Vai al contenuto

Una scorpacciata di 10 partite in un solo giorno, non come ai vecchi tempi in cui si giocavano tutte alle 15, ma dipanate lungo l’arco di 10 ore. Il rientro della Serie A dopo la lunga sosta per i mondiali è stato un caso forse senza precedenti di “binge watching” pallonaro.

Dall’antipasto con Salernitana-Milan e Sassuolo-Sampdoria, a Inter-Napoli e Udinese-Empoli serviti come dessert. La sedicesima giornata del nostro massimo campionato è stata più faticosa che bella da seguire, ma i quasi due mesi di astinenza hanno alleggerito la polpetta.

Le incognite della lunga pausa

La lunga pausa invernale era un inedito e, in quanto tale, presentava incognite in quantità. Si era provato a ipotizzare quali squadre avrebbero potuto patire di più o di meno la prolungata inattività, o quale avrebbe potuto ricevere più danni dal mondiale, ma l’assoluta assenza di precedenti rendeva ogni ipotesi un lavoro di pura fantasia.

Chi era andato a mille prima della pausa avrebbe continuato a farlo? Chi aveva tanti infortunati da recuperare ne trarrà vantaggio? E chi – come ad esempio la Juve – aveva ingranato prima del break, avrebbe continuato nei progressi? Vediamo cosa ci ha offerto di vecchio e di nuovo il ritorno dei nostri eroi.

Cosa è andato bene nel ritorno della Serie A

Il Milan si impone a Salerno, nonostante un debutto da scintille dell’iconico portiere messicano Ochoa (a tratti esaltante). Lo fa soprattutto grazie a due elementi, Leão e Tonali. Il primo si conferma ancora una volta un lusso assoluto per il campionato italiano, che viaggia sempre a ritmi nettamente più lenti rispetto a certi standard europei. Dopo aver visto Fernando Santos lasciarlo quasi sempre marcire in panchina in Qatar, torna prepotente il dubbio: Leao potrebbe essere un top anche in una Premier League?

E poi c’è Sandrino Tonali, uno che in campo si fa sempre sentire anche quando non si vede. Viene da sorridere pensando alle critiche, da parte di tifosi milanisti ma anche di alcuni addetti ai lavori, durante il suo primo periodo in rossonero. Con pazienza, e l’indubbio merito di Pioli e del suo staff nell’averlo atteso, il ragazzo si è gradualmente preso il Milan, di cui oggi è nettamente leader. Si sono sprecati i paragoni (quasi sempre tossici) con campioni del passato come Pirlo, ma la verità è che Tonali ha la qualità di essere ciò che serve alla squadra: grintoso come Gattuso, arrembante come Tardelli o tecnico come Pirlo. Dategli le chiavi anche della Nazionale, grazie.

L’Inter si è ripresentata tirata a lucido come il sergente Hartman, combattiva e spietata e soprattutto senza paura di concedere campo alla capolista. Dzeko si conferma un professore di calcio e Inzaghi segna un importante punto a suo favore contro i detrattori. Il tecnico ha indovinato praticamente tutte le mosse e anche i cambi, cosa quest’ultima che non gli era successo spessissimo in questa stagione. L’allenatore ha avuto una grossa mano da un acquisto a sua volta criticato a più riprese, come Acerbi, che oltre ad aver cancellato Osimhen dal match ha mostrato di potere essere un leader difensivo a tutto tondo, anche all’Inter. E poi c’è Barella, di cui questa pausa ci ha restituito la versione più brillante.

Ci è piaciuta la grinta della Sampdoria, capace di prendersi una vittoria di importanza cruciale, la seconda in trasferta del campionato. Curioso che ancora i blucerchiati siano a 0 nella casella “vittorie in casa”, l’organico è quello che è (e la situazione societaria non permetterà manovre importanti in entrata a breve), ma Stankovic potrebbe aver preso finalmente la situazione in mano.

E poi il meraviglioso Lecce, che ha come sempre nel “via del Mare” il dodicesimo uomo in campo. Ma la rimonta sulla Lazio non è solo dovuta a impeto e cuore, bensì anche a precise scelte come quella di inserire Di Francesco. L’ex SPAL è stato il grimaldello per insinuarsi tra le insicurezze dei biancocelesti. Il secondo gol, tutto di prima, è di una bellezza quasi zemaniana.

