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Per giocare un certo tipo di calcio, serve predisporsi con un certo spirito al sacrificio, al sudore e alla corsa. Non è per tutti. Fino a poche giornate fa non lo è stato neanche per la Lazio che tanto bene, in quel senso, ci aveva abituato lo scorso anno. Ecco perché Sarri ha spesso parlato di ‘cilindrata mentale’: la capacità, quindi, di saper staccare (nel recupero psicofisico) e riattaccare la spina (per fiondarsi in un nuovo ravvicinato impegno) a distanza di poco tempo. Contro l’Atalanta, la Lazio ha dimostrato di aver recepito il messaggio del proprio allenatore.

Una partenza fulminante

I primi 20, anche 25 minuti di Lazio vs Atalanta sono stati a senso unico. Entrambe le squadre, ricordiamolo, erano reduci da un difficile impegno europeo. I biancocelesti dalla trasferta del Celtic Park di Glasgow (vinta 2-1 all’ultimo minuto), i nerazzurri da quella di Lisbona contro lo Sporting (vinta con lo stesso risultato: 2-1). Il rischio di una ricaduta, da una parte e dall’altra, era piuttosto pronosticabile. Quello di una partita bloccata, pure. Ma la Lazio ha aggredito il match con un furore e una qualità che hanno ricordato la migliore versione dell’Atalanta di Gasperini: corta, fortissima nei duelli uno contro uno, dinamica e pronta a ribaltare il fronte in pochi passaggi.

Il Taty, nuovo protagonista biancoceleste

Così è nato ad esempio il gol del 2-0 (dopo appena 11’) siglato da Valentin Castellanos – senza dubbio l’MVP della sfida. Il tap-in dell’argentino – tutt’altro che scontato e scaturito da una leggera spintarella dell’ex Girona ai danni di Djimsiti poco per liberarsi con astuzia del proprio marcatore e infilare Musso a porta sguarnita – è nato da una manovra avvolgente della Lazio, iniziata – come sottolineato da Sarri – dalla fase difensiva e conclusa dall’altra parte del campo, in soli 4 tocchi. Provedel all’impostazione, Luis Alberto col velo per Zaccagni, quest’ultimo con l’apertura panoramica per Felipe Anderson e infine il brasiliano con una sgroppata degna di nota sull’esterno e un pallone messo in mezzo senza controllarlo, meravigliosamente arcuato, per l’accorrente Castellanos. Davvero un gol spettacolare, sintesi di un primo quarto di gara dei biancocelesti da livello europeo. Hai voglia a dire che le trasferte internazionali affaticano: portano anche fiducia, autostima, serenità, se giocate bene.

Prima del gol del Taty, la Lazio l’aveva sbloccata con un’autorete di De Ketelaere su corner di Luis Alberto, da una cui punizione era nata poi l’occasionissima per Casale al 14’ per fare 3-0 – Musso attento. Stesso punteggio sfiorato da Guendouzi col destro, al limite dell’area, al 18’ – traversa (per l’ex Marsiglia 96.3% di precisione nei passaggi, nessuno come lui nei 22). Una Lazio ammaliante, cattiva – un aggettivo che può descrivere la prova di Rovella, autore di 5 recuperi di palla, nessuno come lui nei 22 in campo – e squadra, ma anche meravigliosa a livello estetico e concreta, che però era andata forse anche troppo forte per 25’. Gli oltre 30 gradi di Roma hanno fatto il loro gioco, e l’Atalanta il suo. La Dea è entrata in partita quando la Lazio ha abbassato i ritmi e la difesa, subendo due occasioni in fotocopia nate dal piede mancino di Ruggeri: prima Pasalic ha mancato il 2-1, poi Ederson l’ha messa dentro (33’). Da lì al gol di Kolasinac (63’) la Dea crea poco e nulla, solo un’occasionissima con De Ketelaere a inizio ripresa – gran parata di Provedel, meno attento invece sul colpo di testa dell’ex Arsenal per il provvisorio 2-2.

