Ma in fondo, anche un bel po’ in fondo, la ricordate la Sampdoria del 1994-1995? No, non quella dei fasti. Quella immediatamente successiva, la fiamma della candela che pian piano si sta spegnendo, ma che ancora illumina quel barlume di speranza e ambizione, perché a vincere ci si abitua in un attimo ma ci vuole una vita per restare a quei livelli. Anzi: una vita, quasi sempre, neanche basta.
E allora, un tuffo nei ricordi non guasta mai, soprattutto in quelli blucerchiati e degli anni Novanta. Nel 1994, per la precisione, la squadra arrivava da un terzo posto meraviglioso con Ruud Gullit assoluto protagonista, Roberto Mancini supereroe e con tanti saluti a Luca Vialli, passato poco prima alla Juventus.
Era, insomma, finita l’epopea italiana ed europea: lo scudetto era già un ricordo indimenticabile. Ed era tornata la voglia di rivivere quell’entusiasmo, quella gioia, quell’ambizione di mettersi tutti dietro. Anche uno dei Milan più forti di tutti i tempi.
Il mercato della Sampdoria
Oh, considerate questo: non solo c’erano campionato e Coppa Italia, ma la Samp avrebbe dovuto affrontare la Coppa delle Coppe e la Supercoppa Italiana, già ad agosto e subito persa contro il Milan.
Dunque, serviva essere pronti, preparati, con una squadra all’altezza. Anche per questo, il presidente Melli non si fece problemi di alcun tipo: sapeva qual era il punto debole dei doriani, e sapeva soprattutto come colmarlo. Il primo obiettivo divenne rimpiazzare il portiere titolare, quel Gianluca Pagliuca cresciuto così tanto da meritarsi il posto di Zenga. E Zenga, bistrattato nonostante gli anni di militanza e l’interismo, prese direttamente il suo posto. Il secondo, nonostante l’amore per l’Inter, non l’avrebbe mai fatto.
Messo da parte il guardiano dei pali, ad andare via furono Katenec e due giovanissimi talenti, che successivamente avrebbero fatto parte della storia del calcio italiano: da una parte Enrico Chiesa, ceduto in prestito alla Cremonese, dall’altra Nicola Amoruso, ceduto a titolo temporaneo alla Fidelis Andria.
Ecco, gli ingressi? Parlavamo dei difensori: arrivarono due giocatori di livello assoluto come Sinisa Mihajlovic – giovane promessa già mantenuta – dalla Roma e l’esperienza di Riccardo Ferri, anche lui dall’Inter. A centrocampo, Riccardo Maspero, uno che non le mandava a dire. Infine, in attacco, dal Parma arrivò capitan Melli: e durò proprio poco.
Sì, Sandro Melli durò esattamente da giugno a novembre. Il motivo era tutto nelle treccine di Ruud Gullit, cioè nel suo talento. Dopo una stagione (quella precedente) di assoluto livello, da 15 gol in 31 partite, Gullit era rientrato al Milan in seguito al prestito proprio alla Samp. Poi la rottura definitiva e la scelta: Mantovani era pronto a riaccoglierlo a braccia aperte, anche se quella di Eriksson era già diventata un’altra squadra…
La rosa
Giocatore | R | Giocatore | R |
---|---|---|---|
Walter Zenga | P | David Platt | C |
Giulio Nuciari | P | Attilio Lombardo | C |
Matteo Giannello | P | Riccardo Maspero | C |
Moreno Mannini | D | Fausto Salsano | C |
Riccardo Ferri | D | Alberigo Evani | C |
Pietro Vierchowod | D | Alessandro Doga | C |
Stefano Sacchetti | D | Vincenzo Iacopino | C |
Sinisa Mihajlovic | D | Ruud Gullit | A |
Marco Rossi | D | Roberto Mancini | A |
Michele Serena | D | Claudio Bellucci | A |
Giovanni Invernizzi | C | Mauro Bertarelli | A |
Vladimir Jugovic | C | Marco Carparelli | A |
No, niente spoiler, ma appena un commento fugace. Per quella che divenne una squadra di metà classifica e che invece meritava ben altra storia, ben altra strada.
