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7 aprile 2012. Allo Stadio Olimpico di Roma si gioca Lazio vs Napoli, una sorta di spareggio per il terzo posto. Il clima è elettrico, ma non per la sfida in sé – pure carica di tensioni sue. È da poco scomparso (il primo aprile) uno dei simboli della Lazialità: Giorgio Chinaglia, il bomber che ha guidato la Lazio di Maestrelli al suo primo storico scudetto nel ’74. Poco prima che inizi la sfida (3-1 per la Lazio, con decisiva rovesciata di Stefano Mauri sotto la Curva Sud, la stessa a cui è legato “il dito” di Giorgione ai tifosi romanisti), la Curva Nord biancoceleste scrive in uno striscione: « quel dito verso la Sud rimarrà per l’eternità. Nonostante tutto… Giorgio Chinaglia è il grido di battaglia! ». Cosa significa “nonostante tutto”?

Il ritorno di Chinaglia come presidente della Lazio

Per capirlo bisogna tornare indietro nel tempo, precisamente al 13 luglio 1983. Quel giorno, Giorgio Chinaglia torna alla Lazio ma nelle vesti del presidente. Quel giorno, l’assemblea dei soci presieduta da Mario Apuzzo elegge Long John 27° presidente della storia della Lazio. Chinaglia subentra a Gian Casoni, in carica dal 23 luglio 1981. Ricapitolando: l’eroe di mille battaglie, l’emblema della Lazio in Italia e nel mondo – sì, perché Chinaglia giocava ai Cosmos con Pelé e Beckenbauer – torna nella Città Eterna per rendergli onore. E infatti, le sue parole sono potenti come il fulmine che squarcia un cielo freddo e gelido, in una notte di mezza estate: « Insieme con me sono alla testa della Lazio tutti i tifosi, anche l’ultimo della curva. Vedo un futuro roseo, altrimenti non avrei iniziato questo lavoro di ricostruzione. Sarà una squadra competitiva […]: dopo la Samp, è stata la Lazio la vera regina del mercato ».

Chinaglia quindi tuona, sì, si dice fiero di essere dalla parte della sua gente, ci tiene a far sapere di essere laziale; ma è anche eccessivamente ottimistico sul fronte mercato, paragonando la forza economica del club alla Sampdoria – che in quegli anni stava costruendo una squadra a dir poco credibile, culminata anni dopo nella coppia Mancini-Vialli. Chinaglia, nella prima conferenza stampa da presidente della Lazio, non parla mai di risultati. Promette obiettivi grandi, inversamente proporzionali alla reale dimensione dei biancocelesti negli anni a venire. Forse consapevole dell’inganno, o forse accecato dal troppo amore, come una madre che “dice una bugia a fin di bene”, esclama:

« Il padrone della Lazio non è Chinaglia, i padroni sono i tifosi, sono loro la vera società. I dirigenti passano, loro, anzi noi, rimarremo sempre! ».

Il fallimento della presidenza Chinaglia

Immaginatevi il clima a Roma, tutta. Sì perché Chinaglia non è stato solo una bandiera e un simbolo laziali, ma l’incubo peggiore della tifoseria romanista, che lo temeva come calciatore perché lo stimava come figura. L’odio è una forma di amore. Nonostante tutto, scriveranno i tifosi della Lazio. Che certo non potranno dimenticare quel periodo, denso e tragico ad un tempo. Denso, perché la Lazio – reduce dallo scandalo calcioscommesse di tre anni prima – si stava appena rilanciando alla ribalta del nostro calcio, dopo averlo dominato un decennio prima con Maestrelli, Chinaglia e il mucchio selvaggio più memorabile che la nostra storia calcistica ricordi.

Ma anche tragico, perché a quelle promesse di Chinaglia non seguiranno i fatti, anzi. Long John contava sui finanziamenti della Warner Communications, gigante dell’industria dello spettacolo americana. Quest’ultima aveva puntato tutto su Chinaglia, Beckenbauer e Pelé nell’obiettivo del rilancio del calcio americano su scala mondiale, senza successo però. La Soccer League all’improvviso aveva chiuso i battenti, determinando così un brusco cambiamento economico e per Chinaglia e – di rifletto – per la “sua” Lazio.

Il primo anno, stagione 83/84, la Lazio neopromossa e figlia della presidenza Chinaglia si salva: ma non era certamente quello l’obiettivo annunciato ad inizio stagione. Giocatori-simbolo come Giordano, Manfredonia e D’Amico sono tanto forti quanto incapaci di mettere da parte il proprio (sincero) tifo per la maglia, tutti e tre romani e laziali, per la coesione del gruppo tutto. Sono individualisti, nella tecnica calcistica come nello spogliatoio. Gli stranieri sono Battista, brutta copia di Falcao, e Laudrup, dirottato dalla Juventus in attesa di maturazione. C’è anche qualche giovane interessante come Orsi e Calisti, ma non basta per dormire sonni tranquilli anzi.

Il dramma si concretizza la stagione successiva, 84/85. Quella che vede il Verona campione e la Lazio in Serie B, ultima a parimerito con la Cremonese. Decisivi i tre cambi in panchina voluti da Chinaglia (Carosi-Lorenzo e la coppia Oddi-Lovati, simboli ormai tramontati di una Lazio vincente). A fine stagione, Giordano andrà al Napoli dove vincerà (quasi) tutto insieme a Maradona e Careca; Laudrup e Manfredonia alla Juventus. Chinaglia chissà dove. Di certo non più alla Lazio, non più in mezzo ai laziali. Che spinti da un amore inspiegabile gli perdoneranno tutto. Nonostante tutto.