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Sono entrambe squadre del Nord. Entrambe si trovano in Lombardia, ma la loro storia calcistica è sensibilmente diversa. Epperò: il calcio è uno sport molto giovane, ha poco più di centocinquant’anni se consideriamo gli albori del gioco, in Inghilterra. Se consideriamo la nascita e l’evoluzione dello stesso in Italia, invece, la cifra scende a poco più di 100 anni. Parlare di storia di un club è dunque perfettamente lecito, ma anche molto limitante, perché realtà come quelle del Como, prima del Sassuolo, ma si pensi anche all’Atalanta o allo stesso Bologna, dimostrano che con soldi, visione e una buona dose di fortuna – quella non guasta mai, anche a certi livelli – le gerarchie possono essere sovvertite.

All’estero questo discorso è tanto più vero quanti più sono i soldi che circolano: dal Manchester City al Newcastle passando per il PSG, siamo pieni di esempi di club minori o quantomeno non di medio-alto cabotaggio che da una quindicina d’anni ad oggi hanno invertito la rotta a suon di petrodollari.

Quelli del Como non sono petro-, magari, perché gli Hartono – la famiglia che gestisce le casse del club sul Lago – basano i propri profitti sull’imprenditoria (nello specifico quella tabagista, almeno in prima istanza). Così può capitare che il piccolo Como si ritrovi ad appena tre punti dalla grande Inter. Il Como piccolo non è: lo ha illustrato molto bene Marco Iaria sulla Gazzetta dello Sport. E se gli azionisti dell’Inter due mesi fa hanno festeggiato un verde nel bilancio del club gestito da Oaktree dopo aver attraversato il profondo rosso, la partita che ci attende per la 14esima giornata di Serie A potrà dirci se oltre al discorso economico è anche quello calcistico ad essersi equilibrato.

La forza del Como e le forze dell’Inter

Per dirla semplice, si gioca a San Siro, e l’Inter vuole dimostrare di esserci anche con le grandi. Finora, infatti, a parte la vittoria dell’Olimpico contro la Roma, i nerazzurri hanno perso punti contro Milan, Napoli e Juventus. Il Como, che è a tre punti dai nerazzurri, non sarà una grande di partenza, ma lo è a tutti gli effetti allo stato attuale delle cose (vedi l’introduzione: vedi pure paragrafo infra).

Per dirla difficile, tuttavia, l’Inter questa vittoria dovrà sudarsela parecchio. Il Como è una squadra dall’identità forte, dal gioco ormai consolidato. Il suo ritmo, che è come il calco dinamico della dialettica del suo allenatore, sempre un passo avanti alla prossima sinapsi, è tambureggiante. La sua manovra è fluida ed elegante. La sua proposta offensiva di assoluto livello, e – come se non bastasse – dietro il Como subisce pochissimo (è la terza difesa del campionato). Questa è dunque la forza del Como: il suo collettivo – comunque ricco di tante importanti individualità.

Per l’Inter è più opportuno parlare di forze, invece. La squadra di Chivu ha tantissime soluzioni. È forte fisicamente, e infatti ogni palla inattiva rappresenta un potenziale pericolo per gli avversari. Ama il fraseggio ma può prediligere il gioco sul lungo, alla ricerca immediata delle punte. Ha tanta qualità, a centrocampo – in questa zona del campo troviamo, grazie a Como e Inter, i due leader in classifica marcatori del ruolo: Calhanoglu e Paz con 5 reti – come in attacco – Lautaro la guida con 6 reti. Soprattutto, è una squadra abituata da anni a tastare certi palcoscenici: non avrà problemi a risalire la china in campionato, prendendosi la vetta. Tutto questo, perlomeno, a livello ipotetico. Davanti infatti avrà una squadra che sta facendo del sovvertimento delle gerarchie il suo mantra.

Una questione di gerarchie (sovvertite)

Una delle possibili chiavi del match sarà senz’altro la prestazione di Nico Paz, numero 10 dei comaschi. Il ragazzo, registrato anche in orbita Inter secondo radio mercato, è di proprietà del Como fino a prova contraria. Ciò significa, traducendo: i comaschi lo hanno acquistato in estate per 6 milioni di € acquisendolo a titolo definitivo. Ma il Real Madrid ha posizionato sul cartellino del giocatore una clausola di riacquisto dai 9 agli 11 milioni di €, al sorgere di determinate condizioni prestazionali, che i blancos possono esercitare fino al 2027, quando cioè Nico avrà (ancora) 23 anni. Difficile, dunque, viste le risorse dei comaschi, che Paz possa lasciare il Lago per spostarsi di qualche chilometro, direzione Pinetina.

Ci sarebbe qui da fare anche un discorso più ampio, perché in verità Nico Paz, visto il progetto Como, forse neanche vorrebbe andarci all’Inter. D’altra parte, non è successo proprio questo in estate con Fabregas, attuale allenatore dei comaschi, per il suo rifiuto (nonostante Marotta parli altrimenti, ma fa pure il suo lavoro…) alla corte dell’Inter? Fabregas-Paz rappresentano, simbolicamente, il nuovo che avanza in Serie A lasciando le briciole a chi campa di rendita, con proprietà vecchie, stantie, ormai prossime alla pensione.

Discorso simile per l’Inter, che con Chivu ha provato a svecchiarsi e a fare quello che la Juventus, mutatis mutandis, aveva provato con Sarri dopo il rifiuto di Guardiola: cambiare corso, identità, sposare il nuovo, appunto, ma a saldo zero – non proprio così nel caso dei bianconeri, ma certo Sarri non è Guardiola anche a livello economico. Non sappiamo cosa sia accaduto di preciso in estate, tra Fabregas e la dirigenza nerazzurra, ma la causa non è difficile da immaginare.

Il punto qui è che quando un piccolo club trattiene uno dei suoi pezzi pregiati, promesso ad un grande club, le cose sono due: o è attirato dalla sfida del piccolo club, o ha avuto garanzie di crescita. Nel caso di Fabregas, di Paz e del Como, crediamo che valgano entrambe. Uno scenario di questo tipo, inimmaginabile fino a qualche anno fa – se non per un eccesso di romanticismo ormai perduto –, oggi è realtà. Il Como, battendo l’Inter, darebbe una sterzata non decisiva, magari, ma senza dubbio rilevante, sul piano della credibilità.