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A un certo punto arriva la notte. Poco importa se il maestro ci insegnò che dietro l’imbrunire si nasconde l’alba perché, quando arriva il buio, non c’è spazio per simili pensieri. Più o meno questa è la condizione dei tifosi della Lazio da sabato pomeriggio. E a ragione. La squadra di Sarri è sempre di là dal compiere il passo deciso e definitivo verso la maturità: un obiettivo forse troppo grande per un collettivo che sembra aver dato tutto ciò che poteva lo scorso anno. Eppure, per vincere contro un modestissimo Hellas Verona forse non serviva la Lazio fenomenale che avevamo conosciuto una stagione fa.

Quarto posto, una chimera?

Miracolosamente a -4 dalla Champions League per una serie di incroci che i biancocelesti avrebbero dovuto sfruttare meglio – tipo Roma vs Fiorentina (1-1) e Atalanta vs Milan (3-2), ma anche Juventus vs Napoli (1-0) –, nessun tifoso laziale crede davvero al quarto posto. Vi guarda piuttosto con quel sentimento che i portoghesi hanno definito Saudade, la terra nostalgica e promessa ormai perduta, che rimane solo nel ricordo. Ed è appunto nel ricordo che la Lazio giocherà a Madrid mercoledì 13 dicembre: Sarri ha sempre parlato della Champions come una prestigiosa vetrina, sottolineando – più all’ambiente che ai suoi ragazzi – che il vero obiettivo era quello di rientrare nelle prime quattro del campionato.

Non accadrà. Le sconfitte con Lecce e Genoa, inizialmente ‘concesse’ dalla piazza e dalla critica perché eravamo all’inizio della stagione, non erano casuali: quelle contro Salernitana (2-1) e Hellas (è un pareggio, 1-1, ma è come una sconfitta) lo hanno riprovato. La Lazio potrebbe ancora rientrare nel discorso europeo, ma dovrebbe vincere contro Empoli, Udinese e Frosinone nelle prossime tre uscite. Facile, no? Per una squadra con una certa mentalità sì, eccome. Non per una squadra così fragile mentalmente, che deve rifarsi all’errore del singolo (Provedel) per parlare di ‘sfortuna’ – la quale sempre viene incontro a chi è poco spavaldo – e ‘pareggio immeritato’.

Hellas, punto meritato

A meritarlo il punto è stato l’Hellas di Baroni, galvanizzato nello spirito dal 2-2 di settimana scorsa ad Udine e capace, in un giorno speciale per la città e con il sold-out del Bentegodi (che festeggiava i suoi 60 anni), di riprendere una partita che sembrava in pieno controllo dei biancocelesti. Sembrava, appunto. Perché poi la Lazio è stata poco cinica davanti e molto distratta dietro, soprattutto in occasione del gol del pari quando su tiro-cross di Ngonge Provedel ha scelto la ‘via del dolore’ (cit. Saruman). Da lì in avanti è stata più Lazio che Hellas, ma i veronesi – anche in 10 dall’80’ in poi – non hanno mai davvero rischiato. La Lazio, pure con l’uomo in più, ha impensierito la porta di Montipo’ solo con un tiraccio di Vecino – che ha preso in pieno Taty Castellanos – e un gol annullato a Casale per spinta (abbastanza evidente) su corner.

La Lazio al termine della giornata è decima in classifica, l’Hellas terzultimo col rischio di venire scavalcato dal Cagliari. Ma dopo il gol di Henry, la sensazione era che i veronesi cercassero più loro la rete della vittoria (come hanno dimostrato i cambi di Baroni e le sue dichiarazioni nel post-partita) che i biancocelesti il raddoppio dopo la perla di Zaccagni nel primo tempo. Solita, vecchia, lazietta. Nuovo, carico, Verona. E fatale, ancora una volta, per le aquile che qui al Bentegodi non vincono dall’11 aprile del 2021. Corsi e ricorsi storici di una squadra che non riesce a cambiare la propria mentalità. E che in Champions due stagioni di fila non è mai arrivata in 18 anni di presidenza Lotito.