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C’è stata un’Italia per tutto. Ma l’Italia del calcio è durata più di ogni altra. Ecco, mettiamola così: perché il tuffo che stiamo per fare nei ricordi è un triplo carpiato di emozioni, sensazioni, odori.

Di un Paese completamente differente e di un’innocenza che si è perduta, che non ha trovato più posto nel fiume di partite e negli appuntamenti quotidiani. Il calcio è stato grande quando la corsa era ancora così lenta: sapevano resistere, a margine delle vittorie delle grandi squadre, storie di provincia e cuori impavidi e coraggiosi.

Nel 1985, oltre 35 anni fa, il Verona aveva occupato le cronache sportive e non aveva intenzione di fermarsi al miracolo: l’intenzione era quella di trasformarlo in opera quotidiana, di mantenere la magia ma scrollarsi di dosso l’effetto sorpresa.

Dopo aver vinto lo scudetto, gli scaligeri si ritrovarono in Coppa dei Campioni, con la presunzione di poterla vincere. Del resto, avevano battuto le squadre più forti d’Europa nel loro stesso campionato, e il clima era quello giusto, delle imprese.

La sfortuna di Bagnoli? Quella di essersi ritrovata la Juventus sul proprio cammino: dopo aver vinto la Coppa un anno prima, con la tragedia dell’Heysel, i bianconeri si erano qualificati di diritto. Ma procediamo per ordine.

La gara di andata

In realtà, ecco, i bianconeri avrebbero potuto decidere di partire direttamente dagli ottavi di finale: siamo infatti in un periodo in cui le squadre son poche e i gironi di qualificazione saranno una grande invenzione del futuro. Ma, complice la squalifica del campo, i bianconeri decisero di passare dai preliminari così da scontare subito le gare a porte chiuse. La prima gara fu una passeggiata di salute: 5-0 alla Jeuness d’Esch, Lussemburgo; l’Hellas trovò subito il Paok di Salonicco: 3-1 al Bentegodi e 2-1 in Grecia.

Un match e via, subito ad attendere il sorteggio. Non era mai successo che due squadre italiane si ritrovassero in Europa, e la storia ha come sempre una prima volta per tutto.

Bianconeri e gialloblù contro: all’andata si sarebbe giocato a Verona. E così capitò che la Juve di Tacconi e Favero, di Brio e Scirea, s’incamminasse verso il Veneto alla ricerca di una vittoria facile – nel frattempo, l’Hellas era crollato in campionato – per proseguire il sogno di un double, e anche per riscattare quel triste, ma così triste, epilogo della passata stagione.

All’andata? Zero a zero. Poche emozioni. Quasi zero azioni. La Juve, con Serena al centro dell’attacco, sapeva bene che un campo come il Bentegodi sarebbe stato ostico per chiunque: andò lì a fare la partita che avrebbe dovuto, senza presunzione o qualsivoglia superiorità. Al Comunale, pur senza i tifosi, la storia poteva cambiare e mettersi nella carreggiata bianconera.

L’esplosione al ritorno

In un pomeriggio freddo e tipicamente torinese, l’arbitro alsaziano Robert Wurtz, diede il fischio d’inizio a una gara che a suo modo farà la storia del calcio.

Inizia tutto al minuto diciotto: rigore dubbio per i bianconeri. Sulla destra, Massimo Mauro aveva pennellato un cross interessante per Aldo Serena. Finta secca e Briegel che tocca la palla a metà tra spalla e braccio. Wurtz non ha dubbi: quello è penalty. Platini nemmeno: trasforma in gol. Un episodio come tanti, in un periodo senza tecnologia e con la regola che viveva di attimi eterni e di applicazioni contrastanti. Comunque, al quarto minuto della ripresa, Serena, nella propria area, cerca di anticipare Fontolan e colpisce la palla con una mano. È evidente. Sembra sacrosanto. Wurtz non vede, però: lascia proseguire e viene immediatamente accerchiato dagli scaligeri.

Apriti cielo. E apriti strada per la contestazione. Anche perché, sull’azione successiva, la Juve chiude praticamente i conti: è lo stesso Serena a insaccare su cross di Mauro, siglando il 2-0 con cui i bianconeri accederanno al turno successivo. La partita avrebbe ancora un tempo da giocarsi, ma di fatto finisce in quell’istante: i veneti attaccano col furore di chi si è sentito tradito, i bianconeri schierano quella difesa impenetrabile e portano la partita a casa.

Nel silenzio irreale del Comunale, il triplice fischio finale di Wurtz sembrò ancor più pesante: il sogno del Verona si era spezzato nel modo peggiore possibile. Elkjaer, con gli occhi fuori dalla testa, urla all’arbitro per tutto il tempo: lo accusa di essere corrotto, in un inglese stentato ma con un gesto inequivocabile come l’indice che accarezza il pollice, più e più volte.

La vera partita, insomma, si gioca negli spogliatoi ed è tutta sulle ali della furia veronese.

Parapiglia storico

Wurtz, che dopo quella prestazione viene fermato e non arbitrerà più a livello internazionale, abbassò il capo e corse verso gli spogliatoi.

Elkjaer, anni dopo, non ha dimenticato quell’atteggiamento così colpevole: “Poteva squalificarmi! Invece io ho giocato ancora, lui non ha più arbitrato”, le sue parole al quotidiano veronese L’Arena. “Quanto fatto da Serena in area era impossibile da non vedere, impossibile non fischiare. Fu una vergogna“. E fu in eurovisione.

In tanti ricordano ancora le parole di Eros Mazzi. In tanti, soprattutto, ricordano lo sguardo di Bagnoli in panchina: la sua faccia urlava dispiacere e rabbia, in un miscuglio di tutte le sensazioni più umane. In quel tragitto verso gli spogliatoi, dove “l’atmosfera era strana” per dirla alla Fontolan, volano paroloni e quasi si arriva alle mani. C’è persino un vetro in frantumi. Chi era stato? Versione ufficiale: qualcuno aveva lanciato uno zoccolo. E Di Gennaro uscirà con il braccio fasciato, rosso sangue.

L’ultima immagine è la più poetica, e non poteva che regalarcela l’artigiano del pallone. Osvaldo Bagnoli, guardando alcuni agenti di polizia bussare alla porta dello spogliatoio gialloblù per capire quanto fosse accaduto, rispose con malcelato nervosismo: “Se cercate i ladri, sono di là”.

Tutto il resto è storia. Di un’Italia che non c’è più.