Vai al contenuto

Ci sono atleti il cui nome diventa il sinonimo di un gesto tecnico innovativo che diventa una sorta di nuovo standard nella disciplina: Dick Fosbury ha segnato per sempre il mondo dell’atletica con la sua rivoluzionaria tecnica di salto in alto, messa in mostra alle Olimpiadi del 1968, e nella ginnastica e nel pattinaggio ci sono numerosi esempi di atleti che hanno identificato con il proprio nome movimenti specifici, come Axel Paulsen e Alois Lutz nel pattinaggio su ghiaccio, oppure il nostro Igor Cassina alle parallele.

Nell’ambito calcistico, Antonin Panenka agli Europei del 1976 ha legato indissolubilmente il suo nome al rigore battuto a cucchiaio, tanto che in ambito internazionale lo si definisce proprio panenka, ma ci sono innumerevoli altri esempi, come il gol alla Del Piero, oppure la definizione di zona Cesarini per i gol che arrivano allo scadere del tempo. 

Ci sono certi gesti però che sono talmente folli, istintivi ed iconici che diventano irripetibili, e che restano legati per sempre a quello specifico atleta, tanto che il confine tra uomo e gesto atletico diventa indistinguibile.

Per questo René Higuita è stato, è e resterà per sempre il portiere del gesto dello scorpione, un gesto che riassume in pochi istanti tutta la personalità e la carriera di uno dei personaggi più controversi e caratteristici del calcio sudamericano degli anni ‘90. 

Un portiere che non poteva essere limitato all’area

José René Higuita Zapata nasce il 27 agosto 1966 a Medellín, in Colombia e cresce negli anni in cui il traffico di cocaina gestito dal cartello di Pablo Escobar assume dimensioni mondiali.

Il mondo nei Narcos avrà un peso enorme nella sua vita e nella sua carriera, come vedremo. Senza un padre che lo riconosca, perde la madre ancora piccolo, e viene cresciuto dalla nonna. Il piccolo René passa l’infanzia consegnando giornali e giocando a calcio, diventando un buon attaccante

Un giorno, però, durante un torneo giovanile, il portiere titolare della sua squadra si infortuna, ed è proprio Higuita ad indossare i guantoni per sostituirlo, mettendo in mostra doti notevoli tra i pali che lo spingono ad assumere definitivamente il ruolo di portiere

Nel 1985 esordisce tra i professionisti con la maglia del Millionarios, per poi tornare a casa, nell’Atletico Nacional di Medellín, allenato da Francisco Pacho Maturana, mettendosi in mostra come uno dei migliori portieri del campionato, vincendo anche una Coppa Libertadores (prima volta nella storia per una squadra colombiana) e andando a giocarsi la Coppa Intercontinentale contro il Milan di Sacchi, peraltro grande estimatore e studioso di Maturana, perdendo solo ai supplementari, trafitto dal gol su punizione di Evani. 

Dopo questo primo, grande palcoscenico internazionale, Higuita si mette in luce nuovamente ai Mondiali di Italia ‘90, con la maglia dei Cafeteros, allenati sempre dal Pacho Maturana. Le sue ottime prestazioni contro la Jugoslavia (in cui para anche un rigore) e la Germania Ovest lo impongono all’attenzione della platea mondiale. Grazie alle sue parate e alle precise geometrie del Pibe Valderrama, la Colombia supera per la prima volta la fase a gironi. 

In quegli anni il ruolo del portiere era ancora molto diverso da come lo conosciamo oggi: non era gli era ancora stato vietato di raccogliere con le mani i retropassaggi dei compagni, ed eravamo molto lontani dalle evoluzioni tattiche degli ultimi anni in cui il portiere deve essere sempre bravo con i piedi e prima fonte di gioco della squadra.

In un panorama dominato da spilungoni specializzati nel bloccare qualsiasi pallone entri in area, fece scalpore questo personaggio un po’ tracagnotto, alto solo 1.72 cm, che interpreta il ruolo in una maniera talmente offensiva che farebbe arrossire anche i moderni Neuer e Courtois, non disdegnando di battere rigori e punizioni (arrivando a segnare 48 reti in carriera, di cui 3 in nazionale e uno storico in semifinale di Libertadores contro il River). 

Per Higuita non solo la porta, ma l’intera area di rigore è una costrizione. Interviene di testa fuori dall’area, sale palla al piede in dribbling fin oltre la trequarti, è una sorta di variabile impazzita dal basso. Se già dai tempi del calcio totale dell’Olanda di Cruijff si erano visti portieri che agivano da liberi aggiunti, Higuita era piuttosto una seconda punta che giocava partendo dalla propria area di rigore. Ma ovviamente questa maniera di giocare, folle, istintiva e spettacolare, lo esponeva anche a dei rischi clamorosi: agli ottavi di finale, contro quel Camerun protagonista del primo, grande exploit di una nazione africana ad un Mondiale, ai supplementari la Colombia va sotto di un gol, segnato dal grande Roger Milla.

