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Non c’è scritto il nome dell’allenatore a cui questo pezzo è dedicato, ma se avete seguito LBA ed Eurolega in questa stagione, facilmente dovreste essere arrivati a pensare che il riferimento sia chiaramente ad Ettore Messina. Il tecnico dell’Olimpia Milano, arrivato nel giugno 2019 in sostituzione di Simone Pianigiani, è sempre stato chiamato a vincere e convincere, non riuscendoci costantemente, ma avendo sempre sulle proprie spalle il peso di doverlo fare, senza se e senza ma.

Premesso che non vogliamo parlare in questa sede del doppio ruolo che Messina ha in Olimpia, per quanto importante – quello di President of Basketball Operation, carica che probabilmente gli ha causato più critiche che elogi -, ciò su cui ci concentriamo è la posizione da allenatore e gestore del gruppo, che nel corso degli anni a Milano l’ha visto quasi sempre criticato, nonostante 2 scudetti, 2 coppe Italia, una Supercoppa italiana e una Final Four di Eurolega.

Messina, arrivato come una specie di Messia in una Milano che non vinceva il campionato italiano dalla stagione 2015-16, a livello di risultati ha portato nella bacheca biancorossa 5 trofei in neanche 5 anni in sella, riportando l’Olimpia a disputare una fase finale di Eurolega, cosa che non era mai capitata da quando la massima competizione europea per club ha questa denominazione. Fin qui poco da dire, perché i risultati parlano per lui. Ma non bastano!

Il pubblico e gli addetti ai lavori gli hanno sempre fatto pesare la posizione, il doppio ruolo, il nome altisonante e un atteggiamento frequentemente infastidito, che Messina ha spesso avuto nei confronti di stampa e ambiente un po’ per carattere e un po’ funzionalmente per dover difendere sé stesso e i propri giocatori dai continui attacchi. Il fatto che la sua società abbia più disponibilità economica delle altre è diventato il motivo per vedere in lui il capro espiatorio di tutti gli errori commessi in fase di mercato e nella gestione del gruppo, come se avere più soldi degli altri sia equazione di vincere sempre e comunque (stesso concetto che possiamo riportare a squadre di calcio italiane o straniere, NBA, NFL ecc.), non ammettendo l’errore, che FORTUNATAMENTE esiste e rende lo sport ancora umano e non solo figlio di algoritmi o intelligenza artificiale.

Cose realistiche peraltro, perché proprio il doppio ruolo accentra su di lui ogni scelta fatta in estate in sede di acquisti/cessioni e in inverno rispetto all’attività in palestra e sul parquet di gioco, ma che per l’ambiente milanese sono diventate scuse per vedere in Messina l’unico bersaglio su cui scagliarsi quando le cose non vanno bene.

In questa stagione, nella quale l’Olimpia ha perso la Supercoppa italiana (uscendo in semifinale contro l’acerrima rivale Virtus Bologna), ha disputato un’Eurolega sottotono ed è uscita sconfitta nella finale di Coppa Italia, i numeri non stanno andando dalla parte di Messina, giustamente criticato in tal senso anche per aver costruito una squadra dove la difficile convivenza in campo tra Mirotic e Melli (i due migliori giocatori della squadra insieme a Shields) ha causato problemi di amalgama nel corso della stagione e conseguenti risultati scadenti. E immaginatevi cosa sarà se Milano non vincesse lo scudetto, come se le avversarie non ci fossero e non fossero all’altezza di poterle contendere il titolo.

Ora l’EA7 Emporio Armani, che dopo gara 1 dei quarti di finale con Trento – persa con tiro allo scadere di Baldwin, non di 20 – ha visto recitare il de profundis sulla propria stagione, è chiamata a ribaltare la serie e vincerla senza più cadere, così come lo sarà in un’eventuale semifinale e poi in quella che “dovrebbe” essere l’ennesima finale contro la Virtus Bologna. Una missione a essere sempre eccellenti, a non sbagliare mai, che è abbastanza logico possa portare il comandante della nave, quello con tutte le responsabilità del caso – che lui stesso ha voluto, sia chiaro -, a reagire in modo a volte scottato, sapendo che ogni errore gli viene fatto notare e pesare come fosse lui l’unica causa delle sconfitte della squadra, in cui, è bene ricordarlo, sono i giocatori ad andare in campo.

Questo è il duro lavoro dell’allenatore di altissimo livello, quello che Ettore Messina è: chiamato ogni giorno a dimostrare che il suo stipendio, il suo ruolo e la sua fama, siano giustificati dalle vittorie e dai trofei vinti, unica moneta di scambio accettata dall’ambiente milanese oggi, così come da quelli dei grandi club di qualsiasi sport dove gli investimenti sulle persone devono necessariamente avere per tornaconto risultati eccellenti e titoli vinti.