Vai al contenuto

Impossibile dire che il calcio e le aspettative vadano di pari passo. Aspettative che genera un club quando progetta la squadra. Aspettative che nascono implicitamente dai tifosi, o magari dallo stesso giocatore all’inizio della propria carriera, quando firma per una nuova squadra e veste una nuova maglia.

Le aspettative sono il più grande alleato e il più grande nemico del tempo: sarà sempre quest’ultimo a dare il giudizio finale, la Cassazione pronta a confermare o smentire.

Ruben Botta, nato a San Juan, Argentina, il 31 gennaio del 1990, l’ha capito sulla propria pelle.

La storia di Botta

Un centrocampista offensivo, una tecnica raffinata e la certezza – ripetuta da più “fonti” – che un giocatore così, al Tigre, non s’era mai visto. Due anni prima nasceva il Fideo Di Maria, che oggi infiamma la Juventus dopo aver vestito e vinto con Real Madrid e Psg; due anni dopo, nasceva quello che per tanti sarebbe stato un primo erede naturale, nuova parte della dinastia dei dolci mancini di sangue argentino.

Anche per questo se n’era innamorato l’Inter, quando il ragazzo aveva appena 23 anni: aveva giocato al Ventspils, in un club lettone, ed era poi “risorto” nel campionato argentino, che sentiva certamente troppo piccolo. Il sogno era diventare enorme, dunque andare a giocare in Europa: i nerazzurri lo accolgono come il salvatore di una squadra in depressione – subito post Triplete -, ma finiscono per trascinarlo nel baratro delle difficoltà.

La prima, la più grande: nel maggio del 2013, quando era in procinto di passare ai nerazzurri, la sfortuna bussa alla porta di Ruben. Rottura del legamento crociato e del menisco del ginocchio sinistro, in una partita degli ultimi ottavi di finale di Copa Libertadores, contro l’Olimpia, squadra del Paraguay. Subito l’intervento chirurgico, prima dei sei mesi di stop. I nerazzurri, alla fine, non vengono meno alla promessa.

Gli anni in prestito e non solo

Poco prima della chiusura del mercato estivo, l’Inter decise di dargli minutaggio, di mandarlo a giocare. Lo lasciò prendere allora al Livorno, con la promessa di acquistarlo già nel mese di gennaio.

Passato il primo periodo in Toscana, i nerazzurri lo ritrovarono pronto e rodato. Ecco, più o meno. Walter Mazzarri, ai tempi allenatore nerazzurro, se lo ritrovò in rosa per poi non sapere cosa fare.

Dopo il debutto con il Chievo – appena 7 minuti in campo – è subito chiaro che all’Inter non avrà spazio.

Nelle prime cinque partite, gioca per un totale di 65 minuti. Nelle ultime quindici, colleziona presenze con la Primavera, finché all’ultima giornata, con nulla in palio, debutta finalmente da titolare.

Sempre con il Chievo, stavolta al Bentegodi. Senza un posto all’Inter, decise di fare le valigie in cerca di minuti in cui rilanciare la sua carriera e ritrovare la versione migliore di sé. Neanche quella (14/15), e proprio a Verona, fu la stagione dei sogni. Infatti, quando è stato schierato titolare nella quinta giornata, un infortunio lo ha tenuto fuori dal campo di gioco per quasi due mesi.

E quando torna in campo, proprio contro la “sua” Inter, vive una giornata da dimenticare: entra al 64′ e viene espulso al 72′ dopo un doppio cartellino giallo. Subì un’ulteriore squalifica di tre partite e, nella seconda parte della stagione, divenne un punto fermo della panchina dei clivensi.

Il 31 maggio 2015, contro la Fiorentina di Salah e Gilardino, ha giocato la sua ultima partita in Europa, perdendo 3-0.

L’esperienza in Messico e il ritorno in Argentina

Dopo due stagioni di calcio in cui il calcio che Ruben Botta nutriva sembrava essere svanito, è stato avvicinato dalla squadra messicana del Pachuca, che ha pagato poco più di 2,5 milioni per ingaggiarlo. Nella Liga MX non ha deluso le aspettative ed è diventato un elemento fondamentale di una squadra con cui avrebbe vinto due titoli (Clausura e CONCACAF Champions League). Ha aggiunto minuti, ha acquisito freschezza e in due stagioni ha ottenuto buoni risultati (52 partite, 10 gol e 11 assist).

Tanto buoni da risvegliare il San Lorenzo, pronto a bussare alla sua porta. Nel gennaio 2017 ha indossato la maglia azulgrana. Dopo 78 partite, 8 gol e un rendimento in crescendo – nell’attuale Superliga ha preso parte a una sola partita, la prima – ha chiuso il suo rapporto con il Ciclón sei mesi prima della scadenza del contratto.

E così arriviamo quasi ai giorni nostri, quando Ruben Botta, il giocatore che prometteva tanti pomeriggi di gloria a San Siro dopo le sue prestazioni al Tigre, con i suoi trent’anni sottobraccio torna a godersi il calcio nel Defensa y Justicia, club allenato da una vecchia conoscenza degli interisti, Hernan Crespo, arrivato su quella panchina lo scorso gennaio.

Sempre presente nei piani del Valdanito, Botta ha trovato la rete a febbraio contro l’Estudiantes ed è stato titolare in entrambe le partite di Libertadores dei Falchi. Infatti, le sue buone prestazioni hanno nuovamente suscitato l’interesse di altri club.

Sicuramente il giocatore di San Juan non ha sviluppato la carriera che sette anni prima sembrava portarlo alla gloria – o almeno, alla gloria europea -, ma chissà cosa sarebbe successo se quel grave infortunio non fosse comparso nella sua vita, in quel momento così fondamentale.

Probabilmente, non lo avremmo visto così come l’abbiamo visto nell’ultimo periodo. E cioè: alla Sambenedettese a fine 2020, al Bari dalla scorsa stagione. È ripartito dall’Italia, il suo viaggio europeo, e precisamente dalla Serie C.

Nella passata stagione, ha collezionato 4 reti e 9 assist con i pugliesi: è stato uno dei protagonisti della cavalcata verso il campionato cadetto, che quest’anno disputerà da protagonista assoluto.

Un’altra prima volta, l’ennesima della sua storia.