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Il Napoli ha perso definitivamente lo scudetto. La Juventus è definitivamente entrata nella lotta al titolo. C’è chi vince e chi perde, come accade nello sport. Ma il risultato finale di Juve-Napoli, della notte dello Stadium, è ben più pesante di quanto sembri. Sebbene gli allenatori si siano repentinamente indaffarati nel ripetere il solito mantra – “siamo a metà stagione, c’è ancora tanto tempo” – il ko degli azzurri scuce definitivamente il tricolore dal petto dei campioni d’Italia. Ed è stata una debacle sensazionale, come poche volte accaduto in Serie A.

La prestazione di Kvaratskhelia è stata l’immagine del fiasco, l’impassibilità di Osimhen, che pure ha avuto un sussulto d’orgoglio nel mostrare con le mani il 5-1 dell’anno scorso, è l’emblema di come il Napoli sia sostanzialmente spento. Inerme. Un uomo che passeggia con le mani in tasca e la testa bassa, ricordando quanto si divertiva soltanto qualche settimana fa. Quando De Laurentiis era a capo di una macchina perfettamente oliata, e non il capo ingegnere di una scuderia da riorganizzare.

Il Napoli ha perso lo scudetto

Il processo al Napoli diventa inevitabilmente il processo al presidente. Quando ha scelto Garcia, quando poi ha sostituito a cuor leggero Cristiano Giuntoli, ADL ha preso tutte le luci del Maradona e se l’è piantate addosso, convinto di riflettere a sua volta l’immagine di impenetrabilità che l’ha sempre contraddistinto. E invece, il Napoli di crepe ne aveva. Ne ha sempre avute. Spalletti aveva lavorato seguendo una tecnica simil Kintsugi: è quell’arte di “riparare con l’oro”, che è la traduzione del termine, che consiste nell’aggiustare gli oggetti in ceramica, utilizzando l’oro per saldare insieme i frammenti. Metafora della vita. E delle squadre di calcio, perché il Napoli aveva sempre avuto grande talento, grandi giocatori, super allenatori. Poi? Le crepe si mostravano tutte quando la temperatura s’alzava. Effetto chimico. E difetto, soprattutto, di personalità.

Dopo i mille passi in avanti fatti nell’anno dello scudetto, in cui tutto (ma proprio tutto) è andato nel verso perfetto, gli azzurri si ritrovano a dover rincorrere e non solo un posto Champions, bensì l’immagine di se stessi. Il rischio è dietro l’angolo e lo dimostra lo storico del club, oltre allo stesso gesto di Osimhen: vincere dove non lo si faceva da 33 anni, dov’era riuscito a farlo soltanto Diego Maradona, non è stato il salto in avanti, ma quello definitivo. E per quanto possa far male tornare a casa con le ossa rotte nelle ultime tre partite, il ricordo di ciò che è stato continua a illuminare il presente. Detto molto meno filosoficamente: c’è un caso specifico di pancia piena. Acuito dalle difficoltà di inizio stagione.

De Laurentiis ha sottovalutato allora l’apporto di Spalletti? Certo. De Laurentiis ha sbagliato a cambiare prendendo un allenatore che aveva più margine di rischio che di successo? Naturalmente. Ma no, non ha sbagliato Mazzarri. Che pure con la Juve, così come l’Inter, ha dimostrato di aver preso questa squadra nel cuore. “Ci gira tutto male”, ha raccontato in conferenza stampa. E aveva ragione da vendere. E può solo andare meglio, senza più l’assillo dello scudetto.

La Juventus può vincere lo scudetto

Assillo scudetto che certamente ha la Juventus. Qui e ora. Se c’è una partita che ha candidato fortissimamente i bianconeri è proprio questa: la vittoria con il Napoli ha regalato un attimo di felicità condivisa e una condivisione di certezze, come dimostrato anche dall’abbraccio di Allegri negli spogliatoio alla fine della partita. Resta una parola tabù, quella che si riferisce al titolo. Ma un conto è ciò che dice alla stampa, un altro ciò che esprime al gruppo. E questo gruppo ci crede, è compatto e coeso, sa di non essere tecnico né formidabile, però è forte e sta guadagnando quella cattiveria giusta. Quella delle squadre fastidiose.

Così, Genova diventa un appuntamento già imperdibile e non una semplice tappa. E l’obiettivo di Allegri cambia ancora: prima sarebbe stato felice di superare la Juve 2022-2023, oggi invece valuta la possibilità di restare aggrappato ai nerazzurri al giro di boa della stagione. Si gode Gatti, tantissimo. Si gode Cambiaso, altrettanto. Si gode una squadra che non prende più gol ma non esattamente il Dusan Vlahovic che tutti immaginavano.

C’è un tema Dusan e va affrontato presto: mancano i gol degli attaccanti, inevitabilmente da recuperare. E manca l’ultimo step per diventare fortissimi e temibilissimi: un po’ di fantasia a centrocampo. Potrà arrivare dal mercato.