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Camminate in mezzo al vento, camminate in mezzo alla pioggia e sé di improvviso i vostri sogni sono scossi di colpo: continuate a camminare con la speranza nei vostri cuori e non camminerete soli“.

Come recita lo You’ll Never Walk Alone, anche nei momenti più difficili i giocatori del Liverpool non saranno mai soli. Ma gli stessi giocatori in maglia reds riusciranno a mettere da parte il periodo più difficile dell’era Klopp?

La qualità e le risorse ci sono, ma bisogna capire sé realmente lo “Tsunami Rosso” ha perso la propria forza. I primi 38 giorni della nuova stagione ci dicono che il Liverpool è in crisi come non mai.

Dalla Premier alla Champions, cambia il format e cambiano i rivali, ma i risultati deludono. Unica gioia per adesso, la vittoria nella finale del Community Shield per 3-1 sul City. Da quel momento in poi, pochissime luci e molte ombre, o notte fonda se preferite.

Vediamo cosa sta succedendo in casa Liverpool e cosa può fare Jurgen Klopp per cambiare la rotta.

Parigi ha spezzato l’incantesimo

Il Liverpool di Klopp è una di quelle squadre che oltre a vincere trofei sul campo vince pure oscar per il gioco espresso. Una formazione già entrata nella storia del calcio: 3 finali di Champions in 5 stagioni, un titolo inglese che mancava da 30 anni, più una sfilza di coppe varie.

Solo nel 2022, i reds hanno alzato la bellezza di tre trofei: la Coppa di Lega battendo il Chelsea a Wembley, la mitica FA Cup ancora contro i Blues e ad inizio agosto il già citato Community Shield contro il City per 3-1.

E potevano essere ben 5 i titoli nell’anno solare, considerando che la Premier League è sfuggita nei minuti finali dell’ultima giornata a favore della squadra di Guardiola e sette giorni dopo, i reds si sono inchinati 1-0 al Real Madrid nella finale di Champions a Parigi.

Ecco, proprio la capitale francese è come se avesse spezzato l’incantesimo su questa squadra: una formazione creata, plasmata e letteralmente rinata sotto la cura di Jurgen Klopp.

Il tedesco è arrivato all’ombra di Anfield nell’ottobre del 2015 e nei seguenti 7 anni la crescita è stata a dir poco esponenziale: reds fuori dalle coppe e lontani dalle posizioni di vertice in terra inglese, prima dell’approdo dell’ex Borussia. Poi con lui al timone tutto è cambiato.

Non solo la squadra e i singoli, ma la mentalità. Quella mentalità che ha lanciato il Liverpool come protagonista nel Mondo e la cui magia appunto sembra essersi esaurita in una notte di fine maggio, sotto la Torre Eiffel.

Da quella sconfitta lo “Tsunami Rosso” ha perso smalto e allegria, gioco e aggressività, voglia di schiacciare i rivali nella propria area e di assumere il comando del gioco. Tranne ovviamente, il 3-1 rifilato al City.

38 giorni tra pochi sogni e tanti incubi

I risultati parlano chiaro.

Qualcosa non sta funzionando nel Liverpool. Da un muro rosso a livello difensivo, ad un reparto che fa acqua da tutte le parti. Un attacco che non solo ha perso fisicamente Mané passato al Bayern, ma che ha perso la cattiveria sotto porta, con un Salah quasi irriconoscibile. E con una mediana, come vedremo più avanti, che non fa il suo dovere.

Pareggio e ancora pareggio nelle prime due giornate, contro due formazioni londinesi che a cose normali sarebbe destinare a soccombere contro la squadra di Klopp: Fulham e Crystal Palace. Ko nel derby di britannia ad Old Trafford e United che si rialza di colpo.

Vittoria di rabbia per 9-0 sul Bournemouth, successo in extremis 2-1 sul Newcastle, pareggio poco edificante per 0-0 in casa dell’Everton, a cui è seguito il pesante 4-1 patito a Napoli in Champions League.

Un avvio non da Liverpool e nemmeno da squadra di Klopp. La partita del Maradona è l’esatta fotografia di una squadra che ha le sembianze di un pugile chiuso nell’angolo e incapace di reagire sotto i colpi dell’avversario.

Un quasi Ko dove il Liverpool ha solo due strade davanti a sé: rialzare la testa e tornare a combattere, oppure finire al tappeto fino al suono del gong.

Per una squadra inglese non esiste arrendersi, figuriamoci per sé ti chiami FC Liverpool: la storia del calcio è piena di rimonte impossibili dei reds. Dalla notte turca di cose turche con il Milan a quella con il Barcellona, passando dal St. Etienne e Roma negli anni più lontani e fino a raggiungere quelle con Olympiakos, West Ham, Norwich e Borussia D. solo per citare le più recenti.

Nel momento in cui il Liverpool viene dato per morto ecco che si commette l’errore fatale. Perché i giocatori in maglia rossa risorgono e diventano l’incubo dei rivali; non per una notte. Non solo per quella notte. Ma per tante notti a seguire.

Da questa legge non scritta sui muri di Anfield Road deve iniziare la risalita di una squadra che non sembra nemmeno la lontana parente di sé stessa.

Recuperare gli infortunati e il caso Nunez

Va detto che il Liverpool sta giocando da inizio stagione con una media di 8-9 indisponibili a gara. Una cosa nemmeno troppo rara nell’era di Klopp sulla sponda rossa della città. Basti pensare che due stagioni fa ben 12 giocatori diversi si sono alternati nel ruolo di difensore centrale, a causa degli infiniti infortuni in quella zona del campo.