La spinta dei subentrati

Cosa ha fatto la differenza, allora? Vecino, Isaksen, Pedro. E quindi, i subentrati dalla panchina. È un tema che qui occorre sottolineare perché la Lazio storicamente è forte negli 11, 12 giocatori, ma non se deve attingere dai panchinari. Non chiamateli così, ma co-titolari. Sì perché se col Celtic il gol del 2-1 ha coinvolto tutti i subentrati, qualcosa di simile è accaduto per il 3-2 di Vecino – l’uomo dei gol pesanti: ed è il terzo nelle ultime quattro partite. Isaksen – entrato benissimo al posto di Anderson – ha vivacizzato l’azione, Castellanos – fenomenale – ha spondato di testa per Vecino, e quest’ultimo (subentrato a Luis Alberto nel silenzio stupito dell’Olimpico al 65’) ha tirato fuori una coordinazione meravigliosa per il portare avanti la Lazio, col definitivo punteggio di 3-2.

In questo gol c’è la vecchia Lazio di Sarri, ma c’è anche qualcosa di nuovo. Innanzitutto il minutaggio del gol: l’83’. Pensate che prima di questa rete, la Lazio sotto il tecnico toscano aveva segnato due soli gol negli ultimi 7’ (escluso recupero) nelle due passate stagioni, entrambe con Milinkovic contro Lecce e Cremonese. Solo in due casi la Lazio di Sarri aveva vinto il match con un gol segnato negli ultimi 10’: con Luis Alberto contro la Samp lo scorso anno e proprio con Sergej contro la Cremonese alla penultima giornata. Qualcosa vorrà pur dire. La Lazio lo scorso anno partiva benissimo, segnava quasi sempre lei per prima (31 volte su 38 in campionato) e subiva pochissimo: i due gol contro l’Atalanta nei primi 11’ sono 2/3 dei gol segnati dalla Lazio nei primi 15’ in campionato. Quest’anno sta mutando la propria pelle. Subisce di più, cosa su cui Sarri dovrà lavorare, ma ha più soluzioni offensive.

Segnali di reazione

C’è un altro aspetto importante da sottolineare. Questa squadra sta iniziando a reagire ai gol subiti. Pensate che lo scorso anno aveva rimontato (vincendo) una sola volta da situazione di svantaggio (contro il Bologna alla prima giornata). Quest’anno lo ha fatto contro il Celtic – vincendo in trasferta in Europa in Champions dopo 20 anni, e vincendo solo la seconda partita in Europa in generale negli ultimi 20 anni – e pure con l’Atalanta, dopo aver subito il 2-2. Sono segnali che vanno bel al di là delle statistiche, dove invece il match è parso in equilibrio: la Dea ha vinto più duelli (53,5% vs i 46,5% della Lazio), ha passato di più il pallone (531 vs 459) e ha tenuto di più il pallone (53%), ma è stata anche meno precisa dei biancocelesti. Dal centrocampo (Ederson e De Roon) in su, la precisione sui passaggi è indicativa nei bergamaschi: Scamacca ha una percentuale molto bassa, del 44%, Pasalic del 57.1 e De Ketelaere del 68.2. Il giocatore più coinvolto è stato Ederson (53 volte, come Kolasinac), ma il brasiliano è calato alla distanza.

A differenza dei cambi di Sarri, quelli di Gasperini non hanno cambiato la partita. Così Sarri ora può dire a gran voce: «Il gruppo? Dal punto di vista dei valori umani è di grandissimo livello, dal punto di vista delle reazioni mentali possiamo sicuramente migliorare». Facendo una battuta, si direbbe quasi che ‘x’ e ‘y’ poi tanto male non siano. E se quella del mister toscano non fosse una strategia comunicativa? In attesa di riprendere il tour de force, lui Sarri amante del ciclismo, la via ora appare più in discesa.