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Raccontare alle giovani generazioni cosa ha rappresentato Sir Alex Ferguson per il Manchester United e per il calcio in generale risulta alquanto complesso. Ora, i Red Devils paiono come un club che punta più sui nomi altisonanti che sulle qualità intrinseche dei giocatori, con conseguenti faraoniche ma fallimentari campagne acquisti. L’assenza dello scozzese ha creato una voragine apparentemente incolmabile che li relega ai margini la squadra e della Premier League e nelle periferie più remote dell’Europa che conta. Verosimilmente il tecnico è riuscito negli anni a sopperire ad alcune consistenti mancanze della dirigenza.

Chi è Sir Alex Ferguson

Sir Alex Ferguson è nato a Glasgow il 31 dicembre 1941 da una famiglia di operai. Da giovane è sempre stato un ribelle che non disdegnava alcuni piaceri della vita quali l’alcol. Quando era ragazzo, una sera alzò troppo il gomito e questo lo portò ad essere arrestato, incarcerato, processato e dovette anche pagare una multa piuttosto salato per i danni arrecati. Come lui stesso ha più volte ribadito, questo episodio ha cambiato il suo modo di vedere il mondo. È una lezione che non ha mai dimenticato.

Le sue origini spiegano in larga parte anche il suo impegno politico. Da sempre sostenitore del partito laburista ha spesso ribadito di non aver mai dimenticato da dove proviene. E soprattutto quali danni hanno arrecato i Tories a famiglie modeste come la sua. Da qui è possibile evincere la sua richiesta di impegno ed abnegazione dai suoi giocatori. Uomini privilegiati che hanno la fortuna di possedere un talento innato e guadagnare cifre cospicue grazie al calcio.

Dava tutto ma chiedeva molto. I suoi meriti sportivi sono molteplici e gli stessi gli sono valsi il titolo di Sir. Incoronato cavaliere dalla regina nel corso di una cerimonia solenne a Buckingham Palace. Tuttavia, se non è in dubbio l’immane contributo che ha dato all’English Football, di certo lo sono i metodi con cui tentava i spronare i suoi. All’Aberdeen era soprannominato “Furious Fergie”. Si narra che avesse modalità poco consone per incitare i suoi uomini a dare tutto sul campo, quali il lancio di asciugacapelli e scarpini nonché di scaraventare bollitori del té contro le pareti dello spogliatoio

Una volta giunto a Manchester, questo incitamento poco consono non è cambiato. A poco importava allo scozzese che fosse in una delle più prestigiose compagini inglesi. Ad essere fondamentale era la prestazione e il risutato. Lo stesso ex tecnico dei Red Devils ha raccontato nella sua biografia un aneddoto che ha visto protagonista lui ed uno dei simboli del Manchester United, David Beckham. Il 15 febbraio 2003, al termine del quarto turno di FA Cup giocato contro l’Arsenal, terminato 0-2 in favore dei Gunners, Ferguson era furioso, rimproverò il giocatore che rispose in modo sprezzante alle sue critiche. Ciò non fece altro che aumentare la rabbia dell’allenatore che in preda alla foga, diede un calcio ad uno scarpino che centrò in pieno volto l’allora numero 7. Di lì ha poco lo Spice Boy cambiò maglia e paese, diventando uno dei Galacticos del Real Madrid.

La sua vita e la sua attitudine rendono ben chiaro quale fosse il suo impatto sulla squadra. Un leader, un manager, un allenatore. Tutto ciò che sta mancando dal 2013, anno in cui Sir Alex Ferguson decise di dire addio al calcio. La sua assenza ha messo in luce la noncuranza della proprietà targata Glazer. Stabilmente stanziati negli USA, il loro unico ruolo sembra quello di dare soldi a dirigenti dalle competenze dubbie per acquistare giocatori più interessati all’ingaggio che alle vittorie.

