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Mamma, butta la pasta! Che qui raccontiamo una delle (mille) storie che riguardano Dan Peterson.

Prima di iniziare, prima domanda: conoscete tutti l’iconico coach di basket? 168 centimetri di pura forza, fino a 10 anni fa ancora sulla panchina di una squadra – e che squadra, la sua squadra -, ossia l’Olimpia Milano. Un anno dopo? Nella Hall of Fame del basket italiano.

Ecco, qui c’entra il calcio. Direttamente e indirettamente. C’entra soprattutto un periodo d’oro per lo sport milanese: proprio quando il Milan si stava reinventando, l’Olimpia vinceva tutto.

Dal 1978, anno in cui Peterson divenne coach dei biancorossi, portò a casa 4 scudetti, 2 Coppe Italia, una Coppa Korac nel 1985 e una Coppa dei Campioni nel 1987.

Ora: un presidente ambizioso, che proprio di quella Coppa dei Campioni sogna forma e scalfisce l’ambizione, non poteva non ammirare la forza bruta del più piccolo in mezzo ai giganti, il carisma di un uomo che riusciva a non farsi toccare dai momenti ma soltanto a gestire il peso della vittoria.

Peterson era frasi da tv e sostanza da trionfo. Era Al Pacino in Ogni maledetta Domenica. E ogni maledetta domenica, Silvio Berlusconi lo sognava vestito di rossonero.

Come? Sì, il salto da uno sport all’altro non gli importava: cambiare il corso e il calcio, quello sì che lo stuzzicava.

La rivelazione di Galliani

Era il 1987. Era il Milan da costruire, in attesa di diventare olandese e dunque la squadra più forte di tutti i tempi.

Era il primo Milan di Berlusconi e tutto ciò che è stato doveva ancora diventare. Prima di puntare sull’allora outsider Arrigo Sacchi, il patron di Fininvest aveva cercato un personaggio vero e proprio, concreto e reale, uno show da dichiarazioni – e quell’accento, non a caso, è entrato nel cuore di tutti – e uno spettacolo da vittorie.

A segnalarlo, il fedele Adriano Galliani: grande appassionato di basket, l’AD oggi del Monza e ai tempi del Milan, aveva sottolineato la bravura di Peterson a Berlusconi. Che lo voleva, sì, e proprio in rossonero.

Del resto, se Silvio era il padrone di Milano, Peterson era il re: il primo l’aveva comprata a suon di investimenti, il secondo se l’era guadagnata vittoria dopo vittoria. Sarebbe stato un connubio perfetto, un matrimonio così strano e così curioso.

La stampa sarebbe andata a nozze direttamente con questa notizia, ma Dan chiuse le porte prima che si spalancasse il gossip. “Berlusconi è un innovatore e pensavamo che l’allenatore dovesse essere prima di tutto un motivatore. Ritenevamo il coach Dan Peterson un innovatore e un uomo di grande talento. Tanto gli sport sono uguali a livello di motivazioni e pensavamo che potesse imparare certi dettami“, ha raccontato Galliani nel 2016, a margine di un momento particolare del Milan che coincise con gli 80 anni di Peterson.

Ovviamente, “Il coach ci ha detto di no e abbiamo preso Sacchi. Ci è andata bene comunque“. Beh, difficile contestare: quel Milan ha saputo comunque innovare. Anzi: è diventata la squadra più forte di sempre.

Ma a tutti è rimasto il dubbio: cosa sarebbe stato se il tecnico dell’Olimpia fosse diventato quello del Milan? Di sicuro, avrebbe mobilitato una città e sarebbe stato uno spettacolo incredibile, un gioco forse al massacro ma di meravigliosa ambizione.

La versione di Peterson

Dan Peterson ha raccontato quella storia soltanto un paio di volte, a domanda diretta. C’è un lungo articolo su La Gazzetta dello Sport, c’è una versione più breve che ha raccolto a Sky Sport.

Ed è questa: “Ricordo quando a gennaio del 1987 Galliani e Berlusconi fecero un sondaggio con me per farmi diventare l’allenatore del Milan. Io guidavo l’Olimpia Milano e non volevo distrarre la mia squadra, dissi che ne avremmo parlato a fine stagione. Nel frattempo presero Sacchi e andò bene così, anche se sono sicuro che avrei fatto bene nel calcio, mi sarei circondato di gente che ne capiva e avrei impostato la mia disciplina e i miei modi di allenare”.

Messa così, perché non avrebbe potuto funzionare? Per il calcio che è stato, la motivazione avrebbe cambiato la storia. Poi è arrivato Sacchi, proprio in quel Milan, e il calcio è cambiato, mutato, improvvisamente più schematizzato eppure più umano che mai.

In quel marzo del 1987, con Dan Peterson già telecronista di Canale 5 per la NBA, per un attimo la storia sembrò calzare e per tutti. “Se fossi stato allenatore del Milan mi sarei fatto affiancare da Massimo Giacomini – sempre Peterson a SportWeek – che su quella panchina c’era già stato. Un tecnico che dimostrava capacità intellettuali, grande intelligenza, un’intelligenza applicata allo sport. Aveva il giusto equilibrio nelle cose e a Massimo avrei affidato il coordinamento di tutto: programma e allenamenti mentre io avrei scelto le persone giuste per creare un gruppo vincente, gente disposta a sputare sangue, con un programma atletico che avrei affidato a Claudio Trachelio, il mio preparatore all’Olimpia. E avrei chiesto un coordinatore per la difesa e l’attacco. Come in NFL. Forse per questo Berlusconi mi aveva cercato: per mettere in pratica un nuovo approccio tecnico”.

Un nuovo approccio, sì, ma che non poteva prescindere dagli uomini: “Avrei ascoltato tutti, dai senatori come Baresi e Tassotti fino ai giovani come Paolo Maldini, come avevo fatto all’Olimpia con D’Antoni, Meneghin e Pittis. Se mi avesse ingaggiato il Milan non sarei stato il pupazzo di qualcuno e con Giacomini al fianco sarei stato tranquillo”.

Con uno come Maradona? L’avrebbe limitato. Senza mai porsi limiti. La grande certezza sarebbe stato proprio Berlusconi: “Se fossi andato al Milan avrei avuto il grande appoggio del Presidente. Se lo mettevi davanti ad una questione complessa, in quel mosaico di mille pezzi lui capiva le 999 mosse da scartare e si concentrava sul problema per risolverlo“. Dan aveva già organizzato tutto.

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