Si potrebbe fare un elenco lungo pagine, pagine e ancora pagine. La verità, è che molto probabilmente, mentre state leggendo questi nomi, qualche trattativa è già partita, iniziata sottobanco e chissà se verrà mai fuori. Quanti allenatori, che restano a spasso: è il brutto del mestiere, che rimane comunque tra i più belli di tutti. La volatilità della panchina e le responsabilità – forse troppe, forse giuste – date all’uomo chiamato a guidare una squadra. Una sola accortezza, però determinante: serve portare a casa il risultato, perché tutto dipende da quello e da quello sempre dipenderà.
In questa lista, giusto una top 10, mancheranno nomi di rilievo. Uno su tutti, Zinedine Zidane: tre Champions League e la chiamata – in arrivo – che ha sempre sognato, quella di diventare il successore di Didier Deschamps alla guida della Francia.
Gareth Southgate
Partiamo dall’ex commissario tecnico dell’Inghilterra, che ha lasciato il posto a Thomas Tuchel (e già fa meraviglie). Sir Gareth Southgate ha 52 anni e ha allenato principalmente due squadre, per tre esperienze. La prima è stata il Middlesbrough, dove ha terminato la carriera nel 2006, diventando “acting manager” subito dopo. Tre anni di esperienza per poi approdare dal 2013 al 2016 alla guida dell’Under 21 dei Tre Leoni. Bravo con i ragazzi, ma tatticamente si vedeva già di un altro livello, tant’è che quando Sam Allardyce (altro tecnico attualmente alla ricerca) venne esonerato, fu proposto lui. Era il 2016, doveva essere ad interim, e invece è diventato per 8 anni il tecnico delle grandi ambizioni dell’Inghilterra. Risultati finali per nulla malvagi, seppur “tristi”. Due finali perse, due Europei sfiorati. Il primo lo ricordiamo bene…
Joachim Low
Da un ct all’altro, e altri arriveranno. Joachim Low, prima di essere uno dei meme più temuti dell’internet, è stato un gran bell’allenatore. Negli anni Novanta ha fatto la fortuna dello Stoccarda, poi Fenerbahce e nel nuovo millennio ancora in Turchia prima dell’Austria, tra Innsbruck e Austria Vienna. Lo switch di una carriera particolare è arrivato nel 2004, quando Klinsmann lo vede come suo vice per la Nazionale tedesca, proprio per il Mondiale di casa. Pure qui: lo ricordiamo bene. E allora Joachim si mette a disposizione, e lo fa pure quando l’ex attaccante nerazzurro saluta la propria selezione, diventando così dal 2006 al 2021 il commissario tecnico della Germania. Risultati? Incredibili, con una generazione forse irripetibile. Terzo in Sudafrica, al Mondiale, che poi vince nel 2014.
Luciano Spalletti
A proposito di commissari tecnici: l’ultimo degli azzurri, prima del ribaltone – per nulla clamoroso – in favore di Rino Gattuso, vede Luciano Spalletti oggi come svincolato di lusso. Certo, non è facile star dietro a Lucio, che però tra i club di risultati ne ha ottenuti. Poi ha allenato ovunque: quell’Udinese formidabile, le vittorie in Russia con lo Zenit, la doppia esperienza alla Roma e il calcio paradisiaco, l’Inter in Champions e il capolavoro, quel Napoli portato al terzo scudetto. Sembrava impossibile, e lui ce l’ha fatta. Era arrivato all’Italia con la fame e la fama del risolutore, del gruppo costantemente al suo fianco: è imploso. E adesso cerca la grande corsa verso il successo, come se non si nutrisse d’altro. Spalletti è pronto a tornare: chi gli dà una chance?
Thiago Motta
Sempre in tema di implosioni: la grande promessa di Thiago Motta e del suo calcio avvolgente, crudo però vincente, aveva ammaliato Cristiano Giuntoli e la Juventus. Oggi, a Torino, non ci sono né il direttore, e ancor meno l’allenatore. Thiago è stato esonerato a marzo, quando la scorsa primavera era appena sbocciata e tutto intorno sembrava fatto davvero di plastica. Una finzione ben recitata. Dopo qualche rumor che lo avrebbero visto come prima scelta di più squadre – su tutte l’Atalanta, prima della virata decisa verso Juric -, Motta è rimasto forse incastrato nella narrazione costruitagli tra il percorso al Bologna e l’approdo alla Juventus. Come tutti questi altri tecnici, ha pagato per l’errore imperdonabile, quello più decisivo di tutti: i risultati non arrivavano.