Dunque la squadra in qualche modo è abituata a combattere con le assenze. Ma in questa stagione, i vari forfait hanno generato più problemi del previsto, soprattutto sulla linea mediana. Resistono solo Fabinho e Milner, con capitan Henderson e Thiago Alcantara quasi sempre ai box con Keita.

È proprio in quel settore del campo che la squadra ha sempre avuto il valore aggiunto. Ma con tante assenze e i vari giovani che si alternano in mediana, il Liverpool fatica: non argina come dovrebbe e costringe la difesa ad abbassarsi. Non riparte con la velocità che lo contraddistingue e limita di conseguenza la rapidità di Salah e soci in attacco.

Passa molto dal centrocampo il momento critico del Liverpool. E come per effetto di un domino, anche gli altri reparti vanno in confusione: dalla prestazione oscena della difesa a Napoli, passando per i gol mancati in attacco, oltre alla follia di Darwin Nunez contro il Crystal Palace che è costata tre turni di squalifica alla neo punta dei reds.

Uno dei problemi maggiori del Liverpool concerne proprio la nuova punta centrale. Espulsione a parte, l’uruguagio ha cambiato in qualche modo il gioco della formazione di Klopp che fino allo scorso maggio era abituata ad avere tre brevilinei in attacco: Salah, Firmino, Manè, con l’aggiunta di Diogo Jota e Luis Diaz.

Solo in determinate situazioni il tedesco si è affidato al gioco aereo con Origi al centro dell’attacco. Ma il dogma tattico è sempre stato affidati a tre giocatori non eccessivamente alti in fase offensiva, ma dotati di velocità e tecnica.

Con l’arrivo dell’ex Benfica e la partenza di Manè, tutto questo stravolge le certezze di una squadra che deve provare a cambiare pelle. Serve un gioco meno impostato sulla velocità, ma che vada a coinvolgere soprattutto Nunez: adesso in versione boa per favorire gli inserimenti dei compagni e adesso da servire con traversoni che vadano a premiare il gioco aereo del sudamericano.

Una cosa non facile da apprendere in poche settimane, per una squadra che da sette anni gioca a memoria con il vecchio schema. A questo aggiungiamoci la scarsa forma fisica degli esterni: Arnold a destra e Robertson a sinistra non riescono a sfondare come un tempo sui rispettivi binari.

Ma il nuovo gioco di Klopp passa soprattutto attraverso le loro discese, i loro inserimenti e i loro cross per Darwin Nunez. E fino ad oggi i rifornimenti sono stati con il contagocce. Idem per i suoi compagni di reparto Salah e Luis Díaz raramente guizzanti, oltre a Bobby Firmino e Jota che scalpitano per una chance in attacco.

La partenza di Mané è un altro punto chiave: il Liverpool non solo ha perso un attaccante da tante reti e pesanti, ma ha perso un giocatore che alla pari di Salah sul versante opposto creava superiorità numerica, oltre ad attaccare la profondità come pochi giocatori a questo mondo.

Risposte e soluzioni

Paradossalmente lo stop alla Premier League, a causa del lutto per la morte delle Regina Elisabetta, permette al Liverpool di tirare il fiato, come si dice in gergo.

Klopp può recuperare gli indisponibili e lavorare sul campo. Di fatto fino a dopo la pausa delle nazionali, i reds non torneranno in campo per il campionato: rinviata la gara di sabato scorso e già rinviata per i motivi sopracitati anche la trasferta londinese contro il Chelsea.

Unico match quello di Champions contro l’Ajax, assolutamente da non fallire in ottica qualificazione, alla luce anche della batosta patita a Napoli nei primi 90 minuti.

Dunque, in un calendario così intasato e che non permette di respirare, il Liverpool può lavorare con maggiore calma e resettare quanto successo fino a questo momento.

Allenare e scaricare, non solo a livello fisico, ma soprattutto a livello mentale. Anche dal punto di vista psicologico i reds hanno dimostrato una crisi preoccupante.

Klopp dunque può provare nuove alternative, ad iniziare dall’ultimo arrivato in casa reds, vale a dire Arthur prelevato dalla Juventus. Il brasiliano è un regista con grandi doti tecniche, ma che necessita di almeno una guardia del corpo in campo, per essere protetto in fase di impostazione.

Questo può indurre Klopp ad un cambio di modulo per favorire l’ascesa dell’ex bianconero? Qualche indizio sembra esserci e allora, dal classico 4-3-3, ecco un 4-2-3-1 già utilizzato in passato dal tecnico tedesco. Nei due della mediana, Arthur con capitan Henderson, mentre uno fra Fabinho e Thiago Alcantara si alternerebbe come “dieci” alle spalle della punta.

Un giocatore meno offensivo in quel ruolo, abituato a recuperare palloni e seconde palle, ma che garantirebbe maggior equilibrio tattico alla squadra e lasciando inalterati i due esterni di questa linea a tre.

Insomma serve il cambio di passo ai sei volte campioni d’Europa che fra infortuni, sistemi di gioco cambiati e forma fisica precaria non hanno ancora giocato da Liverpool. I prossimi 30 giorni sono quelli decisivi.

Per la squadra che deve rientrare in lizza ovunque e per lo stesso Klopp che si gioca tanto dal punto di vista della panchina: un contratto di ferro lo blinderebbe fino al 2026, ma nel calcio moderno siamo abituati ad improvvisi cambi di rotta che stravolgono quello che fino a pochi mesi prima appariva con impossibile da stravolgere.

Non cammineranno mai soli dalle parti di Anfield, gli uomini in maglia rossa, ma il tempo stringe e i risultati servono come non mai adesso.

Nella tempesta, lo Tsunami Rosso prova a ripartire.