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Il numero 9 è un argomento scottante in casa Milan. Quella maglia è stata indossata dai più grandi campioni rossoneri e dopo l’addio di Inzaghi si è resa protagonista degli anni più bui della compagine meneghina. La cabala non dovrebbe far parte del calcio ma forse in questo caso è opportuno fare un’eccezione. Specie dopo quanto mostrato da Olivier Giroud al Ferraris.

Il 13 maggio 2012 Pippo Inzaghi ha siglato la sua ultima rete in rossonero e della carriera. Proprio con la maglia numero 9 nell’anno del suo trentanovesimo compleanno. Da lì la maledizione. Un susseguirsi di nomi, promesse e rimpianti. Da Pato a Destro, da Fernando Torres a Higuain. Nessuno di essi fu in grado di riportare al vertice quella casacca, anzi, si inabissava sempre più ed allo stesso modo le sorti del Milan.

I tifosi sono ormai delusi e disincantati. Chi dovesse decidere di vestire quel numero sa che avrà sulle spalle un macigno. Tant’è che nel corso della stagione 2020/2021 nessuno, nemmeno uno totalmente devoto a sé stesso e sicuro delle proprie capacità come Zlatan Ibrahimovic.

A luglio 2021 la svolta. Nel corso di quell’estate Olivier Giroud approda al Milan e sceglie la maglia numero 9. Nessuna aspettativa, zero auspici. Troppi dieci anni senza qualcuno meritevole di quella casacca, perché quando la scelta ricade lì, dall’uomo e dal giocatore ci si aspettano solo gol e attaccamento.

Ritorno della 9, vittoria del 19° scudetto

La maledizione viene definitivamente spezzata in occasione del derby di ritorno. Doppietta in rimonta contro l’Inter ed anche i più scaramantici si sono dovuti ricredere. Anzi, i paragoni sono stati dei più illustri dato che l’ultimo a segnarne due contro i nerazzurri fu Comandini nel 2001. Al netto di qualche infortunio di troppo, è stato uno dei protagonisti assoluti della vittoria del 19° scudetto della storia rossonera con 11 gol e 4 assist. In quel particolare momento storico, Giroud ha dimostrato che indossare la maglia numero 9 non significa solo segnare ma è uno stato d’animo, un’attitudine mentale che deve portare ad un obiettivo ben preciso.

Nel calcio moderno, con i suoi tatticismi, schemi ed ampollosità, a farla da padrona è ancora una mentalità vincente che il numero 9 deve obbligatoriamente avere, in particolare contando che quella maglia è stata indossata da campioni del calibro di van Basten e Weah. In tal proposito sono illuminanti le dichiarazioni di Filippo Inzaghi: “Mettere la maglia numero 9 è dura per tutti ma la maledizione non esiste”. Ecco, forse è proprio questo il senso. Quella casacca porta con sé molteplici responsabilità ed una non irrisoria aspettativa da parte dei tifosi di onorarla con i gol.

Tuttavia, è e resterà sempre l’atteggiamento fare la vera differenza. Giroud è approdato al Milan che sembrava avvicinarsi al termine di una carriera gloriosa. Ma quelli come lui non si accontentano. La fame di successo e gloria i attanagliano, ne fanno il loro unico obiettivo. Ed il francese così ha fatto, insieme all’altra testa della squadra, Ibrahimovic. Una vittoria dopo l’altra, i rossoneri hanno cambiato la loro prospettiva. Il talento se c’è non lo si può negare ma non dev’essere mai sottovalutato il potere della mente.

L’ultima prova del 9

Orfano di Ibrahimovic, ora il vero leader del Milan è Giroud, ancora con la numero 9 ben ancorata sulle spalle. Nonostante le sue 37 primavere, il francese è il fulcro dell’attacco rossonero. Combatte, sprona i compagni ed ha ancora fame di successi. Questo atteggiamento propositivo è venuto meno solo in occasione del più recente derby della Madonnina. La stessa partita che lo aveva consacrato come colui che aveva spezzato la maledizione, lo condanna ad una lapidaria sconfitta con nessun alibi a disposizione. Senza la sua guida e la sua mentalità vincente, pare quasi manchi un giocatore in campo. Difatti il risultato ha parlato chiaro: 5-1 finale e Milano di colora nuovamente di nerazzurro.

La delusione e a rabbia ci sono e così dev’essere ma il numero 9 non si fa abbattere. Ritorna in campo più riottoso che mai, pronto a dare battaglia ad ogni avversario. La sua presenza si rivela prolifica non tanto, o non solo per i gol, ma per la mentalità. A quasi 40 anni combatte ancora su ogni pallone, si carica sulle spalle la squadra e scende in campo con la grinta che contraddistingue i grandi campioni.

Queste caratteristiche sembrano scontante dato che si parla di un professionista ma non è sempre così. Il match a Marassi ne è la prova. Il Genoa è una squadra chiusa, Gilardino conosce bene il gioco di Pioli, che lo ha allenato al Bologna, e mette in campo le sue carte migliori per trionfare durante il match casalingo. Il Grifone tiene a bada il Diavolo, rendendolo per lunghi tratti goffo e macchinoso.

Inizialmente in panchina, ad inizio secondo tempo il numero 9 fa il suo ingresso in campo e qualcosa cambia. Non necessariamente come potenziale, ma l’approccio si trasforma da passivo a propositivo. Gol di Pulisic. Forse tocco di mano, VAR che non riesce a decretare la regolarità o meno dello stesso per cui il tutto è in mano alla capacità di scelta dell’arbitro. Vantaggio rossonero. Il Genoa non demorde, attacca con tutte le sue forze, non accetta di perdere così per un gol fortuito al 87′. Il francese fomenta, la possibilità di presentarsi alla nona giornata di campionato contro la Juventus, che ha vinto 9 scudetti consecutivi, da capolista è impagabile.

Ed ecco che succede l’impensabile. Espulsione di Maignan. Calcio di punizione dal limite per il Genoa, il Milan ha esaurito tutti i cambi – eventualità più unica che rara – quindi resta da decidere chi tra i 10 in campo dovrà indossare i guantoni e mettersi tra i pali. A farlo è proprio il numero 9. Giroud prende posto in porta, Gudmundsson calcia basso, deviazione, trasversa. La vittoria è salva e il francese suona la carica ai compagni.

Il Genoa continua ad attaccare, sa che è una questione di attimi, di episodi. Anche qui accade l’inimmaginabile. I rossoblù attaccano, Giroud con la maglia di Maignan è chiamato a difendere il risultato. Rosso anche per Martinez, portiere della squadra avversaria. Il Grifone è di nuovo inferocito, almeno un punto davanti ai propri tifosi lo vuole ottenere. Puscas ha l’occasione per pareggiarla ma qui arriva l’uscita scomposta, irrazionale ed istintiva del numero 9. Prima intercetta il pallone, poi lo blocca sotto di sé.

Questa è la rivalsa del numero 9. La ritrovata capacità di farsi carico delle sorti di una squadra, portarla a voler trionfare allo stremo delle forze fisiche e mentali, cambiarne punto di vista. La domenica il Milan si è così ritrovato momentaneamente in vetta. Per la precisione dal 9 ottobre, data in cui Stefano Pioli quattro anni prima si è seduto per la prima volta sulla panchina rossonera.

La numerologia è un concetto astratto. Certo, ma il numero 9 qualche affinità con la storia più che centenaria del Milan la deve pur avere.