Nuno Espirito Santo
Qui, ecco, i risultati erano arrivati. Eccome. Ma Nuno Espirito Santo, nonostante un percorso incredibile con il Nottingham Forest e un mercato fatto appositamente per lui, ha salutato. Anzi: è stato salutato, e neanche con tanti ringraziamenti. L’allenatore saotomese, ma di nazionalità portoghese, ha vissuto a lungo panchine bollenti. Quella del Valencia una decina d’anni fa, il Porto poco dopo. Per quattro anni è stato l’artefice di un piccolo miracolo al Wolverhampton, salvo poi passare al Tottenham, dov’è stato poco fortunato. Il Nottingham è stata la sua rivincita, ma con il patron Marinakis le cose non sono andate affatto bene. “Non abbiamo più un grande rapporto, la verità è questa”, aveva raccontato il mister. Pochi giorni dopo è stato esonerato.
José Mourinho
Mentre il Fenerbahce prepara gli allori per l’arrivo di Domenico Tedesco, la domanda oggi su Mourinho, che dal Fener è stato invece esonerato, è la seguente: e adesso cosa succede? Il tecnico portoghese arriva da una serie di esperienze particolari. Sono lontani i fasti del Porto, del primo Chelsea e soprattutto della sua Inter, in grado di vincere quel triplete sfiorato soltanto qualche mese fa. Tre stagioni al Real Madrid, poi di nuovo i Blues, prima di passare allo United, al Tottenham e al triennio romano, concluso con una vittoria storica, quella della Conference League. Ovunque vada, la sua personalità lo precede. In Turchia è stato tanto amato quanto odiato, tanto venerato quanto scacciato via nel finale. Ha fallito l’appuntamento da non fallire: i playoff di Champions.
Sergio Conceiçao
Come sa essere cattivo, il calcio. Appena arrivato al Milan, lo scorso gennaio, Sergio Conceiçao sembrava avesse risolto in un amen i problemi rossoneri, reduci da un impatto per nulla positivo firmato Paulo Fonseca. Conceiçao, l’emblema del severo ma giusto, aveva rimesso in piedi la squadra dopo qualche giorno di lavoro, presentandosi poi in Arabia Saudita per la Supercoppa. Con estrema sorpresa, vinta proprio dal Milan. Il prosieguo è stato tutto fuorché l’immagine di Sergio che festeggia circondato dai ragazzi, con tanto di sigaro acceso negli spogliatoi. A fine stagione la separazione dai rossoneri e la “libertà” condivisa di cercare un’altra strada, un’altra occupazione. In estate nessuno ha pensato a lui, ma sembra soltanto questione di tempo.
Erik Ten Hag
“L’esonero dopo due giornate è qualcosa di inspiegabile”, dice. Ma Erik Ten Hag, che sognava di ripartire con un altro piglio dopo le incomprensioni al Manchester United, una conferma meritata sul campo (secondo lui) e invece poi soltanto paventata e mai ratificata, ha fallito un’altra occasione ghiotta, quella di diventare il post Xabi Alonso in una squadra che però ha cambiato tutto, alla quale certamente serviva un po’ di tempo in più per ricalibrarsi, ristrutturarsi, tornare a diventare una certezza del calcio tedesco. Dopo l’apice all’Ajax, il tecnico olandese ha provato il brivido di diventare la guida dei Red Devils: amore e odio, forse più il secondo, anzi nettamente più il secondo, con tanto di saluti a stagione in corso per abbracciare Amorim. No, neanche la Bundesliga l’ha salvato.
Edin Terzic
Un finalista di Champions ancora a spasso. Se per questo, magari si potrebbe tornare a Di Matteo, che quella Coppa l’ha pure vinta. O a Mou, di cui abbiamo già sentenziato le recenti disgrazie sportive. Edin Terzic però intriga un po’ tutti, e perché nessuno se lo prende? Perché resta un rischio difficile da calcolare. 43anni, ex attaccante, nazionalità bosniaca, Terzi è stato dal 2010 al 2013 un collaboratore tecnico, poi ha girato. Per imparare. Due anni da vice allenatore al Besiktas, due anni da vice al West Ham United. E’ un pupillo di Klopp, è stato a un passo da Bilic (mister sottovalutatissimo) e poi nel 2018 è tornato a Dortmund, apprendendo alla scuola di Favre. Pure il suo doveva essere un ruolo ad interim, ma il primo anno è arrivato terzo. Nel 2022, dopo un anno con Rose, ha ripreso le redini e portato il Dortmund in finale di Champions.
Xavi
Un fuoriclasse in campo, ma Xavi è molto bravo pure in panchina. Due squadre, nella sua carriera da tecnico: l’Al Sadd, la prima a dargli fiducia e l’ultima squadra pure da calciatore, e poi il Barcellona, da cui era stato chiamato in fretta e furia per sostituire Ronald Koeman. Con i blaugrana vince un campionato, senza brillare, non con costanza. Dalla sua, tuttavia, la sensazione di avere una squadra potenzialmente forte ma non ancora pronta. Certamente fragile, come si è visto anche con Flick, pur avendo vinto la Liga in carrozza. Sogna un’occasione, ma difficile vederlo in Spagna con un’altra squadra.

