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Un tempo essere sorteggiati in un girone con formazioni scandinave era quasi come ipotecare una vittoria. Almeno fino ai primi anni ’70.

Poi c’è stato una presa di coscienza molto più seria da parte di questi paesi verso il gioco del calcio e nonostante le difficoltà climatiche che impongo campionati in estate, il livello è cresciuto a dismisura. Da un movimento quasi “dilettante”, il calcio nordico con il passare degli anni ha fatto il salto di livello. Prima Danimarca e Svezia, poi la Norvegia, seguita dall’Islanda e infine, la Finlandia.

Si è passati da un gioco prevalentemente fisico, ad una manovra organizzata, più fluida e con un occhio anche alla tattica. Certo c’è ancora molto da lavorare, ma il potenziale è di quelli importanti.

Il trionfo danese

Come detto, fino ai primi anni ’70 il movimento scandinavo era considerato una sorta di semi-professionismo e in dei casi, Dilettanti allo stato puro. Poi piano qualcosa ha iniziato ad ingranare. Il gioco fisico e maschio ha dato alcuni frutti, anche se a livello di club si trattava di risultati isolati e considerati più una sorta di exploit estemporaneo che qualcosa di duraturo. Lo stesso dicasi delle nazionali, quasi mai nel grande giro delle kermesse più importanti.

Insomma un’evoluzione in parte sottovalutata. Almeno fino al 1992, l’anno in cui tutti si accorsero che il calcio dei Vichinghi non era più soltanto palla lunga e spizzata di testa dell’ariete in attacco, ma c’era anche molto di più.

Sono anni particolari in generale per il Vecchio Continente. Il comunismo è morto, il muro è caduto, intere repubbliche si sono sgretolata dando vita ad una miriade di nuovi stati. E poi sta per iniziare un sanguinoso conflitto che per almeno 3 anni coinvolgerà i Balcani.

Quella guerra e il 1992 sono indirettamente la svolta del calcio in Scandinavia, in particolare per la Danimarca. Nazione che negli anni ’80 aveva “prodotto” una schiera di ottimi giocatori e con Laudrup pezzo pregiato. Insomma, dalla mancata qualificazione ad Euro 1992, al ripescaggio al posto di una Jugoslavia che sta per crollare sotto i colpi delle bombe, la Danimarca si presenta da cenerentola a quel campionato Europeo e lo vincerà.

Svezia e Norvegia

Un caso isolato diranno alcuni, un concentrato di fortuna senza precedenti diranno altri. Per molti quindi è un semplice fuoco di paglia, ma non si stanno rendendo conto che oltre alla geo-politica dell’Europa, sta cambiando anche la cartina geografica del calcio. La dimostrazione arriva due anni dopo con la Svezia ad USA 1994. Bomber Henrik Larsson, assieme ad una squadra quadrata, si fa largo nel mondiale americano e la corsa si fermerà soltanto in semifinale, contro i futuri campione del Brasile. Nella finalina per il terzo e quarto posto,”I Vichinghi” abbattono 4-0 la Bulgaria di Stoichkov e si prendono una incredibile medaglia di bronzo.

Se qualcuno è ancora attanagliato dai dubbi i quegli anni, sulla crescita del calcio nordico, ci pensa anche la Norvegia a togliere tali dubbi. Già presente ad USA 94′, la selezione norvegese stacca anche il pass per l’edizione di quattro anni dopo in Francia. A differenza del mondiale americano supera la fase a gironi e negli ottavi di finale diventa lo spauracchio dell’Italia di Maldini. Con il suo ariete Tore Andre Flo e una serie di giocatori che giocano in campionati competitivi. Insomma i norvegesi creeranno tanti grattacapi a quell’Italia lì, prima che un contropiede di Bobo Vieri ci spalanchi le porte dei quarti di finale.

Ai giorni nostri il calcio norvegese sta sfornando una colonia infinita di giovani promesse, con il bomber Erling Haaland simbolo della seconda giovinezza del calcio in Norvegia. Quindi occhio, perché anche loro stanno arrivando.