Del resto, date un’occhiata alla difesa: davanti a Zenga (e Nuciari, il vice), c’era una difesa composta da Moreno Mannini, Pietro Vierchowod, Michele Serena, Stefano Sacchetti e Marco Rossi – oggi allenatore dell’Ungheria -, ai quali Mantovani aveva proprio aggiunto Sinisa Mihajlovic e Riccardo Ferri, pezzi già da Novanta.
In mezzo, Maspero era pronto a fare la differenza, anche se c’era da aspettare davanti a tutto quel talento e quindi meglio Invernizzi a dare solidità ed equilibrio.
Intanto meglio affidarsi ad Attilio Lombardi, ancora come ai tempi d’oro, oppure a Salsano ed Evani, oggi collaboratori di Roberto Mancini (e ci arriveremo) e dunque nello staff della Nazionale italiana.
Ma in mezzo, Eriksson aveva soprattutto l’inglese David Platt (ex Juve, poi Arsenal) e tutto il talento di Vladimir Jugovic, anche lui con un “futuro” bianconero e con la Coppa dei Campioni tra le mani. Gioiellini.
In attacco, Bertarelli e Carparelli, un giovanissimo Claudio Bellucci e Alessandro Melli fino al ritorno di Gullit. Ovviamente, menzioni d’onore a capitani e titolari: di fianco a Roberto Mancini, ancora doriano, arrivò come detto Ruud Gullit, trafelato e arrabbiato da quella porzione di stagione milanista.
Arrivò un ottavo posto, nessuna coppa europea: non bastò a non definirla una stagione fallimentare.
La stagione
Come arrivò, dunque, la Samp a fare solo 50 punti in stagione?
Dopo le incoraggianti vittorie con il Padova e in casa della Reggiana, i blucerchiati iniziarono a perdere tantissimi scontri diretti: il primo con la Juventus a Torino, poi Roma all’Olimpico.
Una fugace vittoria con il Parma a Marassi e ancora pari con Milan e Napoli, fino al pesante ko esterno con la Cremonese. Per tutto novembre non arrivò una vittoria, il derby conquistato per 3-2 fu una boccata d’ossigeno.
Così continuò la stagione della Samp, tra pareggi incredibili (Torino e Fiorentina) e vittorie anche importanti. Ma quasi mai contro le sette sorelle della Serie A.
Il momento più critico arrivò tra marzo e aprile: 4 sconfitte in 5 partite, squadra sprofondata a metà classifica e che da lì non si riprese mai più, anche per mancanza di ulteriori obiettivi. Sì, perché nelle difficoltà di ottobre e novembre, la Samp chiuse anche il percorso in Coppa Italia contro la Fiorentina – decisivo il 2-1 patito al Franchi. Sorrise almeno il percorso in Coppa delle Coppe: dopo aver superato a fatica il Bodo/Glimt (ricorda qualcuno?), la Doria vinse il doppio confronto con il Grasshopper e raggiunse i quarti di finale con il Porto. 0-1 a Marassi, risultato replicato per fortuna al Do Dragao: ai rigori, passano gli italiani.
La semifinale è storica e affronta uno degli Arsenal più belli dell’ultimo periodo: a Londra, Bould fa doppietta in tre minuti, poi Jugovic accorcia ma Wright al 69′ chiude i conti. Sembra finita, e invece c’è ancora Jugovic a dare speranza per il 3-2 finale. Al Ferraris, il ritorno è brutale: Mancini apre le danze al 14′, Wright pareggia e manda momentaneamente gli inglesi in finale. Poi inizia l’epopea di Bellucci: gol al minuto 85, la parola fine al minuto 86. Finché Schwarz, dal nulla, fa 3-2 e pareggia ogni tipo di conto. Ai calci di rigore, Mihajlovic sbaglia quello decisivo.