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Omar Enrique Sivori nasce a San Nicolas, in Argentina, il 2 ottobre del 1935. Debutta nel campionato argentino a 19 anni con la maglia del River Plate. È con i Millionarios che il Messi dei vostri nonni si mette in luce, soprattutto durante un River Plate 4-0 Rosario Central, in cui segna una rete, gioca una partita straordinaria e permette ai biancorossi di Buenos Aires di conquistare il Campionato Argentino – il secondo consecutivo, dopo quello del 1955. Saranno anche gli unici due “scudetti” argentini della sua carriera.

Insieme a Maschio e Angelillo, Sivori forma uno dei tridenti più forti della storia del calcio, denominato “gli Angeli dalla faccia sporca”. Vi basta una rapida ricerca fotografica sul web per rendervi conto della bontà di questa denominazione. Ai successi per club, poi, Sivori aggiunge i titoli nazionali. Vince infatti, da protagonista, il torneo sudamericano per Nazioni (l’odierna Copa America) nel 1957. I tempi sono già maturi per la chiamata europea. Qualcuno, con malcelato spirito di parrocchia, affermerà che «Sivori è stato troppo poco, in Argentina, per diventarne un mito».

La chiamata della Juventus

Sivori vola, dunque, fuori dal Sudamerica. È la Juventus ad assicurarsi le prestazioni di Omar. L’incasso (160 milioni di lire) permette al River Plate di ristrutturare lo Stadio Monumental – giusto per darvi l’idea di quanti soldi ballino sul piatto.

Il 12 giungo 1957 Sivori atterra a Malpensa, dunque. Per conquistare il pubblico bianconero, gli basta girare quattro volte intorno al campo palleggiando senza mai far cadere a terra il pallone. All’amore del pubblico corrisponde il suo : Sivori, narra Marcello Lippi, compra una Villa in Argentina chiamandola “la Vecchia Signora” – all’ingresso della stessa, lo stemma della Juventus dà il benvenuto agli ospiti.

La (sua) Juventus, dopo sei anni di astinenza tricolore, torna dunque al titolo. Gran parte del merito va alla fase offensiva di cui Sivori è elemento cruciale – la Juventus segna 77 gol, più di due a partita; 50 sono realizzati dal tandem d’attacco, ben coperto e rifornito alle spalle da un certo Gianpiero Boniperti. Sivori fa 22 gol, John Charles ne realizza 28.

Insieme a Charles, Sivori trova un compagno di reparto ideale. Ma tra i due c’è una tensione perenne, davvero mitologica. Durante uno Juventus-Inter, Sivori schiaffeggia Charles – ex pugile. Non è la prima volta che accade un episodio del genere; non sarà nemmeno l’ultima.

Nel secondo anno alla Juventus, Sivori segna 15 reti, ma la Vecchia Signora non macina risultati come l’anno appena trascorso. Nel maggio di quell’anno, una partita spicca però sulle altre. Al Comunale di Torino arriva la Fiorentina, che ha in quel momento sei punti di vantaggio dai bianconeri. L’occasione è ghiotta, per Sivori e compagni.

Al 28’, viene assegnato un rigore alla Viola. Si incarica della battuta Lo Iacono, che di rabbia e precisione realizza il gol dell’1-0. Trascorrono 10’ e Sivori pareggia, a porta vuota. Un gioco da ragazzi, insomma. Nella ripresa, Sivori raddoppia sfruttando un’incertezza (grave) dell’estremo difensore avversario.

Siamo a 20’ dalla fine. Ma la Fiorentina non molla. A un quarto d’ora dal termine, Gratton agguanta il pareggio. 2-2. Mancano quattro minuti al termine di quella – straordinaria – partita. Serve un’invenzione. Sivori riceve il pallone dalla lunetta dell’area di rigore, salta un avversario, ne supera un altro, si ferma, rientra sul mancino, calcia, respinta, da terra! riprende il pallone e lo schiaffeggia in rete. È 3-2. La Juventus ci crederà fino a fine campionato, ma a spuntarla non sarà né la Vecchia Signora né la Viola, bensì il Milan.

Sivori e quel 9-1 all’Inter

Il 1959/60 torna ad essere dominato dalla Juventus. 92 reti in 34 incontri – Omar ne segna 27. Fondamentali le sue reti a San Siro contro l’Inter – vittoria per 3-0 della Juventus – e a Torino contro il Milan – 3-1 per i bianconeri. Nei primi quattro anni con la Juve, Sivori vince tre Scudetti e due Coppe Italia. Sivori segna 90 gol in 4 campionati. Sono numeri che, letti oggi, con le medie a cui siamo abituati, quasi non ci fanno impressione.

Ma è il modo in cui Sivori segna a suggellare la straordinaria efficacia del suo gioco. Sivori, insomma, non gioca semplicemente per vincere, ma vince per gioco. Il suo mancino è magico. Di una qualità unica. A stupire, in lui, è il contrasto tra il fisico minuto (163 cm) e la prestanza muscolare (70 kg ben bilanciati tra busto e gambe). Sivori è, in un certo senso, un esemplare di Messi ante-litteram. Chiamarlo il Messi dei vostri nonni non è allora così azzardato.

