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Moltissimo è cambiato da quando il derby – diciamo almeno fino agli anni Sessanta dello scorso secolo – era ancora una questione di bauscia e casciavit. «Baùscia e casciavìt, filàr de Barbacarlo… la pènna l’è on’ortiga, la pènna l’è on mestée…», cantava Claudio Sanfilippo in una canzone dedicata a Gianni Brera, in immancabile dialettolumbàrd. In effetti per capire questa distinzione, che fonda per paradosso l’identità di Milano, bisogna tornare ai primi anni di vita delle due società meneghine, durante i quali il Naviglio non divideva soltanto le due squadre di una stessa città, ma contrapponeva anche le due tifoserie, ben radicate in contesti sociali differenti.

I BAUSCIA E I CASCIAVIT

Come spiega Pierfilippo Saviotti, i termini vennero infatti coniati negli anni Venti del Novecento, periodo in cui le differenze di classe erano molto marcate e sentite. Ecco, quindi, che i tifosi rossoneri vennero bollati come “casciavìt”, in italiano “cacciaviti”: il simbolo per eccellenza del lavoro operaio e manuale che condiva le giornate del proletariato meneghino, grande bacino della tifoseria milanista. Il “casciavìt” viveva in periferia e a volte era uno dei primi emigrati dal Mezzogiorno. Certamente, in ogni caso, era escluso dal lusso della vita del centro.

Il termine “baùscia” invece, che in dialetto significa letteralmente “saliva” ma che metaforicamente si traduce con “gradasso”, e che sostituiva quello che nello stesso dialetto oggi può essere ricondotto a “ganassa”, accompagna da sempre il tifo nerazzurro. L’interista abitava quasi sempre in centro, partecipava con gusto alla vita della Milano bene e spesso si recava allo stadio in giacca e cravatta. È questo il vanitoso identikit che raffigurava il classico tifoso interista dell’epoca. In più c’era il fattore della nascita dell’Inter nel 1908, avvenuta da una scissione di alcuni soci del Milan in polemica per il divieto di tesserare ulteriori stranieri nella squadra.

UN DERBY AL VERTICE, DI NUOVO

Molto, moltissimo è dunque cambiato da quei giorni. Oggi il derby di Milano più che una questione culturale e sociale, è una questione di (mero) campo. Se c’è anzi una triste notizia che accomuna le due tifoserie, a latere del melting-pot sociale che ha di fatto fuso e confuso i confini di Milano (e dintorni, soprattutto: il cosiddetto interland), è la difficile situazione delle due tifoserie che ormai da mesi sono costrette a garantirsi la libertà, partita dopo partita e black-list dopo black-list. Una vicenda molto brutta, quella delle due curve di Milano, che ha ulteriormente aumentato il gap tra storia del derby fuori dal e dentro il campo.

Qui, sul terreno di gioco, la sfida è tra due allenatori molto diversi l’uno dall’altro. Chivu, per parte nerazzurra, che da primo della classe già può vantare, pure se inesperto, un curricula di tutto rispetto, non fosse altro che per le parole dei suoi ragazzi, che lo ammirano, lo seguono e lo seguiranno fino alla fine della stagione, derby a parte.

L’allenatore del Milan è invece quel Max Allegri mai così nemico dei nerazzurri, se è vero che ha fatto la storia, oltre che col Milan (parzialmente) con i colori più odiati dopo quelli rossoneri per parte bauscia, quindi quelli bianconeri della Juventus (soprattutto). Sono passati 12 anni dall’ultimo derby di Allegri allenatore del Milan. Finì 1-0 per l’Inter grazie ad un colpo di tacco del Trença Palacio a 4’ dallo scadere.

Quel Milan era già in una fase calante della sua storia, questo Milan è in una fase ascendente. Ma molto, in queste fasi, passa dal derby, per decretare a quale stella appellarsi. Lo stesso dicasi naturalmente dell’Inter, il cui sogno Scudetto passa necessariamente per una partita del genere, troppo importante per il presente, il futuro, e pure quel passato bauscia (contro casciavit) che continua a reclamare il proprio spazio vitale.