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Un anno prima del miracolo Mundial, o’ miracolo di Avellino. Il calcio è pieno di storie che si ripetono: in forme diverse, ma in emozioni pressoché simili. Perché quella salvezza, in Campania, fu un po’ la Coppa del Mondo anticipata.

Partiamo dalle basi. Campionato di Serie A 1980-81: ecco a voi l’impresa ‘dei lupi verdi’. Ed era un anno particolare, che al calcio si è pure aggrappato: il 23 novembre dell’Ottanta, il terremoto aveva devastato tutto. Una stagione prima, la Giustizia Sportiva aveva dilaniato ogni speranza dopo lo scandalo del calcioscommesse, di cui si contavano ancora i cocci.

La ripresa

Milan e Lazio erano state condannate dalla Caf alla retrocessione. Avellino, con Bologna e Perugia, era stato colpito solo con una penalizzazione di 5 punti. I verdi erano stati affidati a Vinicio, brasiliano con un passato al Napoli già da visionario: il suo intento, in tutte le squadre, era quello di applicare l’estetica alla pratica. Andava di schema a zona, che era una rarità, che era pure rischioso per quei tempi. Soprattutto con determinati giocatori in campo.

Sì, ma quali? Una città intera si affidava a Di Somma, il capitano, poi c’erano Piga, Criscimanni. C’era soprattutto Beniamino Vignola, con un futuro alla Juventus che spalancò le porte dei cosiddetti ‘provinciali’ ad altri sogni e nuovi palcoscenici. L’aveva scoperto a Verona Antonio Sibilia: fece innamorare una tifoseria intera. Al pari delle parate di Tacconi, certo. Ma anche dell’unico internazionale disponibile: Avellino scelse Juary, messicano. Era giovanissimo, appena ventunenne, ma al Santos dicevano di lui grandissime cose. E della terra di Pelé, qualcuno osava fidarsi a occhi chiusi.

La stagione

S’inizia con la Coppa Italia e furono subito scintille: Inter fuori e Milan domato sull’1-1 (Criscimanni, poi Baresi). Palermo e Catania bevute poi in un bicchier d’acqua, quindi i quarti di finale e una certezza: Tacconi, che poi sarebbe diventato il portiere della Signora e della Nazionale, era diventato il numero uno ufficiale. Si fa settembre ed è campionato, sebbene con cinque lunghezze di penalizzazione. Il primo obiettivo? Azzerare la classifica. A Brescia, De Porti sigla il vantaggio; Sella pareggia, ma c’è Valente: 1-2 e target più vicino. Al Partenio, però, la Fiorentina s’impone: Desolati chiude i conti sul 3-2. E al Comunale di Torino, terza giornata, è un’altra batosta.

Se chiedete agli avellinesi quale sia stata la partita della svolta, questi vi risponderanno con un gesto: quello di Juary. Il messicano, nella partita casalinga contro il Cagliari, replicò al rigore di Vignola. Ma non si limitò a una semplice esultanza: girò attorno alla bandierina e tese il braccio. Tre piroette: un gioco, uno scherzo, ma un gesto che si fece storia. Così, la squadra capì di poter contare sul suo centravanti. Giovane, sì: ma forte.

L’ultimo punto da recuperare arrivò in un pareggio a Perugia: dalla sesta giornata, iniziava un altro campionato. Che proseguì con la vittoria sul Como.

Il terremoto

Sconfitta contro il Napoli, vittoria contro l’Ascoli. Alt: si ferma tutto. Il 23 novembre del 1980, Avellino e la Campania intera vengono riportati bruscamente alla realtà da un terremoto fortissimo. Parte della città era crollata sotto le macerie, le strade di un tempo erano cumuli di disperazione da cui le persone non osavano ripartire. Per paura, per tristezza, per la perdita definitiva di tutte le speranze. Lo shock fu enorme: lo stadio, il Partenio, era diventato un campo di accoglienza per i senzatetto. All’epoca, l’Avellino dovette chiedere asilo al Napoli, al San Paolo. E la ferita si fece sentire anche in campo.

Pistoiese e Udinese furono chiari segnali: sconfitte impietose. Un successo col Catanzaro, sì, ma lo spettro di quanto accaduto si era impossessato anche dei sogni. Al giro di boa, gli irpini erano ultimi in classifica. E nulla si mosse nemmeno dopo il pari emozionante di Piga, all’ultimo, contro la Juventus in un San Paolo diverso.

La risalita

Il ritorno non lasciava presagire nulla, nemmeno un tarlo di positività era rimasto attorno a quei ragazzi. Che si compattarono, decisero di reagire nonostante il silenzio. Contro il Brescia, nella prima di ritorno, la squadra di Vinicio uscì per la prima volta dalla zona retrocessione. Arrivarono fino al decimo posto, dopo una vittoria con la Pistoiese e con un Vignola già maturo per altri traguardi. Quando tutto sembrava andare verso uno spiraglio di salvezza, ecco che il calendario seppe mettersi in mezzo. Juve e Bologna (quel Bologna) in trasferta; Inter e Roma in casa. C’erano punti caldi e pesantissimi in palio: non era scontato, tutt’altro.

Si parte dal Comunale di Torino. La Juve è prima in classifica, fresca detentrice del primato. La gara dell’Avellino è corsa e abnegazione: arriverebbe pure un buon pari se non fosse per quel gesto atletico di Cabrini che vale la vittoria bianconera a 9 minuti dal termine. Tocca all’Inter: nulla da fare, nemmeno davanti alla bolgia avellinese e al Partenio ritrovato. Solo un punto alla zona retrocessione, e già con il Bologna c’era da far risultato. 0-0, alla fine.

L’ultima partita

Un punto, solo un punto, e tutto sarebbe diventato realtà. Tutti i sacrifici, la forza, la ribellione al destino, le scarpe strette e il cuore in gola, avrebbero trovato il conforto e la giustificazione del risultato. La Roma, ancora in corsa per lo scudetto e arrabbiata per il famoso gol di Turone annullato dall’arbitro Bergamo appena qualche settimana prima, non ammette scherzi della sorte. Gioca in trasferta, ma non ha paura del Partenio vestito a festa. Sa che tutto può cambiare da un secondo all’altro.

Cinque minuti e Falcao fa gol: i giallorossi sono primi, superano la Juve per ben 28 minuti. Al Comunale, la Juve fa gol ancora con Cabrini e avvicina il tricolore. Una mazzata, per il popolo romanista. Che ne risente anche in campo, dando il la all’Avellino per una salvezza ormai insperata.

Come nelle favole, Carneade s’impossessa della scena: punizione dal limite, la batte Venturini. Il difensore, uno ‘dai piedi di gesso’ come dirà Di Somma, piazza un tiro secco sotto l’incrocio. Tancredi non ci arriva: è 1-1, è quel punto che serve a ribaltare la storia. Gli irpini erano salvi. E Avellino aveva la sua rivincita pure contro il destino. O miracolo, prima del miracolo Mundial.