Un episodio. Si gioca Juventus-Inter. L’Inter schiera solo ragazzi dalla primavera – per proteste contro la FIGC, in un campionato (come al solito) pieno zeppo di polemiche e già chiuso, con la Juventus matematicamente campione d’Italia. Chi marca Sivori, quel giorno? Morosi; 17 anni. Racconta Sandro Mazzola – giovanissimo prospetto andato in rete dal dischetto durante quella partita – che per tutta la settimana Morosi non fu in grado di dormire:

«Ovvia, ‘un se po’ dormire… devo marcare Sivori, al mi’ paese chissà che dihono».

Dopo i primi 20’, il risultato è sorprendente: l’Inter non prende gol e Morosi, passando accanto a Mazzola, può dichiarare con fierezza: «Sandro… lo sto fermando!». Ad un certo punto, però, Sivori inizia a giocare. È la fine, per Morosi e compagni. Sivori segna sei gol. La partita finisce 9-1.

Il pallone d’Oro, gli Azzurri e i gol al Real Madrid

Nel 1961 Sivori vince il Pallone d’Oro. Come è possibile, direte? Infatti, all’epoca, il Pallone d’Oro è riservato ai soli giocatori europei. Ma Sivori aveva ottenuto il doppio passaporto grazie alle lontane non troppo lontane origini liguri. Omar gioca allora per la Nazionale, andando in rete nelle prime tre uscite. Segna anche all’Argentina, che prima di vedere un altro Sivori dovrà aspettare qualche anno.

Il 4 novembre del ’61 si gioca, a Torino, Italia v Israele. Si gioca per andare al Mondiale di calcio. Partita fondamentale, sorta di Italia v Svezia ante-litteram. Il san nicolino, quel giorno, è scatenato. Dopo aver messo Corso a tu-per-tu col portiere avversario, sfiora la rete prima di siglare il gol del vantaggio con il suo marchio di fabbrica: tutto mancino, tra dribbling, contrasto vinto e sinistro preciso sotto le gambe del portiere. Siamo al 16’.

Nella ripresa, il copione non cambia. Sfruttando la giocata quasi definitiva dell’altro oriundo Altafini, ribadisce in rete – di testa – il gol del 2-0. Al 14’, grandissima azione dell’Italia: Corso stavolta non sbaglia, 3-0. Non è finita. Altafini-Sivori confezionano anche il 4-0, il Messi dei vostri nonni sembra semplicemente il Messi dei giorni nostri. Angelillo, l’ex compagno di reparto di Sivori, altro oriundo, buca nuovamente la porta avversaria. L’Italia, nel segno del Sudamerica, fa 5-0. Israele al tappeto. C’è tempo anche per il 6-0. È il quarto gol di Sivori, su altro grande assist di José Altafini, co-protagonista di quella vittoria.

Ma Omar si fa rispettare – e conoscere – anche sul manto prestigiosissimo della Coppa dei Campioni. È il 28 febbraio del 1962 e Sivori espugna il Santiago Bernabeu, fino ad allora mai “violato” durante la massima competizione europea. Nello spareggio giocato a Parigi, sempre coi galacticos, Sivori segnerà ancora, ma non basterà; la Juventus perde 3-1 e il Real passa il turno.

I restanti campionati, per Sivori, non vedono vittorie nazionali (né internazionali) con la Juventus. Lui continuerà a segnare, con una continuità e una classe rari per l’epoca. «La palla la accarezzava. Aveva una tecnica incredibile e un’inventiva rara», parola di Mazzola. Omar si diverte a vincere; meglio, vince per gioco.

Le 33 giornate di squalifica e il passaggio al Napoli

Ma quando il gioco si fa duro, Omar impazzisce. Letteralmente. 33 sono le giornate di squalifica collezionate nel corso della sua lunga e affascinante carriera. Numeri da capogiro, in negativo. Ma Boniperti lo difende: «Era un duro, era deciso, ma non era cattivo». Lui stesso affermerà, con parole d’innocenza proprie del genio: «Il giocatore di talento aspetta la palla per inventare. Il difensore aspetta di picchiarti».

Dopo otto anni in bianconero, Sivori fa le valigie. Il motivo? L’allenatore, Heriberto Herrera. Pretende che tutti, nessuno escluso, corrano e giochino per il collettivo. Parole di eresia per Sivori, che già corre poco in partita, figuriamoci negli allenamenti. Con il numero 11 sulle spalle, Sivori porta alla ribalta del calcio italiano il Napoli, poco abituato alle zone alte della classifica. Lo farà nel bene e nel male. Nel bene, a suon di giocate. Nel male quando, ad esempio, si fa espellere in un Napoli v Juventus datato 1 dicembre 1968.

Si chiude così la parabola di Sivori. Omar se ne torna in Argentina, nel Paese dove è nato e cresciuto. Saluta l’Italia, il Paese che gli ha dato tanto, forse tutto. E che lui, come è noto, non ha mai dimenticato. Chiedetelo ai vostri nonni.