Il post Ferguson

Come già sottolineato, l’addio di Ferguson ha lasciato immense voragini su molteplici fronti. Il suo successore fu David Moyes. Scozzese come il Sir, firmò un contratto di sei anni. In realtà la sua esperienza sulla panchina dei Red Devils fu alquanto celere. Conquistò un Community Shield e piazzandosi al sesto posto in Premier League. Dopo meno di un anno, l’attuale tecnico del West Ham lasciò la panchina dello United.

Se paragonate al connazionale le statistiche sono alquanto impietose. 27 vittorie, 9 pareggi e 15 sconfitte in 51 partite. Definibile poco meno di un fallimento. Gli elementi per poter fare erano tutti presenti, ad essere assente è stata probabilmente la grinta e la fame di trionfi che Ferguson ha sempre avuto. Se si da un’occhio alle percentuali si vede che la percentuale di successi di Moyes ammonta al 52.94%.

Chi è arrivato dopo Moyes ha fatto persino di peggio. L’esperienza di Louis van Gaal è stata leggermente più lunga, da luglio 2014 a maggio 2016. Un solo trofeo per l’olandese in 103 partite. La vocazione europea del tecnico non è bastata per scuotere una squadra scialba e addormentata. Durante la sua permanenza sulla panchina del Manchester United, i Red Devils non sono mai andati oltre il quarto posto e sono stati puntualmente superati in classifica dai cugini del City. Percentuale di vittorie: 52.33%. Dato persino peggiore di quello ottenuto da Moyes.

Il terzo a vestire il simbolo del Manchester United è stato José Mourinho. Considerando i freddi numeri, il portoghese è stato colui che ha sin qui fatto meglio. La sua esperienza è stata caratterizzati da un continuo saliscendi che ha però riportato i Red Devils a vincere il Community Shield, la Coppa di Lega e la prima Europa League della loro storia. Quindi, l’accesso garantito alla Champions League dell’anno successivo. Nonostante ciò, lo Special One resta uno degli allenatori maggiormente contestati.

Al suo esonero, è subentrato Ole Gunnar Solskjaer. 138 le partite a sua disposizione per riportare il Manchester United nel calcio che conta. Nessun titolo aggiunto nel palmares e nella stagione 2018/2019 un sesto posto in classifica utile per giocarsi l’Europa League l’anno successivo. Per il resto, nulla che valga la pena ricordare.

Successivamente è il turno di Ralf Rangnick. Peggio di lui sin qui nessuno. 24 partite sono probabilmente poche per dare un giudizio corretto. Inoltre, l’ambiente ostile non ha di certo agevolato un suo inserimento. Tuttavia, un suo cambio di ruolo, dalla panchina agli uffici dirigenziali era già stato deciso ancora prima di questa sua breve parentesi da allenatore.

Ora, sulla panchina del Manchester United si trova Erik ten Hag. La situazione complessiva non è migliorata. I cugini del City sono nettamente più forti e di stampo internazionale. Prima le divergenze con Cristiano Ronaldo, adesso le difficoltà a gestire un gruppo oberato da questioni extra campo che ne condizionano inevitabilmente le scelte. Non solo, le scelte di mercato si stanno rivelando il più delle volte scellerate e senza una ratio ben precisa.

Il declino dello United è ben descritto da un singolo ma fondamentale dato: sono 34 le sconfitte subite ad Old Trafford negli utlimi 10 anni, sono le stesse conseguite da Ferguson nelle sue 27 stagioni. Lo scozzese aveva reso le mura amiche un fortino dalle quali era complicatissimo uscire vittoriosi. Ora, è solo sede di ricordi e contestazioni.

Questa stagione sembra già in parte compromessa e l’ultima sconfitta europea contro il Copenaghen ne è l’emblema. La squadra non ci crede, la mancanza di coesione e gioco collettivo è lampante. Ten Hag non pare in grado di indirizzare i suoi e per il momento il destino dei Red Devils è l’oblio.