Islanda e Finlandia

Per molto tempo, parlando di calcio scandinavo, era quasi naturale riferirsi a Danimarca, Svezia e Norvegia. Meno per quello che poteva riguardare Islanda e Finlandia. Nella terra dei Geyser il calcio per molto tempo è stato visto più sotto l’aspetto ludico che sotto il profilo agonistico. Una netta rivoluzione è iniziata con il nuovo millennio (vedremo più avanti come) e nel 2016 la piccola Islanda ha preso parte per la prima volta ad un Major calcistico, vale a dire il campionato europeo giocato in Francia.

Qui gli islandesi non solo hanno superato la fase a gironi, ma negli ottavi hanno ottenuto lo scalpo dell’Inghilterra. Una cosa impensabile soltanto 10 anni prima. Il sogno si è spezzato inevitabilmente nei quarti contro la Francia, ma il percorso dell’Islanda è proseguito oltre, fino a conquistare un posto nel mondiale russo del 2018. Insomma non un caso, non una coincidenza, ma la crescita costante di un movimento che ha deciso di fare il grande salto.

E la storia sembra ripetersi anche per la Finlandia. In 80 anni di storia due partecipazioni alle Olimpiadi con la nazionale e poi il nulla fino a pochi anni fa, quando un progetto di ri-costruzione partendo dai settori giovanili ha dato alla luce una serie di giocatori che hanno fatto fare il level up alla squadra. Bomber Pukki in testa, con la prima storica qualificazione ad un campionato europeo. Non sappiamo come finirà l’avventura ad Euro 2020, ma il percorso è ancora lungo.

I quattro elementi che han fatto crescere il calcio nordico

Ma come è avvenuta la crescita del calcio dei “vichinghi” negli ultimi anni? Ci sono almeno 4 punti che appaiono fondamentali per lo sviluppo del gioco a quelle latitudini.

1 – Istruttori ed allenatori qualificati

Fino a quarant’anni fa non vogliamo dire che il calcio a livello giovanile fosse improvvisato in Scandinavia, ma insomma le tipologie di lavoro erano molto distanti da quelle di altri paese. In Danimarca, Svezia, Norvegia, Islanda e Finlandia la situazione ha iniziato a cambiare volto nei primi anni ’90. Nei settori giovanili spazio a personale qualificato: ex giocatori professionisti, istruttori usciti da scuole dedicate allo sport, allenatori con patentino UEFA e molto altro ancora.

Non più soltanto un gioco, ma un vero salto di qualità. Per gli allenatori corsi e stage di formazione, con una sorta di Erasmus delle panchine: visite e soggiorni nei centri federali di altri paesi, o nei centri sportivi dei Club più importanti del calcio europeo per apprendere segreti e nuove metodologie di gioco. E questi viaggi sono ancora frequenti, con la spedizione nordica che a turno frequenta anche l’università del calcio in Italia a Coverciano.

Insomma pratica e teoria, usufruendo dei consigli delle più avanzate nazioni sotto il profilo del calcio, per portare ad un veloce sviluppo del gioco in scandinavia. Non solo, ma anche campus estivi e formazione costante dei giocatori, avvalendosi di allenatori e istruttori di altri paesi. Un cambiamento totale che ha dato, sta dando e darà i suoi frutti.

2 – Strutture adeguate

Il clima è da sempre un nemico del calcio a quelle latitudini, tanto da obbligare le cinque federazioni del calcio scandinave a programmare campionati e coppe nazionali nel periodo che va da Marzo ad Ottobre, con qualche sforamento anche Dicembre, quando ci sono in concomitanza europei e mondiali. Insomma se nel periodo meno freddo il calcio è possibile, come fare di inverno?

Allenarsi su campi ghiacciati e innevati diventa impossibile. Così nel corso degli anni sono nati in alcuni casi terreni riscaldati che evitano la formazione del ghiaccio e aiutano allo scioglimento della coltre di neve. Un primo passo importante. Il secondo, soprattutto con riferimento all’Islanda, concerne la creazione di campi coperti. Indoor, ma non all’interno di palazzetti come capita per Basket, Volley o Handball, ma delle tenso-strutture con chiusure ed aperture.

