Vai al contenuto

La storia della Lazio non ha raggiunto il suo picco di splendore né nel ’74 né nel 2000.

Nell’uno come nell’altro caso, si trattava solamente di vincere. La Lazio dei -9, stagione 1986/87, aveva invece a che fare con la morte. E quando i conti li fai col trapasso, ogni passo al confronto è un tra di passaggio.

Il 26 luglio del 1986, nel ritiro estivo di Gubbio, nell’Umbria da gustare, tra delizie culinarie e climi favorevoli, si annuncia un dramma convertito in svolta, quasi si trattasse di una Rivelazione.

La genesi di un’impresa impossibile

La notizia che passa alla radio ripete con la durezza dei verdetti giudiziari la fredda e triste condanna del boia: la Lazio è in Serie C. Lo scandalo delle combine ha infatti in alcuni protagonisti biancocelesti gli artefici (in)sospettabili di quella sciagura sportiva. La Lazio, dunque, che la zappa se l’è data da sola tempo prima, deve ora fare i conti con la propria buca; perché mentre si zappa un piede, vendendosi, si scava la fossa della retrocessione.

L’allenatore, l’indimenticabile Eugenio Fascetti, sa bene a cosa vanno incontro lui e i suoi ragazzi. Pretende allora, col tono solenne delle domande retoriche, un giuramento di fedeltà dai propri ragazzi: o Lazio o morte.

Lazio; questo è il grido che, all’unisono, si eleva dal gruppo di eroi che oggi, a più di 30 anni di distanza, è ricordato come “quello dei -9”. Alt. -9, perché? Semplice: alla notizia della retrocessione in Serie C, migliaia di tifosi biancocelesti si dirigono sotto la sede della FIGC con la rabbia e la violenza del popolo ferito.

In agosto arriverà la “lieta” notizia. Non più Serie C, ma Serie B con penalizzazione di 9 punti. Tradotto: un vero dramma. Sì, perché recuperare uno svantaggio di 9 punti in una competizione che per vittoria ne 2, equivale a scalare una montagna. Eppure quella Lazio è forte, e dalla sua ha un gruppo solido, solidale, ferreo. Un gruppo di laziali, per dirla in una parola.

Il campionato dei -9

Dopo le prime due partite, pareggio e sconfitta, la Lazio inanella 14 risultati utili consecutivi. Numeri leggendari, che fanno pensare addirittura al Paradiso della Serie A. La Lazio ci crede e ne ha ben donde. La squadra gioca bene, è fisicamente brillante, è motivata e, cosa tanto semplice quanto ovvia, è più forte delle altre. Gioca meglio, questo sicuramente. E lì davanti, poi, ha un ragazzone che s’ispira a Chinaglia, che di nome fa Giuliano e di cognome Fiorini.

Qualcosa però va storto. La macchina perfetta che macina punti e sfiora, almeno con l’idea – se non coi punti –, l’incredibile promozione in Serie A, inizia a perdere colpi.

La squadra è sfortunata; i punti scarseggiano, dietro vincono tutte, e i biancocelesti, ad un passo dal sogno, si ritrovano quasi d’un tratto, nell’incubo più tetro dell’intera storia laziale: la Serie C. Racconta Michele Plastino, maestro tra gli altri di telecronisti come Pardo, Caressa, Piccinini, come la paura, a quel punto della stagione, si stesse lentamente trasformando in angoscia. Quella squadra è forte, ed è questo il problema, paradossalmente. Chi ha i piedi raffinati non è abituato a sporcarseli come chi si fa la manicure preferirebbe cadere nel fosso piuttosto che aggrapparsi all’ultimo lembo di terra disponibile.

Ma il paragone è sviante, perché quella Lazio è tutt’altro che mera estetica; non è femmina, ma terribilmente maschia. Boys don’t cry, canta una celebre canzone dei The Cure, ma a vedere certe immagini c’è da piangere davvero. Le lacrime di un popolo, le lacrime di Fiorini, di Fascetti, di Poli. Alt. Stiamo correndo troppo.

Lazio-Vicenza, tutto in 90 minuti

È la 19ª giornata di ritorno del campionato 1986/87. A Roma si gioca una partita che, a giudicare dal numero di spettatori presenti sugli spalti, sembra una finale di Champions League. È molto più seria di una finale di Champions, questa partita tra Lazio e Vicenza. Entrambe le squadre sono ad un passo dalla Serie C, ma se il Lanerossi col pareggio rimarrebbe in Serie B, diverso è il discorso delle Aquile, che hanno un solo risultato utile a disposizione, ed è la vittoria, neanche a dirlo.

Non è facile raccontare l’atmosfera di quel pomeriggio. Il 21 giugno del 1987 è la data destinata a rimanere per sempre nel cuore dei tifosi laziali. 70.000 persone attenderanno il goal della speranza – si badi bene, neanche quello della certezza, ma quello della speranza – per oltre 80’. Il portiere degli ospiti, alla prima presenza stagione, Del Bianco, è un perfetto sconosciuto. Ed è in queste vesti che prolunga l’agonia del popolo laziale. Para di tutto; punizioni, colpi di testa, tutto. Ogni cosa, pure li moscerini, come si dice a Roma.

Al minuto 82, Acerbis crossa dalla trequarti; respinge la difesa dei biancorossi senza riuscire a liberare del tutto. In posizione centrale recupera palla Esposito, che cede a Podavini; due passi e tentativo di conclusione, imbarazzante quanto provvidenziale, perché Dio s’è fatto piccolo per mostrarsi ai grandi, e nel Paradosso ha nascosto l’opinione vera.

Ne vien fuori un tiro debole, che è però al contempo un assist perfetto per Giuliano Fiorini. 70.000 teste si protendono in avanti, in attesa della Rivelazione, che arriva. Fiorini si gira su sé stesso facendo gravitare la sfera alle proprie spalle con un movimento da punta vera, e con una giocata che, per quanto fortuita, porta in sé le tracce del divino. Dio è della Lazio. Lì se ne ha certezza. Fiorini calcia di punta, come viene. Rete. Rete.

Annuncia così, con i decibel sfocati dall’onda entusiastica dei tifosi della Lazio, la voce roca di Sandro Piccinini, inviato di Teleroma 56 quel giorno.

Questo gol permetterà alla Lazio di andarsi a giocare lo spareggio con Taranto e Campobasso in campo neutro, a Napoli, dove contro i molisani, e dinnanzi a 30.000 spettatori – Plastino racconta a tal proposito della fila che, dal casello di Napoli, arrivava fino a Roma –, un gol di Poli si rivelerà fondamentale per la permanenza dei biancocelesti in Serie B.

Questa è quindi La Lazio dei -9, una squadra impressa come filastrocca nella memoria esattamente come quelle dello scudetto di Maestrelli e Chinaglia e del titolo del 2000: Terraneo, Filisetti, Acerbis, Podavini, Gregucci, Camolese, Mandelli, Caso, Magnocavallo (46′ Poli), Pin (51′ V.Esposito), Fiorini. A disposizione: Ielpo, Piscedda, Rizzolo. Allenatore: Eugenio Fascetti.