era già predominante, ovvero quello degli investimenti in giocatori provenienti da un altro campionato dei top 5 europei, passata dal 36% al 39%, anche parzialmente a discapito della spesa sui giocatori appartenenti allo stesso campionato, che copriva una quota del 29% tra il 2012 e il 2021 ed è scesa al 28% nel 2021.

È rimasta invariata la spesa indirizzata verso i campionati di primo livello degli altri paesi UEFA, al 19%, per la maggior parte il Portogallo (più di 2 miliardi incassati dai 5 maggiori campionati europei nell’ultimo decennio), che non a caso insidia la Francia per la 5ª posizione nel ranking europeo.

Chi spende di più in Europa

La pandemia ha rafforzato il dominio dei club della Premier League inglese sul mercato. La percentuale di spesa di trasferimento del campionato inglese rispetto alla spesa totale dei club dei maggiori 5 campionati europei è aumentata dal 36% tra gennaio 2012 e gennaio 2020 a oltre il 45% per le tre finestre di trasferimento post-COVID.

Anche in questa finestra invernale, i club di Premier League hanno effettuato acquisti per 335,42 milioni e cessioni per 133,52, con un saldo negativo di 201,9 milioni.

Si segnalano in particolare l’acquisto di Luis Diaz del Porto da parte del Liverpool per 45 milioni e di Bruno Guimaraes del Lione da parte del Newcastle per 42,1 milioni.

Anche la percentuale di investimenti dei dieci club che hanno impegnato di più in indennità di trasferimento è aumentata nell’ultimo periodo (dal 33% al 35% in media per finestra di mercato), così come quella dei dieci trasferimenti più costosi rispetto al totale (dal 30% al 33%). Tutto questo indica una tendenza verso una concentrazione della spesa da parte dei club più ricchi, e in particolare delle squadre più ricche della Premier League inglese.

A quest’estate infatti erano le sei principali squadre inglesi in testa alla classifica per i saldi netti di trasferimento post-pandemia maggiormente negativi, con il Manchester United in testa alla classifica (-218 milioni di euro) davanti a Arsenal (-217 milioni di euro) e Chelsea (-205 milioni di euro). Dall’emergenza COVID, i club della massima divisione inglese hanno registrato un disavanzo totale di quasi due miliardi di euro in operazioni di trasferimento. Per contro, le squadre del secondo campionato più ricco, quello spagnolo, hanno registrato una spesa netta positiva (+196 milioni di euro).

Tirando le somme

Nonostante anche Spagna, Germania, Italia e Spagna abbiano dato segni di ripresa rispetto alla crisi in cui è sprofondato il calcio europeo nel periodo pandemico, la Premier League inglese è l’unica competizione in cui la maggioranza dei club continua ad investire in maniera cospicua nel reclutamento di nuovi giocatori.

Soprattutto questi investimenti si sono rivelati vitali per la sopravvivenza delle squadre degli altri 5 maggiori campionati, e limitare così l’impatto della crisi sanitaria.

L’idea dell’istituzione di una Superlega appare quindi come decisamente poco felice in questo momento, dal momento che già ora il 67% degli investimenti sono concentrati esclusivamente negli scambi all’interno dei maggiori 5 campionati europei, e solo il 33% dei soldi investiti arrivano alle serie inferiori o ad altri campionati. L’idea di un sistema chiuso, separato e autoregolamentato come nell’idea della Superlega, non farebbe altro che aumentare questo dislivello di risorse.

Allo stesso tempo, la dipendenza di un numero sempre maggiore di club dagli introiti legati al mercato, anche all’interno dei campionati più ricchi, mette in luce la debolezza dell’attuale sistema economico del calcio professionistico. In un contesto di ricchezza sempre più disparata, la sopravvivenza di sempre più squadre si basa sui profitti generati dal trasferimento dei loro migliori giocatori. Questa situazione è sia finanziariamente pericolosa che sportivamente limitante.