Bene il gol di Milik e la difesa della Juve. Che ha ballato un po’ troppo, considerando che si trovava di fronte a una squadra che non ha ancora vinto in Serie A, ma che ha messo insieme una serie di 7 vittorie consecutive senza subire gol. Il record di partite consecutive (10) e vittorie consecutive (9) con clean sheet inizia a non essere lontanissimo. Un “Chi l’avrebbe mai detto?” è d’obbligo, ma è così che stanno le cose.

Last but not least, ci è piaciuto Sozza. In un’epoca caratterizzata dalla carenza di grandi arbitri e con pochi prospetti interessanti all’orizzonte, l’autorità con cui Sozza ha diretto Inter-Napoli fa ben sperare per il futuro della categoria.

Cosa non è andato bene

Sarebbe facile dire il Napoli, ma in realtà si può benissimo trattare di un episodio isolato. L’Inter ha azzeccato tutte le mosse, annullando Osimhen e Kvaratskhelia con Acerbi e Darmian. Adesso sta agli uomini di Spalletti dimostrare che si è trattato solo di un incidente di percorso. Certo pensare a un Napoli che tiene la media di 2,7 punti a partita fino a fine campionato non era concepibile, dunque non c’è di che allarmarsi, a parte per i vittimisti di professione.

L’altra grande delusione di giornata è la Lazio di Sarri. Certo, la lunga pausa ha significato anche vacanze aggiuntive per i giocatori, dunque il tecnico ex Napoli e Juve non ha potuto continuare a lavorare come avrebbe voluto. Però la rimonta subita dal Lecce ha scoperchiato un problema di organico dei biancocelesti. Basta una giornata di cattiva forma di Milinkovic-Savic (che ricorda quello pallido del mondiale) e l’assenza di Luis Alberto, e improvvisamente la Lazio scopre di non avere in panchina le risorse necessarie né per tenere la partita in mano, né per riprenderla una volta sfuggita.

E poi c’è la Juve. Che ha vinto, sì, nel più perfidamente allegriano dei modi, ma che non può lasciare soddisfatti. I bianconeri hanno ritrovato in buona parte il piglio storico di non mollare mai, ma vanno ancora troppo spesso in sofferenza. Va bene l’assenza di Vlahovic, ma Allegri presenta allo Zini una Juve anche troppo abbottonata per questa Cremonese. E anche a livello di iniziativa dura troppo poco, per poi andare avanti a frustate di orgoglio.

Un’altra squadra che dura poco è purtroppo la Fiorentina. La partita con il Monza è in tal senso emblematica: un tempo da grande squadra, uno in netta sofferenza. Bravo Palladino ad azzeccare i cambi, ma Italiano deve lavorare ancora parecchio.

Problema opposto è quello della Roma, che ha vinto nel modo più sparagnino possibile. La qualità della manovra giallorossa si conferma affidata agli eventuali lampi dei suoi uomini di classe (Dybala e Zaniolo). L’emblema di questo tipo di vittoria è il decisivo salvataggio sulla linea di Abraham, uno che in teoria i gol dovrebbe farli.

Lasciamo per ultima DAZN, che era chiamata a un test davvero impegnativo con 10 partite in un arco di tempo ristretto, e un pubblico prevedibilmente affamato. Le tantissime lamentele su un match di cartello come Inter-Napoli sono lì a dimostrare che anche per il canale ufficiale di streaming per la Serie A c’è ancora tanto da lavorare.

Cosa ci ha detto questo turno

Se il mondiale ha detto a chiare lettere che quello del possesso palla è un feticcio, almeno nei suoi eccessi, il nostro campionato ha sancito un certo ritorno in auge del classico “calcio all’italiana”. Dopo anni in cui molti allenatori si affrettavano a rivendicare il predominio della partita, e a chiudersi per poi ripartire erano sempre gli altri, stavolta c’è chi non si nasconde dietro il dito. La Samp di Stankovic ha espugnato il campo del Sassuolo tenendo la palla soltanto il 32% del tempo, e giocando sostanzialmente in contropiede. Lo Spezia ha aspettato e trafitto una fragile Atalanta per almeno un’ora, salvo poi farsi rimontare nei minuti di recupero. Il Verona quasi la combinava in casa del Torino, nonostante un misero 30% di possesso palla. E anche la vittoria sofferta della Roma, alla fine, attinge a un simile pragmatismo.