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Ci sono calciatori entrati nella storia per la loro tecnica, per i loro gol e il loro talento, per le loro vite dissolute o per aver vinto tutto quello che c’era da vincere. Poi ce ne sono alcuni che forse appaiono solo in un piccolo capitolo dell’almanacco del calcio, ma che quando vai a leggere la storia ti rendi conto di quanto sia stato significativo il loro passaggio sul campo e nella vita. Soprattutto nella vita.

Perchè quando parliamo di Astutillo Malgioglio, e già dal nome si evince che c’è qualcosa di particolare da raccontare, non parliamo di un giocatore con un palmares memorabile ma di un uomo dal grande cuore che si è sempre fatto volere bene da tutti (tranne che dai tifosi della lazio, come vedremo).

Chi era Astutillo Maglioglio

Per parlare di Astutillo, o “Tito” come lo chiamavano tutti, dobbiamo per forza dividere quella che è stata la sua carriera sportiva, da quello che invece è il suo lato più umano, fuori dal campo.

Cresciuto calcisticamente nelle giovanili del Bologna, il suo passaggio a Brescia definirà gran parte del suo destino. Perchè è in quegli anni giovanili che incontra la sua futura moglie Raffaella, ed è sempre lì che proprio dopo una visita con lei in un istituto per ragazzi disabili, decide di dedicare gran parte del suo tempo fuori dal campo a quei bambini con disabilità.

Una scelta di cuore che rafforzerà il suo animo, ma paradossalmente lo porterà a essere escluso dalla prima squadra dall’allenatore Marino Perani, che non gli perdonava il non dedicarsi anima e corpo al pallone (con il Brescia poi retrocesso in C1, non certo per colpa del suo portiere).

Più fortuna ebbe l’anno dopo, passato nelle file della Roma alla corte di Liedholm che, viceversa, apprezzava molto quel lato umano del giocatore, tanto da condividere la stessa Trigoria per iniziative legate ai bambini disabili, oltre a condividere con il capitano giallorosso Di Bartolomei, le visite ai malati dell’ospedale Bambin Gesù.

Insomma, un ambiente ideale per una crescita umana, anche se sportivamente parlando in quelle due stagioni disputò soltanto una partita in Serie A e altre quattro in Coppa Italia (ma si tolse lo sfizio di sedere in panchina in una finale di Coppa dei Campioni). Tanto che l’anno successivo prese una decisione che si rivelò essere un errore imperdonabile, passare alla Lazio.

Il calvario laziale

Malgrado le reticenze iniziali, Malgioglio decise di accettare il trasferimento nella Lazio, convinto più che altro da un Gigi Simoni che l’aveva fortemente voluto con sè in questa stagione molto particolare per i bianco azzurri.

Parliamo infatti di un anno di vera rifondazione, dopo la retrocessione in serie B che aveva costretto Chinaglia a mandare via gran parte della rosa per ricominciare tutto da capo con una serie di giovani da lanciare, un allenatore esperto e affidabile e in pratica solo due talenti salvati dalla terribile stagione precedente come Vincenzo D’Amico e Francesco Dell’Anno.

Peccato però che le cose non vadano come sperato, soprattutto per Maglioglio, fin da subito preso di mira dai tifosi per il suo passato nella Roma, oltre che appunto per il suo continuo impegno sociale per con i bambini malati e disabili, reo a loro dire di non impegnarsi altrettanto in campo con la maglia della Lazio.

Le offese si moltiplicano, così come gli striscioni contro di lui e le aggressioni verbali a lui e alla sua famiglia (e non solo, visto che in almeno un’occasione gli sfasciano l’auto a forza di bastonate), in un crescendo che culmina con una partita difficilmente dimenticabile per lui.

Si gioca Lazio-Vicenza all’Olimpico davanti a 55 mila tifosi (in Serie B è un vero record), con i padroni di casa che sembrano poter avere la meglio facilmente sugli avversari, tanto che alla mezz’ora siamo già sul due a zero.

Una disattenzione di Malglioglio incrina però la china del secondo tempo, che vede poi due volte pareggiare i veneti. La Lazio si butta in avanti, ma proprio una colossale papera proprio di Astutillo, regala la vittoria agli ospiti. È l’inizio della fine.

Lo stadio non aspettava altra occasione di scagliarsi contro il suo stesso portiere, che esasperato da insulti sempre più pesanti, si toglie la maglia sputandoci sopra e calciandola via in malomodo.

Dopo quel gesto, che ha reso necessaria la scorta per uscire dallo stadio con i tifosi in cerca del linciaggio, anche la società gli volta le spalle definitivamente, con una multa a suo carico e ovviamente un processo mediatico senza precedenti. Talmente tanta era la sua delusione, che dichiarò chiaramente di non volere mai più giocare a pallone.

Per fortuna però, non fu così.

Lo scudetto con l’Inter

Qualche mese dopo la rescissione del contratto con la Lazio e l’intenzione di appendere i guantoni al chiodo, arrivò infatti la chiamata niente meno che di Mister Trapattoni, allora in forza all’Inter. Una di quelle proposte che non puoi rifiutare, anche se ancora una volta Maglioglio sarebbe finito a fare il secondo portiere, visto che la porta era difesa da un certo Walter Zenga.

In maglia nero azzurra riuscirà comunque a vivere diversi momenti importanti in quelle cinque stagioni. Non solo si toglierà lo sfizio di giocare nella squadre dei record che si porterà a casa Scudetto e Coppa Uefa nel 1991, ma continuerà più che mai ad aiutare ragazzi disabili in tutti i modi possibili: creò palestre e centri di riabilitazione per fare terapia, coinvolse persino altri suoi compagni di squadra.

In particolare il teutonico Klinsmann, incuriosito dalla velocità con cui Malgioglio sgattaiolava via dopo l’allenamento un giorno gli chiese il perché di tanta fretta. “Tito” non ci pensò un minuto e si caricò in macchina il campione tedesco, per portarlo dai suoi ragazzi, a cui dedicava tempo ed energie tutti i giorni.

Klinsmann ne fu cosi colpito che si sciolse letteralmente davanti a quei bambini, staccò immediatamente un assegno con un cospicuo aiuto per le attività coordinate da “Tito e s’impegnò in prima persona per raccogliere fondi e organizzare iniziative di ogni genere.

Passa quindi decisamente in secondo piano il fatto che abbia giocato solo 19 partite in tutto, tra cui quella che il destino beffardo gli aveva riservato proprio in casa della Lazio, con un Zenga indisponibile che lo riportò davanti ai suoi vecchi tifosi (si fa per dire), che proprio mentre portava un mazzo di fiori davanti alla curva laziale in cerca di riconciliazione (non per suo volere ma per volontà del presidente Pellegrini), si vide lanciare contro di tutto, tanto da giocare quella partita con il sangue che gli scendeva ancora sul volto.

Ma lui rimase sempre in piedi. In quella partita e in tutti i suoi anni di pallone. Perchè Maglioglio fu per molti solo un secondo portiere, ma fuori dal campo, non era secondo a nessuno.