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Allianz Arena, domani sera: le luci si accenderanno come fari su un bivio. Inter e Bayern Monaco si incontrano per l’andata dei quarti di finale di Champions League, e il destino – come spesso accade da queste parti – ha deciso di stringere il tempo in una manciata di minuti che potrebbero valere una stagione intera. E’ il gioco crudele e magnifico dell’Europa, dove tutto si concentra, si infiamma, si brucia.

Mentre la primavera porta aria nuova, la Champions alza il volume. E tra le ferite del Bayern e i dubbi nerazzurri, prende forma una sfida che promette equilibrio e tormento. Uno di quei duelli che, anche a distanza di anni, si ricordano per una parata, un gol, un pallone perso a centrocampo. Il momento dei dettagli, e stavolta nessuno può permettersi di sbagliare.

Come ci arrivano Inter e Bayern Monaco

Bayern Monaco, che con Kompany ha intrapreso un viaggio più visionario che pragmatico, si affaccia a questo quarto con un fardello pesante: quello degli infortuni. Se è vero che le grandi squadre potrebbero pure fare a meno di piangere, è anche vero che a furia di perdere pezzi, si rischia di smarrire l’identità. I bavaresi si presenteranno all’Allianz Arena senza Ito, Upamecano, Davies e soprattutto Jamal Musiala, stella fragile e luminosa del loro progetto.

Le notizie migliori, in realtà, sono i forse. Neuer ci prova, Kane stringe i denti, Coman può dare un contributo a partita in corso. È un Bayern che si muove come una nave danneggiata in mare aperto: orgogliosa, ma vulnerabile. Kompany dovrà chiedere a Muller, Sané e Olise di prendersi sulle spalle la creatività. Kim e Dier, coppia centrale d’emergenza, avranno il compito ingrato di contenere due mastini come Lautaro e Thuram.

L’Inter, dal canto suo, ha una situazione non necessariamente in ordine. I recuperi sono quasi totali: Darmian prende il posto di Dumfries, Bastoni è in dubbio ma fiducioso, mentre la cerniera centrale formata da Pavard, Acerbi e lo stesso Bastoni resta uno dei punti di forza del 3-5-2 di Inzaghi. Calhanoglu, Barella e Mkhitaryan garantiscono equilibrio e geometria, Dimarco e Darmian dovranno essere capaci di sdoppiarsi tra copertura e proiezione offensiva.

Tutto perfetto, o quasi. Perché a Parma, sabato scorso, qualcosa si è incrinato. Un 2-2 che ha lasciato il segno, e non solo per il punteggio.

Dove può fare male, l’Inter?

Lo ha detto Beppe Bergomi, lo mostrano i numeri, lo confermano le immagini: il Bayern di Kompany ama pressare alto, spesso troppo alto. Lo fa con convinzione e principi, ma in Europa – quando incontri squadre che sanno come sfruttare gli spazi – questa ambizione può diventare una trappola.

L’Inter ha la struttura perfetta per colpire in ripartenza. Calhanoglu è il regista che sa innescare la verticalità, Barella è la mezzala che strappa, Mkhitaryan è il pensatore che vede il campo. Ma sono Lautaro e Thuram il vero ago della bilancia: il primo è il terminale che si muove come un direttore d’orchestra invisibile, il secondo è la freccia che si lancia negli spazi aperti come un atleta d’altri tempi.

Se l’Inter avrà il coraggio di giocare, di non limitarsi a sopravvivere, potrà trovare varchi. Guerreiro, terzino di piede educato ma fragile in copertura, potrebbe soffrire la spinta di Darmian. Sull’altro lato, Sané è un talento puro ma raramente incline al sacrificio: se Dimarco saprà spingere, lì potrebbe nascere qualcosa.

Il vero tema, però, sarà la gestione del pressing. L’Inter dovrà essere lucida nel palleggio, evitare le trappole in costruzione, muovere il Bayern da una parte all’altra come si fa con un avversario più forte fisicamente ma meno mobile. La partita si vincerà nei primi 25 metri difensivi nerazzurri: se lì l’Inter saprà resistere e ripartire, allora il colpo grosso non sarà utopia.

I dubbi e le polemiche su Inzaghi

E poi c’è lui, Simone Inzaghi. L’uomo delle coppe, dei trofei d’inverno, delle notti europee da sfavorito diventato protagonista. L’uomo che ha ridato all’Inter una dimensione europea e un’identità di gioco. Ma anche l’uomo che, talvolta, sembra inciampare nella gestione del vantaggio, nel momento in cui la lucidità dovrebbe prevalere sull’abitudine.

A Parma è accaduto qualcosa che non si spiega solo con la stanchezza o la rotazione. L’Inter era avanti 2-0, e ha smesso di giocare. I cambi sono arrivati tardi, e non hanno cambiato nulla. Si è affidata all’inerzia, e l’inerzia l’ha tradita. È accaduto altre volte: nel derby, in un finale di Supercoppa, persino nella scorsa Champions, quando l’Inter ha perso l’occasione della vita nella finale contro il Manchester City, giocando una gara straordinaria ma sterile.

Inzaghi è sotto osservazione, ma non per i soliti motivi. Nessuno mette in discussione la qualità del suo calcio o la crescita che ha portato alla squadra. Il problema è nella capacità di chiudere i conti, di trasformare la supremazia in vittoria, la superiorità in dominio. La Champions è un territorio spietato: non vince chi gioca meglio, ma chi sbaglia meno.

Contro il Bayern, il tecnico nerazzurro dovrà dimostrare di aver imparato da Parma. Non potrà accontentarsi di gestire, non potrà aspettare. Dovrà essere proattivo, coraggioso, magari anche un po’ incosciente. Perché a questi livelli, chi aspetta troppo finisce per vedere svanire l’occasione proprio mentre credeva di averla in pugno.

Un esame di maturità

InterBayern Monaco è più di una partita. È un test di maturità per entrambe, un rito di passaggio per capire chi può davvero ambire alla semifinale. Il Bayern, zoppicante e col fiato corto, ma pur sempre Bayern. L’Inter, brillante a tratti eppure mai davvero al riparo dai suoi stessi dubbi.

Il calcio sa essere crudele ma onesto: alla fine, restituisce sempre ciò che si semina. Per l’Inter, il tempo della semina è finito. Ora è tempo di raccogliere. A Monaco si gioca molto più di una semifinale: si gioca il diritto di credere che questo ciclo possa davvero sfociare in un trofeo che manca da troppi anni.

Le stelle europee brillano solo per chi sa guardarle dritto negli occhi. L’Inter, forse, è pronta a farlo. Ma dovrà dimostrarlo con i piedi, con la testa, e – più di tutto – col cuore.