Per capirsi, sono dei “palloni” come siamo abituati a vedere in Italia di inverno per Calcio a 5 e tennis. Se in questo caso ricoprono uno o più campi di dimensioni limitate, ecco che in Islanda si estendono per 100 metri circa, vale a dire la lunghezza di un campo di calcio. Si tratta di strutture volute fortemente dalla federazione che contribuisce economicamente a sua volta. Sono campi in sintetico coperti, con terreno riscaldato e che ricreano alla perfezione i normali campi di calcio.

E qui le Accademy delle società e i vari settori giovanili permettono ai più piccoli (e anche ai più grandi) di allenarsi, di affinare la propria tecnica e crescere assieme a tutto il movimento. Lo stesso ovviamente vale per anche le altre nazionali, ma l’impatto di queste strutture nel calcio islandese ha davvero fatto la differenza.

3 – Calciatori immigrati

Uno sviluppo decisivo al calcio dei Vichinghi è arrivato nel corso degli anni, dai figli degli immigrati di prima o seconda generazione. Qui bisogna fare un salto nei primi anni ’80, quando dai paesi meno sviluppati c’è stato un costante flusso di migrazione verso i paesi nordici: sviluppati e ricchi.

Qualche decennio dopo, questa numero importante di persone immigrate in Scandinavia si è tradotto in tantissimi giocatori che nati e cresciuti in queste famiglie hanno dato e stanno dando una mano alla crescita del calcio a quelle latitudini. Insomma, il classico giocatore albino, alto e biondo è affiancato da giocatori con tratti somatici non proprio del luogo e con cognomi che ricordano altre terre lontane.

Il caso più noto è quello di Ibra. Nato da una famiglia balcanica a Malmo, è diventato il simbolo dell’immigrazione e della integrazione in una terra di rinascita. Simbolo di una Svezia multiculturale e conosciuto in tutto il mondo. Non solo, ma nei primi anni di migrazione, molti immigrati hanno fondato società di calcio, inizialmente amatoriali e che nel tempo hanno scalato in qualche caso le gerarchie dei rispettivi campionati. Un movimento che si è ingrossato e nemmeno di poco.

4 – Import ed Export

Dopo la sentenza Bosman del 1995 tutto il calcio è cambiato e anche il mercato dei vari campionati scandinavi ha subito delle nette modifiche rispetto al passato. Se fino a prima di quella sentenza erano pochissimi i giocatori nordici a varcare i confini nazionali per accasarsi in club del centro e sud Europa, dopo quella data ci sarà un esodo importante. Un esodo che ha contribuito e che contribuisce in qualche modo alla crescita dei giocatori da una parte e delle società stesse dall’altra che incassano nelle vendite, per poi reinvestire con maggiori fondi soprattutto a livello giovanile.

I primi a capire la bontà dei giocatori scandinavi sono stati gli inglesi, il cui gioco fisico ben si adattava a questi atleti. Anche l’Italia ha sempre avuto un feeling speciale con i giocatori del Nord Europa, probabilmente anche prima della sentenza Bosman. Un filone che è proseguito nel tempo e si concretizza anche nei giorni nostri: Ibra al Milan è l’esempio più lampante, oltre ad Eriksen all’Inter. Attenzione al neo promosso Venezia che in rosa ha una colonia di “Vichinghi” pronti a riscrivere la storia.

Il mercato del calcio scandinavo non è solo in uscita. Spesso queste società pescano nelle vicine nazioni, oppure si affidano alle varie accademy nate in Africa nel corso degli anni e dalle quali arrivano numerosi elementi ogni stagione. Certo per quest’ultimi c’è l’ostacolo ambientamento al clima rigido del Nord Europa. Se superano questo problema, possono davvero essere giocatori in grado di fare la differenza.

Il calcio dei Vichinghi sogna di prendersi la ribalta.