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Mettiamola così: se cresci a Lecce, e in particolare nella Juventina Lecce, il tuo destino è abbastanza segnato.

Antonio Conte, classe 1969, deve tutto a papà Cosimo: tutto ciò che è e tutto ciò che è stato, è stato forgiato dalla passione di suo padre per il pallone. “Come ho iniziato a giocare? È mio padre che ne ha il merito. Lui è stato il presidente di una squadra storica della mia città: la Juventina Lecce. Era un po’ tutto. Presidente, allenatore, magazziniere. Sono cresciuto a pane e pallone“. Parole sue. Col senno di poi hanno ancora più senso.

No, non parliamo dei successi in panchina; parliamo di quelli da calciatore. E se c’è una squadra a cui Conte si è legato nella sua carriera oltre il bordocampo, è certamente la Juventus.

E quando arriva a Torino è ancora un ragazzino: ha alle spalle un paio di stagioni di livello, la grande carica agonistica datagli da Mazzone, ma allo stesso tempo fatica a trovare una collocazione tattica vera e propria. Svaria su tutto il fronte, alimentato da quella grinta che ancora oggi lo contraddistingue in ogni aspetto.

La famosa chiamata di Boniperti

Stagione 1991-1992. Conte è aggregato ormai alla prima squadra del Lecce; non solo: è diventato un perno fondamentale di quel centrocampo, l’ha già caricato sulle sue spalle e non vede l’ora di riportare i salentini in Serie A.

Dopo la prima stagione alla guida di quel centrocampo, purtroppo sfortunata, il suo unico obiettivo è stato lavorare per arrivare già in forma a inizio campionato. Non ha ascoltato nessun’offerta, non ha inseguito nient’altro che il sogno di restituire tutto a Lecce e ai leccesi. Arriva l’autunno, però. E con l’autunno arriva pure una telefonata a casa Conte, dove Antonio vive ancora con i suoi genitori.

Da una parte, Giampiero Boniperti, presidente della Juventus; dall’altra mamma Ada, incredula. “Immagino quanto le costerà rinunciare a un figlio che si trasferisce a 1.000 chilometri. Ma voglio tranquillizzarla, alla Juve troverà un’altra famiglia che saprà crescerlo e aiutarlo nei momenti difficili“, le parole del presidentissimo, che in poco più di qualche ora aveva portato a Torino uno dei centrocampisti più promettenti del calcio italiano.

Nel novembre del 1991, la Juventus verserà 7 miliardi di lire nelle casse del Lecce; Conte arriva a Torino ed è nebbia fitta, di come solo in Piemonte sanno fabbricare. Ad accoglierlo c’è proprio Boniperti: un giro nella sala dei trofei, le maglie di Causio e Brio, leccesi come lui. E il silenzio. Niente: non spiaccicava una parola per l’emozione.

È famosa anche la timidezza dei primi giorni. Conte, nello spogliatoio riempito di campioni, dava del “Voi” ai fuoriclasse che lo circondavano. A Baggio soprattutto. “Pensai: qui non duro a lungo, sono di passaggio“.

Era difficile scommettere sul contrario. Del resto, era pur sempre un ragazzino con una manciata d’esperienza nel club più vincente d’Italia. Beh, la storia insegna: quel ragazzino è rimasto a Torino per 13 anni. L’ha accompagnata ovunque, anche in panchina.

L’esordio, gli Agnelli, il Trap

Gianni Agnelli l’aveva preso in simpatia, certamente più di quanto avrebbe fatto suo nipote Andrea.

Un giorno lo chiamò a casa sua: voleva sapere la sua storia, qualche informazione, scrutare lo sguardo. “Quando mi chiese quanti goal avevo segnato fino ad allora, io mentii dicendo che 3-4 goal a stagione ero sempre riuscito a farli. Avevo ancora il timore che si fossero sbagliati e non volevano in realtà acquistare me“, raccontò Conte in seguito. Quella media gol la mantenne davvero, anche grazie al lavoro fatto da Trapattoni.

Il Trap è stato infatti fondamentale per Conte: lo prese sotto la sua ala, proteggendolo da tutti, in particolare dai media. Per Antonio è stato un secondo papà, Conte ripete spesso che è proprio a lui che deve una carriera così bella e lunga. Ogni fine allenamento lo teneva per un tempo extra: lui e Brio, solo per migliorare la tecnica individuale.

L’esordio ufficiale arriva il 17 novembre del 1991, contro il Torino, con vittoria per 1-0. Nella prima stagione colleziona 21 presenze e da quella successiva è di fatto un titolare.

Sono gli anni di transizione di una Juventus che cambiava pelle, che stava abbandonando il trapattonismo e si stava lasciando andare a un gioco più bello, spumeggiante, ugualmente vincente – a proposito: nel mentre, per Conte era arrivata una Coppa Uefa niente male.

Nel 1994, lo storico allenatore bianconero salutava tutti; era arrivato il momento di Marcello Lippi. Per Conte sembrava la fine, e invece fu soltanto un nuovo inizio. Lippi lo utilizzò come jolly a tutto campo. Antonio non sempre ha gradito, ma col tempo ha capito.

Come padre e figlio: “Il nostro rapporto era uguale a quello tra padre e figlio, del tipo che ogni tanto sfocia in litigi e frasi forti dette in faccia. Ecco, io e Lippi ci siamo sempre detti tutto, senza ipocrisie“.

L’era da capitano

E quel rapporto così solido di Lippi con Conte, ma in generale di Lippi con l’intera squadra, fece sì che nel 1996 la Juventus vincesse una Coppa Campioni storica.

C’era anche Antonio ed era già capitano: la prima volta è contro il Borussia Dortmund, fascia al braccio il 13 settembre del 1995. È la sua migliore stagione: 7 gol in 41 partite, la sensazione di assoluta maturità in un contesto in grado di esaltarlo.

Un lavoro enorme per perdersi sul più bello, a causa di un infortunio; anzi: di due infortuni. Dopo il problema muscolare, la rottura del legamento crociato del ginocchio sinistro. Starà fuori a lungo. E quando rientra, nel 1997, è un percorso di riabilitazione parecchio lungo, nonostante il terzo scudetto dell’era Lippi.

Lippi che tornerà a vederlo a fatica, Conte che da Torino però non vorrà mai andare via. Innamorato com’era della Juventus, e sempre impegnato a trascinare la squadra. Solo lui sa quanto ha sofferto l’ultima decisione dell’allenatore di Viareggio: la fascia di capitano sul braccio di Alessandro Del Piero, e non sul suo, nonostante un paio di stagioni di differenza alla corte della Signora.

La sua salvezza? L’arrivo di Carlo Ancelotti: torna titolare e ne fa il perno del suo 3-5-2.

Conte sembra di nuovo quello degli anni ruggenti: termina il 1999 con una delle migliori prove di sempre. Segna tanto e segna ovunque, in particolare gol pesanti. Soprattutto, sopravvive a tutti i cambiamenti, frequenti, che un’era ricca come i primi Duemila impongono alla Juventus. Vincerà ancora. E tornerà a cambiare la propria storia.

Finché non arriva il 2001, il ritorno di Lippi, Del Piero definitivamente capitano. Conte capisce di doversi fare da parte: sarà una seconda linea virtuosa, una voce preziosa negli spogliatoi.

Nel 2004, l’ultima in campionato da calciatore juventino e da calciatore in generale, è a San Siro. È il 4 aprile ed è un derby d’Italia: considerando il futuro, sembra davvero un anticipo di destino.