René, con quella sua foga istintiva, decide che deve aiutare la squadra a pareggiare, e, a 40 metri dalla porta, tenta un dribbling in velocità su Milla. È un’idea sciagurata: il leone camerunense gli strappa la palla tra i piedi e si invola, indisturbato a siglare la doppietta che varrà al Camerun uno storico passaggio del turno. 

Una vita al limite, nella Colombia dei Narcos

Durante i Mondiali di Italia ‘90 peraltro le partite della Colombia erano osservate con attenzione non solo dai tifosi, ma anche dall’Interpol e dal FBI, viste le voci che davano la presenza di Pablo Escobar allo stadio in caso di passaggio del girone, su invito dello stesso Higuita. 

Sono gli anni in cui il Cartello dei Narcos guidato da Pablo Escobar detiene una sorta di potere assoluto, costruito non solo sui soldi derivanti dal traffico internazionale della cocaina, ma anche dal sentimento della popolazione verso El Patron che investiva, ristrutturava e dava lavoro a innumerevoli persone, finanziando direttamente lo stesso Atletico Nacional. 

Higuita era diventato amico di Escobar, tanto da giocare nel 1991 una storica e famigerata partita di calcio, insieme a Maradona, alla Catedral, il famoso carcere/fortezza in cui il narcotrafficante si era auto recluso in accordo con il governo colombiano, e da cui continuava a gestire il suo potere, tra due squadre composte dai due campioni e dai vari sicari del Cartello. 

Nel 1993 Higuita viene arrestato, 2 giorni dopo l’uccisione di Pablo Escobar, per aver fatto da mediatore senza avvertire la polizia nel caso del rapimento della figlia di un amico. René mediò con gli uomini di Escobar, trattando un riscatto di 300mila dollari, di cui circa un sesto andarono al portiere per il suo “lavoro”. Quest’evento fu la chiave con cui aprirono varie altre indagini sul suo conto, incriminandolo anche per sfruttamento della prostituzione e altri intrallazzi con El Patron, che gli costarono 7 mesi di carcere e la mancata convocazione ai Mondiali di USA ‘94, dove la Colombia pianse l’omicidio di Andres Escobar, condannato a morte dal Cartello di Calì a causa dello sciagurato autogol che costò ai Cafeteros il passaggio del girone e, con ogni probabilità, ai narcotrafficanti diversi milioni in scommesse. 

La parata dello scorpione, un gesto che lo fa entrare nella storia

Nonostante i guai con la giustizia, Higuita ha continuato a giocare in patria, tornando poi in Nazionale in occasione della Coppa America del 1995, chiusa al 3° posto. Il 2 settembre 1995 scende in campo con la maglia della Nazionale in un’amichevole giocata a Wembley contro l’Inghilterra. In quella che appare poco più che un allenamento di lusso, Higuita compie il gesto che più di ogni altra cosa lo consegna alla storia di questo sport. 

La partita è impostata su un poco esaltante 0-0, come spesso accade nelle amichevoli tra nazionali di inizio stagione. Al culmine di un’azione offensiva degli inglesi, la difesa colombiana sale al limite dell’area e non lascia altra scelta agli inglesi di dare palla indietro. L’accorrente Jamie Redknapp cerca di cogliere l’occasione allora per sorprendere Higuita con un pallonetto dalla trequarti, una parabola precisissima ma alquanto lenta. Nessun portiere al mondo sarebbe impensierito da quella traiettoria, facilmente bloccabile in presa sicura. Ma nessun portiere al mondo è René Higuita, un uomo che non ha mai fatto il portiere in maniera “normale”: si tuffa in avanti, con le mani portate al petto, facendosi scavalcare dalla palla che viaggia verso la porta, e, parallelo al terreno, alza i piedi. La palla viene colpita da entrambe le suole, prima che varchi la linea di porta, e spedita quasi nel cerchio di centrocampo, mentre René atterra dolcemente a faccia in giù sull’erba. 

Un gesto folle, incomprensibile e inconcepibile, e per questo esaltante. Uno sberleffo all’avversario, un lampo di follia e impudenza, arrogante e surreale, compiuto in un tempio del calcio come Wembley, a casa degli inventori del gioco del calcio. Una sorta di gesto rivoluzionario, quasi sacrilego, che impone la fantasia tipicamente sudamericana sulla concretezza inglese. C’è tutto Higuita, c’è tutto il calcio sudamericano in quel gesto: allegria, imprevedibilità, rischio e spettacolo. 

René, dopo quell’incredibile gesto, continuerà una lunghissima carriera tra la Colombia, il Messico ed il Venezuela, andando incontro a sospensioni per doping dovute all’uso di cocaina e varie altre vicissitudini, fino al ritiro, avvenuto nel 2008 a 43 anni. Oggi vive sempre nella sua Medellín, dove ricopre il ruolo di allenatore dei portieri in quell’Atletico Nacional che l’ha visto protagonista ai tempi di Escobar.